Vita di San Pio

Francesco Forgione, il futuro padre Pio, nacque a Pietrelcina il pomeriggio del 25 maggio 1887, da Grazio Maria e Giuseppa De Nunzio e il giorno dopo fu portato al fonte battesimale.
Francesco venne alla luce nella vecchia Pietrelcina, "cittadina a pochi chilometri da Benevento, sita in una zona collinosa del Sannio, dagli orizzonti aperti, abitata da gente laboriosa, cordiale ed espansiva", che svolge principalmente la sua vita al ritmo dei lavori campestri, temprata dal solleone meridionale e dai venti gelidi invernali, in rione Castello, ove dimorava la famiglia Forgione.
Case secolari, poggiate sulla roccia dal caratteristico colore oscuro che, nel vecchio borgo, affiora da ogni dove.
In questi locali Francesco visse la sua infanzia, adolescenza, e trascorse la convalescenza e i suoi primi anni di sacerdozio, dal 1910 al 1916.
Nella chiesa di S. Anna, nel rione baronale, ove Francesco divenne cristiano e soldato di Cristo (fu cresimato il 27 settembre 1899), ricevette la prima comunione e si estasiava davanti a Gesù sacramentato.

Mamma Peppa ci dice che il piccolo Francesco era un bimbo «calmo, quieto» e «man mano che cresceva non commetteva nessuna mancanza, non faceva capricci, ubbidiva sempre a me ed a Grazio».
A volte la mamma lo esortava a giocare con i coetanei, ma il suggerimento non era sempre accettato: «Non ci voglio andare — rispondeva — perché essi bestemmiano».
Grandicello, sceglieva con sano criterio: evitava i compagni dall'«occhio falso», ci fa sapere un coetaneo e pastore come lui, perché i genitori di Francesco, appena lo reputarono capace, gli affidarono due pecore.
Durante il pascolo, se era solo recitava anche il rosario; se in compagnia di altri pastorelli — sono essi che ce lo dicono — si divertivano con la creta «facendo casette, carretti ed altri oggetti» e Francesco modellava di preferenza san Michele e, verso Natale, i pastorelli per il presepe e il Bambinello: «Quando ne aveva fatto uno, lo metteva sul palmo della mano, lo guardava a lungo e poi diceva: "Non è venuto come volevo io" e impastava la creta per farne uno più bello».

Quando Francesco espresse il desiderio di voler continuare gli studi per «farsi monaco», Grazio non tentennò ad allontanarsi da casa, pur di guadagnare il necessario per il figlio studente.
Al tempo di Francesco a Pietrelcina vi erano soltanto le prime classi elementari, mai frequentate da lui, sempre studente fuori corso. Apprese a leggere ed a scrivere da un contadino, munito del solo titolo di quinta elementare e quando decise di «farsi monaco», abbandonate le pecore, continuò lo studio da maestri privati.

I genitori di Francesco non ostacolarono la vocazione del figlio e diedero a Dio «la parte di Dio».

Il giorno dell'Epifania 6 gennaio 1903, ricevuta la benedizione ed una corona del santo Rosario dalla mamma, Francesco parte per il noviziato.
«Mamma — è lo stesso padre Pio che racconta — al momento di salutarmi mi preme le mani e mi disse: "Figlio mio, tu mi stracci il cuore!... Ma in questo momento non pensare al dolore di tua madre: san Francesco ti ha chiamato e vai!"».
Non meno doloroso fu il distacco di Francesco dai suoi, ai quali si sentiva fortemente legato, nonostante le visioni celesti rendessero generosamente forte l'anima nel dare l'ultimo addio al mondo.

Francesco bussò alla porta del convento cappuccino di Morcone, distante da Pietrelcina circa 30 chilometri.  Il padre maestro dei novizi, Tommaso da Monte Sant'Angelo (1872-1932), che in modo particolare deve aiutare il postulante a muoversi nell'ignoto schema della nuova vita, lo dispone ad una buona settimana di riflessione per una giusta visuale delle cose, durante la quale si conversa solo con Dio e con nessun altro.

Terminati gli esercizi spirituali, il 22 gennaio dello stesso anno 1903 Francesco vestì l'abito del novizio cappuccino e si chiamò fra Pio da Pietrelcina.

La mattina del 22 gennaio 1904 fa la sua professione semplice, promettendo a Dio di vivere in obbedienza, senza proprio e in castità.

La mattina del 25 gennaio 1904, assieme al compagno di noviziato fra Anastasio da Roio (1886-1947), con il padre provinciale Pio da Benevento (1842-1908), partono per il «professorio» di S. Elia a Pianisi (Cb) per iniziare la «rettorica», cioè il ginnasio e poi la «filosofia», ossia il liceo.
Terminato il corso ginnasiale (anno quarto e quinto), promosso in filosofia, dopo la metà di ottobre 1905, fra Pio parte temporaneamente assieme agli altri chierici per S. Marco la Catola (Fg) ed in questa nuova sede trova padre Benedetto da S. Marco in Lamis, che diventa suo direttore spirituale sino al 1922.
Alla fine di aprile 1906 lo studio torna a S. Elia a Pianisi per continuare il corso filosofico e il 27 gennaio 1907 fra Pio emette la professione dei voti perpetui.
Alla fine di ottobre dello stesso anno 1907 viene trasferito a Serracapriola (Fg) per iniziare lo studio della teologia; e verso la fine di novembre 1908 a Montefusco (Av).

