i frati Cappuccini
La prima notizia relativa ad un possibile insediamento dei cappuccini a Terracina risale al 1736. In un bigliettodel 14 agosto, indirizzato al ministro generale dei Cappuccini, il capitano Giuseppe Nardoni gli dice di accludere una "fede" non meglio specificata, sottoscritta “da molti cittadini, compresovi ancora il vicario del vescovo, commissario della città e sindaco”. Purtroppo, il foglio che si dice accluso è irreperibile. Ma è probabile che vi si trattasse della eventualità di aprire un “ospizio”, vale a dire una piccola casa destinata ad accogliere i frati di passaggio per Terracina.
L'ipotesi è giustificata dal fatto che, nel giro di poco più d'un mese (20 marzo, 4 aprile e 25 aprile 1737) il p. Giovanni Paolo da Tivoli scrive tre lettere al ministro provinciale p. Carlo Filippo da Civitavecchia, ricordando di averlo già infornato a voce, mentre sostava nel convento di Priverno, dell'offerta d’un ospizio a Terracina, da parte di un eremita francese. Ora, dopo essersi recato sul posto ed aver preso delle informazioni, può assicurare il ministro provinciale che il detto ospizio dista circa mezzo miglio dalla città “È di aria perfettissima” e non è soggetto al Vescovo. Esso era stato fabbricato a proprie spese dall’eremita della Delibera, fra Cristoforo Guigon di Marsiglia, il quale non solo offriva romitorio e chiesetta, ma aveva anche intenzione di dare “una gran somma di denaro per poter fabbricare altre stanze”. Bisogna però far presto, insisteva il p. Giovanni Paolo, poiché “questo romito vol partire per Francia, e però si deve far presto”. Nell’ultima lettera aggiunge: “La città poi tutta ci acclama, molto desiderando che vi andiamo presto a prendere il possesso”. Fra Cristoforo era l’eremita di turno presso il santuario e, nonostante la sua dichiarata volontà di tornare presto in Francia, dimorava presso la Delibera ancora nel 1744. Contava allora 78 anni e indossava un abito con cappuccio; il vescovo Gioacchino Maria Oldi ne loda i costumi e lo dice assiduo ai sacramenti e con le sue elemosine aveva costruito dalle fondamenta romitorio e chiesa della Stella.
Ignoriamo il momento preciso in cui i Cappuccini fecero il loro ingresso in detto ospizio. Nel corso del 1738 il Sindaco di Terracina Loreto Marangoni e il suo officiale Francesco Brandini comunicavano al ministro provinciale che “Siccome da questi nostri cittadini si è sempre nudrito un ardente desiderio di avere in città la Religione serafica cappuccina…, il pubblico Consiglio, a pieni voti, condescese et accettò la rinunzia che fece l’eremita fra Cristofaro Guigò di una chiesolina et habitazione da Lui fabricata in luogo ameno contiguo alla città, ad effetto che la Religione potesse proseguirvi la fabrica dentro un termine di sei anni, per essere ad abitarla; onde… la preghiamo a volerci consolare, mentre noi, a nome di tutti, l’accertiamo della dovuta venerazione et assistenza”. Come si vede, i tempi si allungavano, e forse i Cappuccini giunsero a Terracina soltanto qualche anno dopo. Ciò spiegherebbe la presenza di fra Cristoforo in Terracina almeno fino al 1744. Ma eg1i non vi dimorava più nel 1747, quando al Suo posto troviamo l’eremita Sebastiano Mezzoprete.