Il 19 dicembre 1908 riceve gli ordini minori e due giorni dopo (21 dicembre) il suddiaconato.

Nel 1909 viene condotto a Pietrelcina presso la famiglia, perché malato ed i medici consigliano aria nativa.
Dimorò per breve tempo anche nel convento di Gesualdo (Av) per studiare teologia morale, che poi continuò a Pietrelcina, sotto la guida di un bravo e dotto sacerdote del paese.

La permanenza al paese nativo per una misteriosa malattia, le cui cause reali nessuno riesce a diagnosticare, secondo le vedute umane sarebbe dovuta essere breve, con la speranza di un giovamento alla malferma salute; invece nei piani di Dio si protrasse per quasi sette anni (maggio 1909-febbraio 1916) e il fine desiderato dagli uomini non si verificò; fra Pio si dimena sempre in uno stato abituale di malattia.
La dimora presso i suoi non era ben vista dai superiori, ma soltanto tollerata e perciò fu richiamato più volte in convento. Padre Pio, obbediente, partiva, ma dopo breve tempo era costretto a ritornare a casa.
L'aria nativa gli porta qualche giovamento, perché in certi periodi si sente «benino»; ma non si illude: l'idea della guarigione gli sembra un «sogno», una parola «priva di senso».
Per non perdere l'anno scolastico studia privatamente, perché ha un «desiderio vivissimo» di essere sacerdote.

Il 10 agosto 1910 la sua grande speranza diventa realtà: è ordinato sacerdote nella cappella dei canonici nel duomo di Benevento da monsignor Schinosi. Il 14 agosto canta la prima Messa solenne a Pietrelcina e per la circostanza scrive il suo pensiero ricordo, che è anche il suo programma di vita: «Gesù — mio sospiro mia vita — oggi che trepidante ti elevo — in un mistero di amore — con te io sia pel mondo — Via Verità Vita — e per te sacerdote santo — vittima perfetta».
Sempre per motivi di salute padre Pio continua a restare in famiglia; malattia «misteriosa», come misteriosa era la permanenza a Pietrelcina.
Il provinciale padre Benedetto da S. Marco in Lamis tenta a più riprese di ricondurlo al convento e la permanenza più lunga fu a Venafro, ove dimorò dalla fine di ottobre al 7 dicembre 1911.
Dall'ordinazione sacerdotale alla partenza per Venafro, padre Pio soffrì grandi tormenti diabolici, che a volte non lo lasciarono libero neppure nelle ore di riposo, «oltremodo amareggiato. Il demonio mi vuole per sé ad ogni costo».
Ritornato in convento, durante un mese e mezzo circa passato a Venafro, la fraternità si accorge dei primi fenomeni soprannaturali: «assistetti (e non fu il solo) — scrive padre Agostino da S. Marco in Lamis nel suo diario — a parecchie estasi e molte vessazioni diaboliche. Scrissi allora tutto ciò che ascoltai dalla sua bocca durante le estasi e come avvenivano le vessazioni sataniche».
Durante la permanenza a Venafro il suo sostentamento è l'Eucarestia, sia che celebri sia che riceva soltanto la santa comunione, perché costretto a letto.
Per le peggiorate condizioni di salute, il 7 dicembre è costretto di nuovo ad uscire di convento ed il ritorno a Pietrelcina. Costretto a vivere «esule nell'esiglio del mondo», cioè fuori convento, anche da sacerdote continua a trattare tutti con cordialità e confidenza, non permettendo che la sua dignità sacra crei quella riverenza che sappia di soggezione e di distacco.

Durante il servizio militare, dopo la prima licenza del dicembre 1915, i padri Agostino e Benedetto partecipano alla gioia di padre Pio e ringraziano Iddio per averlo salvato, almeno temporaneamente, «dalla Babilonia» e tornano ad insistere che il suo posto è il convento.
Dopo parecchi tentativi, finalmente un giovedì di febbraio, il giorno 17 dell'anno 1916, padre Pio assieme a padre Agostino giunge a Foggia e resta sette mesi circa nel convento di sant'Anna.
Recatosi soltanto per assistere l'anima della nobil donna Raffaelina Cerase, padre Benedetto che l'aspettava, gl'ingiunge di restare «vivo o morto» in convento e padre Pio non si mosse.
Era questa santa donna, che già padre Pio dirigeva per corrispondenza epistolare e che volò al cielo il 25 marzo 1916 assistita fino all'ultimo dal suo «caro», «buono», «santo» consigliere, che insisteva presso padre Agostino a farlo tornare in convento, perché avrebbe fatto tanto bene alle anime: «Fatelo tornare e fatelo confessare, che farà molto bene!... ».


Il 5 agosto 1918, in seguito ad altre ferite d'amore, riceve lo straordinario favore della trasverberazione, che lo fa «spasimare assiduamente».Padre Pio ricevette questa grazia mentre confessava i ragazzi del seminario cappuccino.

Il 20 settembre 1918 ha mani, piedi e costato traforati e grondanti sangue.

Padre Pio, che «non parlava mai di se stesso», neppure in «questa circostanza così solenne della sua vita» mutò comportamento, anzi occultava come poteva «il dono di Dio».

I superiori usavano diligenza a non permettere che le «cose divine» fossero portate in piazza, ma la notizia si spandeva a macchia d'olio e si divulgava rapidamente.
La folla cresceva sempre più! Aveva inizio quel vasto movimento di folle che avrebbero assediato il convento e gli avrebbero tolta la pace fino allora goduta.
Da ogni parte del mondo giungono domande di preghiere, spesso ringraziamento di grazie ottenute; dalle più lontane regioni giungono visitatori, guidati non da malsana curiosità ma da vero spirito di devozione.

«Oh voglia il Signore conservare a lungo quest'angelo in carne, a bene delle anime, a confusione degli empi!» — esclama il vescovo di Melfi e Rapolla (14 settembre 1919), che impresse «caldi baci» su quelle «bocche troppo eloquenti»: le stimmate.

Ma non tutti la pensano e giudicano allo stesso modo. Accuse, per usare una voce morbida, anche le più «banali» contro i frati e padre Pio se ne sfornano alacremente, ma un papa — Benedetto XV — che giudica padre Pio «un uomo veramente straordinario, che Dio manda di tanto in tanto sulla terra per convertire gli uomini», ben informato dai suoi inviati speciali e fidatissimi, ammonisce che «è bene andar cauti, ma è male mostrarsi tanto increduli».

Benedetto XV morì improvvisamente il 22 gennaio 1922.

Il 2 giugno 1922 il Santo Uffizio, «presi in esame i fatti avvenuti» nella persona di padre Pio, emana delle disposizioni, tra le quali: per nessun motivo mostri le così dette stimmate e ne parli o le faccia baciare: deve avere un altro direttore spirituale diverso dal padre Benedetto da S. Marco in Lamis, col quale dovrà interrompere ogni comunicazione anche epistolare; sarebbe necessario che il padre Pio fosse allontanato da S. Giovanni Rotondo e collocato in altro luogo fuori della sua provincia religiosa; infine da parte di padre Pio o di altri per lui, non si risponda più a quelle lettere che gli verranno indirizzate da persone devote per consigli, per grazie o per altri motivi.
Padre Pio chinò il capo ed obbedì e lo stesso fece padre Benedetto.

Il Santo Uffizio, di fronte al crecente movimento di massa, continua a vigilare con occhio attento il fenomeno e il 31 maggio 1923, «premessa una inchiesta sui fatti che vengono attribuiti a padre Pio da Pietrelcina (...), dichiara di non constare da tale inchiesta della soprannaturalità di quei fatti, ed esorta i fedeli a conformarsi nel loro modo di agire a questa dichiarazione».
Padre Pio si chiude in un grande silenzio ed in perfetta obbedienza accoglie la decisione, però non tutti seguono il suo esempio. 
Anche dopo i ripetuti interventi del Santo Uffizio, l'entusiasmo di molti continua ed allora si insiste di eseguire il già emanato ordine di allontanamento di padre Pio da S. Giovanni Rotondo.
Non era facile: il popolo si organizzava, si agitava, minacciava, e non invano. Il convento era sorvegliato di giorno e di notte.

Trasferire padre Pio sì, ma attenendosi ad una grande prudenza e senza essere troppo frettolosi a compiere un dovere, che di fronte a circostanze concrete non esige troppa fretta.
Durante una visita di un funzionario di Polizia, inviato da Roma, anche se placata da assicurazioni, la popolazione rimase sempre diffidente, tanto che una scorta vigilante di contadini fu posta permanentemente a guardia del convento, decisa a tutto per evitare il trasloco di padre Pio.

Durante questo tribolato periodo della sua vita padre Pio ci dà un perfetto esempio di obbedienza.
Mentre tanta gente si occupa e si preoccupa attorno a lui, egli tutto questo lo sa, ma non si sconcerta di nulla: segue la sua via tranquillo ed obbediente al minimo cenno — è il suo padre guardiano che lo dice — non fa osservazione a qualsiasi innovazione al suo consueto modo di vivere; il solito sorriso sfiora sempre il suo labbro, la solita cordialità continua ad usare con tutti; «una cosa sola sembrami scorgere: la preoccupazione in lui se assolve alla sua missione di bene nelle anime. Per me sì — risponde affermativamente a se stesso il padre guardiano — perché è un esempio di sacrificio della propria volontà a quella dell'autorità».