Ciò mette in discussione la data tradizionale 1738, come anno in cui i cappuccini si sarebbero insediati a Terracina; comunque, l'ospizio rimase aperto e funzionante fin verso il 1798. Nel corso dell'Ottocento, più volte Comune e vescovo tornarono ad insistere presso il governo centrale dell'Ordine cappuccino per avere i religiosi in città. In data 15 ottobre 1816, due illustri membri della magistratura cittadina, Paolo Fiorenza e Luigi Martini, scrissero testualmente al dinamico p. Mariano d’Alatri, che allora governava l'intero Ordine cappuccino: “Nel consiglio generale, celebrato in questa città nel dì 2 corrente [ ottobre ], venne proposta ed a pieni voti approvata la sostituzione in questo nostro ritiro, della religiosa famiglia dei cappuccini in luogo dei Padri Passionisti. Noi dunque... ne facciamo, in nome della città tutta, petizione, quale ci lusinghiamo che non sarà per essere rifiutata dall'animo ben fatto della paternità vostra”
Conosciamo la risposta dal testo di una minuta non datata, ma sicuramente scritta subito, poiché il p. Marianoera un uomo che non lasciava dormire i negozi. Non essendo, però, l'affare di sua competenza, prometteva di raccomandare caldamente la cosa ai superiori della provincia cappuccina di Roma, anche se prevedeva le difficoltà che stante la scarsezza del personale, l'accettazione avrebbe incontrato. Come previsto, la risposta del ministro provinciale fu negativa. Ma i Terracinesi, anziché demordere, alzarono il tiro, provocando un intervento del Legato papale a Terracina. E il nuovo ministro provinciale, p. Celestino da Ceriana, in una lettera scritta in tutta fretta da Tarquinia, diceva testualmente: “Una delle croci più pesanti per me, sono le continue domande che mi si fanno di cappellani, di confessori, d'economi alle parrocchie, dalli signori vicari generali, dalli vescovi, dagl'eminentissimi cardinali, per non potervi accondiscendere sebbene lo farei più che volentieri, a motivo delle nostre strettezze, aumentate da una non piccola mortalità accaduta nella nostra provincia da due anni in qua”.
Per quel poco che ci documenta l'Archivio generale dell’Ordine, una nuova pressante richiesta fu rivolta al ministro generale p. Bernardo da Andermatt. Nella lettera in data 29 gennaio 1886, il vescovo Tommaso Mesmer scriveva: “L'onorevole signor sindaco di questa città desidererebbe di avere cinque religiosi; tre da messa e due laici; quattro, cioè, per affidar loro la custodia del Campo Santo, ed uno per darlo in aiuto del parroco della chiesa del SS. Salvatore, la quale è propria del municipio. Per l'abitazione dei religiosi offre il libero uso del convento ove furono un tempo i Padri Carmelitani e che è appunto dappresso al Campo Santo; e per mantenimento dei medesimi, oltre la libera questua offre la somma di annue L. 1.200”. La risposta, questa volta data dal vicario provinciale p. Carlo da Bologna, fu rudemente negativa, poiché ad un certo punto vi si puntualizza senza mezzi termini: “Lo stesso Monsignor Vescovo ben sa che in Sezze, sua diocesi, vi sono due soli sacerdoti e che, per quanto mi faccia, non posso per ora provederlo di un terzo”.
Ma, poi, per addolcire in qualche modo la pillola, non certo per impegnarsi, aggiunge: “Se in avvenire questa provincia si troverà in stato di poter prendere altra località, sarà suo dovere il preferire Terracina”.
Trascorsero appena due anni, che allo zelante vescovo dovettero sembrare secoli, senza che i Cappuccini si decidessero ad andare a Terracina. Allora, il 18 gennaio 1888, il Vescovo si rivolse direttamente al papa Leone XIII con il seguente memoriale, che è un grido d'angoscia: “Supremo è in Terracina il bisogno di avere una famiglia religiosa. Il Vescovo e il sindaco non omisero di adoperare all'uopo le più insistenti premure, e si volsero fiduciosi all'Ordine dei Padri Cappuccini. Piacquero a questi le condizioni che si offrivano, e il Rev.mo p. Generale promise che come prima avrebbe potuto dilatare i suoi religiosi, Terracina sarebbe stata la preferita. Sono però oltre due anni che si é aspettato infruttuosamente, e le ripetute speranze riuscirono frustrate. Si prega vivamente e con umiltà la sovrana clemenza della Santità di Nostro Signore, perché voglia degnarsi, con un cenno dell'apostolica sua voce, di ordinare ai prelati dell'Ordine suddetto di non ritardare oltre l'adempimento dell'assunto impegno, il che ardentemente si desidera”. A quanto sembra, il buon Vescovo si era recato appositamente a Roma, da dove data il memoriale, forse per convincere a voce i superiori dell'Ordine cappuccino oppure per trovare “santi protettori” che l'aiutassero a conseguire il suo intento.