La sua giornata padre Pio la continua a passare pregando, leggendo e confessando le persone che lo attendono: «con tutta pazienza ascolta le loro confessioni e li rimanda — ordinariamente — contenti e soddisfatti, perché lì trovano la pace che da tempo avevano perduto».
La sua Messa: meraviglioso spettacolo di fede e di devozione; «chi lo ha visto una volta celebrare non lo dimentica più».
I suoi amori: l'Eucaristia, la Madonna, la Chiesa.
Un dialogo interrotto

La cittadinanza non disarma ed è sempre pronta ad «insorgere di un sol cuore», per difendere «anche a mano armata» padre Pio, che «ci è più caro della nostra medesima vita».

Considerate tutte le circostanze, giacché padre Pio non può partire, si aggira la situazione con un «grave provvedimento» (23 maggio 1931), del seguente tenore: padre Pio viene privato di tutte le facoltà di ministero, eccetto la santa Messa che potrà celebrare non in chiesa ma privatamente nella cappella interna del convento, senza la partecipazione di alcuno.
Il padre guardiano, preso da un senso di scoraggiamento e di avvilimento, tentenna, procrastina, ma alla fine, un dopo vespro, si decide a comunicarlo a padre Pio che, come al solito, stava in coro a pregare.

Conosciuto il provvedimento, alzando gli occhi al cielo, disse: «Sia fatta la volontà di Dio». «Poi si coprì gli occhi con le mani, chinò il capo e più non fiatò. Cercai di confortarlo — ci dice il povero padre guardiano — ma il conforto egli lo trovò solo in Gesù pendente dalla croce, perché poco dopo tornò in coro e vi restò fino alla mezzanotte ed oltre».

Non potendo parlare agli uomini di Dio intensificò il suo colloquio con Dio parlandogli degli uomini.
La mattina dell'11 giugno 1931 padre Pio celebra nella cappellina interna del convento con il solo inserviente, restando sull'altare per più di tre ore; e così quasi tutte le mattine.
La notizia del provvedimento si sparse in un baleno, non soltanto in chiesa ma anche in regioni lontane; numerosi furono i telegrammi e le lettere di dispiacere e di conforto di tante anime che a lui si univano nella preghiera.

Giorno 14 luglio 1933, festa di san Bonaventura: anno di grazia. Padre Pio può celebrare di nuovo in chiesa e confessare i religiosi fuori chiesa.
Appresa la notizia, egli si alza, va ad inginocchiarsi davanti al padre provinciale, gli bacia la mano e ringrazia il Santo Padre per la sua paterna bontà.
La domenica 16 luglio scende per celebrare alle ore 9, tra la «visibile e profonda commozione» dei presenti.
Diffusasi la notizia, riprende l'afflusso dei fedeli ed aumentano le confessioni e le comunioni. Padre Pio il 25 marzo 1934, domenica delle Palme, riprende ad ascoltare le confessioni degli uomini ed il 12 maggio successivo quelle delle donne.
La sua Messa, celebrata in una maniera inconfondibile, richiamava l'attenzione ed incideva sulla devozione di quanti la presenziavano.
Padre Pio amava gli uomini, e li amava sinceramente come figli di Dio e fratelli suoi, perché pregava molto. Per il loro bene spirituale era diventato «il cireneo di tutti»; per lenire le ferite della carne inventò «la cattedrale della carità» e la chiamò «Casa Sollievo della Sofferenza».
S. Giovanni Rotondo lamentava la mancanza di un ospedale e padre Pio il 25 gennaio 1925 ebbe la gioia di vedere inaugurato il piccolo «Ospedale civile san Francesco», sorto nel vecchio convento delle Clarisse.
«Volle che in questo Comune — ricordano le parole dell'epigrafe — sorgesse un ospedale. Egli raccolse tra i fedeli ammiratori i fondi necessari all'erezione dell'opera».
Ben assistita medicalmente, amministrativamente e religiosamente, l'umile opera soddisfaceva «in modo egregio le esigenze più urgenti».
Due corsie, una per gli uomini ed una per le donne, con sette letti ciascuna e due camere riservate: attrezzatura idonea ai bisogni; cure ai poveri gratuite.
Dopo tredici anni di attività assistenziale, il piccolo ospedale chiudeva i battenti, rovinato dal terremoto del 1938.

Il terremoto fece crollare le mura che servivano alla carità per i fratelli, ma non seppellì sotto le sue macerie la carità stessa, che nel cuore di padre Pio cresceva a dismisura e che più tardi divampava in vasto incendio.
La sera del 9 gennaio 1940 nasceva, nella sua cella, «Casa Sollievo della Sofferenza» e l'idea divenne immediatamente operante.
Il 25 maggio dello stesso anno i suoi amici per la prima volta vengono a conoscenza di un «sogno» di alcuni suoi figli spirituali, da molto tempo vagheggiato: la costruzione nella regione del Gargano, a S. Giovanni Rotondo, di «un grandioso ospedale», «espressione della carità di Cristo» e che «potesse accogliere gratuitamente» tutti gli ammalati.
Terminato l'uragano bellico ed appianate inenarrabili difficoltà, il 16 maggio 1947 si poneva la prima pietra della «cattedrale della carità».
La Provvidenza apriva il cuore, padre Pio pregava, ascoltava i suoi collaboratori, consigliava, incoraggiava, visitava la sua creatura che cresceva a vista d'occhio, e bella, ed era contento.

Il 26 luglio 1954 segna la prima meta raggiunta: si aprono gli ambulatori ed inizia il sollievo della sofferenza.
Il 5 novembre successivo entra in funzione la banca del sangue.
Il 5 maggio 1956 la notizia che tutti attendono: inaugurazione di «Casa Sollievo della Sofferenza».
La voce di Pio XII benedice e loda l'ospedale di S. Giovanni Rotondo, «frutto di una delle più alte intuizioni d'un ideale lungamente maturato e perfezionato a contatto con i più svariati e più crudeli aspetti della sofferenza morale e fisica della umanità (...). L'Opera progredita pazientemente tenace, si presenta come un magnifico successo uno degli ospedali meglio attrezzati d'Italia» (8 maggio 1956).

Mentre si costruiva la Casa, si cominciava anche, e soprattutto, a pensare alle qualità tecniche e morali del personale di assistenza, il cui principio ispiratore — secondo il pensiero e la parola di padre Pio — deve essere: «in ogni bisognoso c'è Cristo».
È la caratteristica su cui poggia la funzionalità ideologica della Casa: il motivo strettamente umano della lotta contro il male con l'apporto di tutti i mezzi moderni, viene elevato da quello soprannaturale, col realizzare in ogni momento della giornata l'esortazione evangelica: «In verità vi dico: tutte le volte che avete fatto qualcosa ad uno di questi minimi, l'avete fatto a me».
Il 10 maggio 1956 entra il primo ammalato e pochi giorni dopo già ospitava un nutrito gruppo di degenti; al 31 dicembre dello stesso anno si erano avvicendati duemila ammalati e sin dall'inizio del 1957 i trecento letti erano costantemente occupati ed era necessario aggiungere letti supplementari e già si chiedeva l'ampliamento dell'Opera.
Nel giorno del primo anniversario (5 maggio 1957) padre Pio, tra l'altro, diceva: «Dio ha riscaldato con i suoi raggi d'amore il seme deposto (...). Da oggi riprendiamo la seconda tappa del cammino da compiere»: adeguarsi «tecnicamente alle più ardite esigenze cliniche», aumentare il numero dei letti, completare la sistemazione, perché l'Opera «diventi tempio di preghiera e di scienza, dove il genere umano si ritrovi in Gesù crocifisso, come un solo ovile sotto un solo pastore».
Il numero dei letti veniva aumentato sino alla saturazione e padre Pio continuava ad insistere: «Mettete altri letti, sacrificate gli uffici, la biblioteca; ma non dite no ai malati».
Quando non ci restò un centimetro quadrato di spazio, disse che non si sentiva di rifiutare ospitalità agl'infermi, perché «ai malati non si nega mai nulla» e fidando nella Provvidenza: «Facciamo — dice risoluto — più grande l'ospedale».

Il 5 maggio 1958 egli stesso, con accensione a distanza, nello studio del cappellano della clinica, faceva brillare la mina: segno d'inizio dei nuovi lavori; il 16 luglio benediceva la prima pietra della nuova ala ed a lavori ultimati (1966) la capacità ricettiva di Casa Sollievo saliva a 600.

Con la raddoppiata disponibilità di letti, gli indici di ricovero salgono rapidamente e già nel 1967 raggiungono i valori limite. Particolarmente pressante si fa la necessità di una maggiore disponibilità di letti per il ricovero dei bambini e dei malati di medicina generale.
Padre Pio dispone tempestivamente per il secondo ampliamento e tra gli ultimi atti della sua vita terrena vi è l'approvazione di tale progetto, già pronto.
Il 6 luglio 1969 il card. Sergio Guerri pone la prima pietra del modernissimo padiglione e la costruzione, progettata dall'ingegner Poma Murialdo e tecnicamente diretta dal geometra Franco Gandolfi, viene inaugurata il 1 giugno 1973 dal card. Mario Nasalli Rocca di Corneliano.
La costruzione si articola in tre piani: il pianterreno è destinato ai servizi generali; il primo per l'ostetricia con sala medici e sala ostetriche, e ginecologia, direzione del primario, sale operatorie parto-travaglio, sala nido, psicoprofilassi ostetrica, colposcopia, colpocitologia, con una capacità recettiva di 98 letti.
Il secondo piano è occupato dalla pediatria: direzione del primario, sezione neo-natali, sezione seconda infanzia, sezione prematuri, sezione malattie infettive, con una capacità recettiva di 150 letti.
L'impostazione funzionale della pediatria risponde a concetti modernissimi: si articola in un asse generale di disimpegno, su cui si innestano i servizi generali e si accede ai settori di degenza, che posseggono anche servizi propri con autonomia completa.
Ampie e magnifiche vetrate consentono ottima visibilità e accoglienza di soggiorno; i nuovi padiglioni sono collegati al corpo centrale da una luminosa galleria.