Al di là della impulsiva semplicità dello zelante presule, é doveroso notare il suo senso di responsabilità verso i fedeli affidati alla sua cura pastorale; né meno rimarchevole è la perfetta identità di intenti e la collaborazione tra magistratura cittadina e autorità religiosa. D'altra parte, da tutta la vicenda emergono i grossi problemi conseguenti alla soppressione degli Ordini Religiosi e allo svilimento dello stato ecclesiastico, perseguiti con tutti i mezzi dai nuovi padroni dell'italico regno. Ma a Terracina la fede aveva radici ben salde, come proprio in quegli anni dimostrerà l'erezione del magnifico tempio in onore della Madonna della Delibera.
Fu invece accolta con favore la richiesta, avanzata dal vescovo il 1° aprile 1910, di assumere la cura spirituale del santuario. Forse si volle con ciò onorare l'impegno assunto, sia pure condizionatamente, nel lontano 1884. Del resto, la Provincia Romana dei Cappuccini poteva finalmente disporre di una nuova leva di religiosi, reclutati dopo il cataclisma della soppressione voluta dalle “Leggi eversive”. Il ministro Provinciale, p. Serafino da Collepardo, ne trattò col suo consiglio nella riunione definitoriale che si protrasse dal 15 al 25 aprile 1910. Il vescovo Domenico Ambrosi, soddisfatto, il 3 maggio dello stesso anno informava il Ministro Provinciale che i religiosi potevano prendere possesso del Santuario alla fine del corrente maggio, ricevendo le consegne dal p. Antonio Lechert, superiore regolare dei missionari dell'Amore Divino di Gesù. Quanto alla casa annessa al Santuario, il presule precisava che il conte Agostino Antonelli avrebbe dato le opportune disposizioni per la consegna di tutti gli oggetti di cui aveva “fornito la casa” ed avrebbe pure preso “gli accordi relativi alla fabbrica”, da lui appositamente costruita per comodità dei custodi del Santuario.
Tutto andò secondo il previsto, e i cappuccini si insediarono presso il Santuario alla fine di maggio. Primo superiore della famiglia religiosa fu il dotto p. Andrea Chiumento, da San Giovanni Rotondo, autore della bellissima Lauda che ancora oggi il popolo canta con l'ariosa melodia. In questo inno si canta alla Madonna: “La bella Terracina ti giura eterna fé”. L'ampio edificio non aveva (e non ha) la forma del tradizionale convento cappuccino, ma era comodo ed accogliente. Per proteggere la pace dei religiosi, il conte aveva anche provveduto a recingere con un alto muro la collina retrostante il santuario, circa un ettaro di terreno coltivato a ulivi e agrumi. Vi aggiunse pure una vigna, confinante con la strada prospiciente il mare. Il tutto concesse (29 dicembre 1912) in enfiteusi perpetua con l'onere annuo (meramente nominale) di L. 1.200. In seguito, però, i conti Pace, suoi eredi, reclamarono, come di diritto, il pagamento del canone e, trovandosi in difficoltà finanziarie, domandarono l'estinzione dell'enfiteusi mediante un'unica erogazione di L. 30.000, ciò che i religiosi fecero nell'aprile 1935. Dopo di allora è persino ovvio dirlo i custodi del santuario hanno abbellito non solo la reggia della Madre, ma anche l'abitazione dei figli. E questo ci dispensa dall'enumerare i miglioramenti consigliati e in qualche caso persino imposti dai nuovi tempi.
Negli anni 1943-44, Santuario ed annesso convento furono occupati dalle truppe tedesche ciò che costrinse i frati ad allontanarsi. Condivisero in tal modo la triste sorte di gran parte della popolazione di Terracina. Oltre tutto c'era bisogno di chi assistesse spiritualmente gli sfollati. Fu così che un mite ed umile frate del santuario della Delibera, p. Biagio da Monte San Biagio, salì verso la contrada San Silviano e vi incontrò la morte, trucidato dai tedeschi il 7 aprile 1944, alle 15,30 del venerdì santo l'ora in cui Cristo spirò sulla croce. Il Comune di Terracina l'ha onorato dedicandogli una via in zona Capanne; affinché il suo ricordo non venga meno. E così, al termine della nostra corsa attraverso quasi sei secoli di storia, ritroviamo custodi del santuario, autorità cittadine e popolo uniti per assicurare la memoria di un eroico ministro del Santuario; proprio come, all'inizio del Quattrocento, i loro lontani avi avevano insieme costruito il primitivo tempio mariano.
fra Mariano da Alatri