Gli accorati e pressanti appelli di Pio XII che esortava pressantemente i sacerdoti a pregare, a risvegliare nei fedeli la preghiera comunitaria ed a preparare forti e serrate falangi di oranti, auspicano logicamente la formazione di gruppi di preghiera, così come padre Pio vide subito: «Gruppi di fedeli — disse — vivranno integralmente ed apertamente la vita cristiana, come desiderio di Sua Santità, se essi saranno prima gruppi di fedeli che pregano insieme».
E dal pensiero passò all'azione: «Diamoci da fare. Rimbocchiamoci le maniche. Rispondiamo noi per primi a questo appello lanciato dal Romano Pontefice». E nacquero così i gruppi di preghiera.
Fra le tante denominazioni: «falange» di oranti e di penitenti, religiosa «schiera», «gruppi» di uomini e di giovani..., ebbe più fortuna la parola «gruppo».
La fisionomia di tale movimento viene delineata dallo stesso padre Pio in una allocuzione del 5 maggio 1966: «vivai di fede, focolai d'amore nei quali Cristo stesso è presente ogni volta che si riuniscono per la preghiera e l'agape fraterna sotto la guida dei loro pastori e direttori spirituali».
Non facevano nulla di eccezionale, niente di diverso dagli altri cristiani, si sentivano soltanto più uniti, ascoltavano una Messa, pregando spesso ad alta voce secondo le comuni intenzioni per il rinnovamento dei singoli e della società.
Non regole, non schemi, non orazioni nuove; riunione almeno una volta al mese in una chiesa con il consenso del Vescovo e l'assistenza di un sacerdote.
«Il titolo che vi accomuna intorno all'altare del Signore è quello dei vostri gruppi di preghiera — diceva il card. Lercaro il 12 settembre 1959 al convegno nazionale dei gruppi di preghiera —. E parmi un titolo particolarmente bello che ha la sua legittimazione ed un incoraggiamento fortissimo e consolantissimo in una parola di Nostro Signore. Ha detto Gesù nel santo Vangelo: "Dove saranno due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro e qualunque cosa domanderanno al Padre sarà loro data" (Mt 18,20). Queste parole larghe di Nostro Signore nel santo Vangelo costituiscono la ragione di essere dei vostri Gruppi di Preghiera e danno ad essi, sparsi in tutta Italia, una forza ed un conforto grandissimo».

Nell'agosto del 1950 parte da S. Giovanni Rotondo l'appello ufficiale per la loro costituzione a più vasto raggio, seguito da alcune note chiarificatrici e da generiche direttive.

I gruppi di preghiera, sorti «per meglio rinnovare intorno a noi la vita cristiana (carità verso Dio e carità verso il prossimo)», mediante la preghiera comunitaria, s'impegnano a lavorare, «affinché la vera luce di Cristo si diffonda anche tra coloro che non la conoscono o la vogliono ignorare».
Convengono tra di loro fraternamente «di riunirsi per pregare insieme, almeno una volta al mese, sotto la direzione spirituale di un sacerdote, senz'altro particolare impegno che quello di pregare e invitare altri amici e conoscenti alla preghiera».
Vogliono creare l'ambiente adatto «invitante i cuori e le volontà a rivolgersi liberamente a Dio», con l'esempio di amici che pregano, con la funzione ben curata e la eventuale parola del sacerdote.
Per la direzione dei gruppi è «indispensabile» la direzione di un sacerdote, «perché il desiderio spontaneo di riunirsi a pregare sia esplicato, di fatto, rigorosamente e fedelmente secondo i principi e le norme della santa Chiesa cattolica, alla quale si deve somma riverenza e stretta obbedienza».
Nel senso comunemente inteso, i gruppi di preghiera non sono una pia associazione: non hanno presidenti né richiedono iscrizioni ai fedeli che partecipano alla loro attività; non vi sono programmi speciali, ma essi presentano soltanto un metodo adatto alle circostanze spirituali dei fedeli nel mondo per richiamare e condurre anime in chiesa: il gruppo «è in potenza la società che prega e si anima a pregare»; due del gruppo si incaricano di far conoscere agli altri le funzioni e far pervenire loro, a nome e per conto del direttore spirituale, l'incitamento proveniente da San Giovanni Rotondo.
Si denominano «gruppi di padre Pio», perché lui ne è l'«ideatore» ed «il primo ed instancabile sostenitore ed apostolo, additandoli come i mezzi di santificazione e di apostolato sostanzioso, capace di trasformare in cristiana la società presente».
I gruppi di preghiera pregano secondo le intenzioni di padre Pio, «perché tale è il desiderio e la spontanea volontà dei singoli partecipanti che vedono in padre Pio un sacerdote ed un religioso esemplare fedelissimo alla santa madre Chiesa e tutto volto a spendersi per le intenzioni del Sommo Pontefice».
Inoltre uniscono spontaneamente le loro preghiere «alla preghiera e offerte che il Padre — come sacerdote — presenta ogni giorno a Dio nella santa Messa, affinché insieme con tutte le altre preghiere ed offerte che tutti i sacerdoti del mondo raccolgono e presentano a Dio dai loro altari, si possa fare dolce violenza al cuore del Signore per un più grande avvento di bene ai singoli, alla società, alla Chiesa».
Un pacifico esercito, quello dei gruppi di preghiera, posto al servizio della Chiesa, che vuol costituire «una catena, un rosario intorno al mondo, un rosario di preghiere».

Ed è comprensibile che nel luglio del 1968 arrivasse una nomina che «in certo senso» equivaleva ad un riconoscimento ed all'approvazione ufficiale da parte della Chiesa del movimento, che non ha avuto sempre vita facile, fondato da padre Pio: la Sacra Congregazione dei Religiosi e degli Istituti Secolari il 31 luglio 1968 affidava il coordinamento dei «Gruppi di Preghiera» e le loro iniziative al padre superiore della fraternità di S. Giovanni Rotondo.

Ai molteplici dolori che lo affliggono da lunga data, si aggiunge il peso degli anni e padre Pio si sta avviando alla eterna vita ogni giorno più carico di malanni ai quali nessun mortale può sfuggire; ma li porta — non li sopporta — con tanta uniformità ai divini voleri, da far venire la santa rassegnazione in Dio, al solo guardarlo, a chi è provato anche lui dal dolore.
Non dice di non soffrire, quando realmente soffre: «Figlio mio, mi sento tutto sconquassato» — rispondeva alla nostra domanda — aggiungendo subito: «Ma sia fatta la volontà di Dio!...».
Il suo animo conosce le agonie e i suoi occhi le lagrime, anche se poco avvertite dagli altri, perché si mostra sempre gioviale.
La corrispondenza epistolare aumenta continuamente e la gente arriva al convento «come in tanti pellegrinaggi», assetata della divina grazia, a chiedere, chiedere, sempre chiedere.
A volte padre Pio sta molto male per i soliti attacchi di coliche renali, che lo costringono a letto, senza Messa e soltanto con la comunione.
Soffre i lancinanti dolori con forza e serenità, come sempre, ripetendo: «Soffro molto, ma ringrazio Dio lo stesso».
Ogni tanto per le precarie condizioni di salute, non può celebrare. È un fatto che preoccupa, ma i pellegrini continuano a venire ed è veramente straordinario l'afflusso della gente, nonostante che padre Pio, per la sua avanzata età e la poca salute, possa dare pochissima soddisfazione. Egli fa quel che può.
I luoghi dove passa sono gremiti: «la gente vuole vederlo e si stringe attorno a lui, nonostante le abituali sgridate che rivolge ai più indisciplinati. Prega e soffre: è questo lo spettacolo quotidiano a cui noi assistiamo e la sua preghiera e la sua sofferenza salgono al trono di Dio e smuovono le masse che accorrono a S. Giovanni Rotondo da ogni parte d'Italia e dall'estero. Ha perso quasi tutto il suo brio e la sua vivacità; parla pochissimo; è tutto chiuso in se stesso; rarissimamente ha qualche ritorno del suo fare usuale, con episodi, barzellette, arguzie e detti vivaci, da cui sapeva trarre anche nelle ricreazioni spunti di bene e pensieri spirituali».

Il 7 luglio 1968 ha un forte collasso e preferisce rimanere solo in continua preghiera: padre Pio è diventato quasi muto per gli uomini e tutti si sforzano di rispettare questo sacro silenzio, come meglio possono, mentre uno straordinario afflusso di pellegrini invade il santuario.
Si avvicina una data che ogni anno si celebra in clima raccolto ed orante, ma il 1968 ricorda cinquant'anni di stimmate visibili, apparse il 20 settembre 1918 nelle carni di padre Pio.
Nessuna solennità esteriore all'infuori di tante, tante rose rosse che ornavano l'altare maggiore, offerte dai figli spirituali, ed una grande moltitudine di devoti venuti da ogni parte del mondo per ricordare vicino al «Padre» questa data memorabile.
Altra particolarità: per la prima volta, forse, il Crocifisso del coro dell'antica chiesetta, davanti al quale padre Pio ricevette le stimmate, era adornato di tante rose rosse. Il festeggiato celebra la Messa, come tutte le mattine, alle ore 5; «nella chiesa gremita di folla, aleggiava un'aura solenne di mistero, di preghiera, di raccoglimento, di unione mistica — ci fa sapere il padre guardiano del tempo —. Il resto della giornata, come sempre, per padre Pio: lavoro, preghiera, confessioni».

Il giorno dopo — 21 settembre — padre Pio non celebra ma si comunica soltanto, perché debole e stremato di forze, a causa di un fortissimo attacco di asma, che gli impedisce di respirare e per una mezz'ora circa desta apprensione grande e timore, assistito dal medico curante dottor Giuseppe Sala. Il padre guardiano con gli altri confratelli non si sono mossi dalla sua stanzetta, finché la crisi non si è risolta, fortunatamente in bene.

Molto agitato per la sofferenza, stringeva forte la mano al padre guardiano ed ai confratelli che gli erano accanto, ripetendo: «È finita, è finita!...».

Passata la crisi ed esortato dal superiore a non scendere per le confessioni: «E come voglio scendere — rispose — in queste condizioni!...». Ripresosi alquanto, nel pomeriggio assiste — come al solito — alla funzione vespertina e benedisse la «immensa folla», convenuta da tutto il mondo per il convegno internazionale dei «Gruppi di preghiera» che si sarebbe tenuto il giorno seguente, in occasione del cinquantesimo delle stimmate.
Tutti sono in festa ed aspettano con ansia febbrile — parla la cronaca del convento — di vivere la giornata di domani: solo padre Pio si sente «confuso e smarrito nella sua umiltà, considerando i grandi doni ricevuti da Dio». Oggi, circa all'ora di pranzo, prima che il Padre prendesse sforzatamente quel po' di cibo solito, il padre guardiano nel dare il «buon appetito» al Padre che era ancora debole e stremato di forze per la crisi d'asma di questa mattina, gli ha detto: «Buon appetito, Padre, e si faccia coraggio. Lei deve star bene; è venuta tanta gente per la festa di domani!». «Altro che festa — ha risposto padre Pio — dovrei fuggire e sparire per la confusione che provo».

Il giorno 22 settembre, alla fine della Messa di padre Pio «scroscianti ed interminabili applausi con grida sincere "viva padre Pio!", "auguri, Padre!" hanno salutato il Padre prima che rientrasse in sacrestia. Però, nell'alzarsi dalla poltrona e prima di scendere i gradini dell'altare rivolto al popolo, padre Pio ha barcollato e si è ripiegato su se stesso, quasi per cadere».

Soccorso prontamente dai confratelli, sostenuto di peso ed adagiato sulla sedia a rotelle, è stato portato in sacrestia. «Pallido e sbiancato in viso, come assente e smarrito — racconta il padre guardiano — ha benedetto la folla accalcatasi alla balaustra laterale, ripetendo affettuosamente ed affannosamente: "Figli miei, figli miei!"».
Dopo il ringraziamento, avvviatosi per le confessioni delle donne, dovette tornare indietro e risalire in camera con l'ascensore: «Padre Pio non sembrava più lui; bianco nel viso, tremante e stremato di forze, con le mani fredde, fissava tutti con lo sguardo, quasi assente e lontano da tutto quello che gli avveniva intorno. E così ha continuato per tutta la giornata».

Verso le 10,30 ai «Gruppi di preghiera» radunati sul sagrato per ascoltare i discorsi ufficiali, padre Pio affrettando i tempi (la sua benedizione ed il suo saluto paterno era previsto per mezzogiorno) dalla finestra della vecchia chiesa, affacciatosi quasi all'improvviso, ha benedetto e salutato lungamente la folla.
Alla Messa vespertina tutta la folla si riversa in chiesa per partecipare alla celebrazione eucaristica e ricevere la benedizione di padre Pio, che assisteva dal matroneo.

Al termine della Messa, come sempre, mentre cerca di alzarsi per benedire la folla, rimane curvo su se stesso, senza potersi muovere; a stento riesce a sollevare la mano destra per benedire i suoi figli spirituali: il gesto familiare di ogni sera, il saluto e la conclusione di ogni giornata. Poi, quasi sollevato di peso, è adagiato sulla sedia a rotelle e riaccompagnato in camera.

Passando per la sala san Francesco benedice e saluta ancora tanti uomini; e così pure dalla finestra della stanza salutando la folla, agitando il fazzoletto bianco.
«Sullo spiazzo oltre il muro della clausura — è il guardiano del tempo — un buon numero di iscritti ai Gruppi di preghiera era ad attendere il saluto della sera di padre Pio, con fiaccole e candeline accese: uno spettacolo simile a quello del giorno 20. Dopo i ripetuti saluti e le grida "evviva! auguri! buona notte, padre! vi vogliamo tanto bene, Padre!", la finestra della cella di padre Pio si è chiusa definitivamente per sempre, chiudendo dietro di sé la visione ed il ricordo di un Uomo che tutti, dopo averlo incontrato, avevano imparato a chiamare "Padre!"».

Chi mai avrebbe pensato che alla tanta festa del giorno precedente sarebbe seguito il funerale del giorno dopo?

Tutti vedevano che padre Pio si consumava lentamente e che lui stesso spesso parlava e desiderava morire.

Alle ore 2 circa del 23 settembre un religioso picchiava ripetutamente all'uscio della cella del superiore: «Padre guardiano, si alzi. Padre Pio sta male». Immediatamente precipitatosi nella stanza dell'ammalato, seduto sulla poltrona ed assistito dal dottor Sala e da due confratelli, lo vide «con gli occhi chiusi, la testa leggermente chinata in avanti e respirava molto affannosamente, gonfiando il petto e con un lieve rantolo alla gola. Gli presi la mano destra: era già fredda. Lo chiamai piu volte: "Padre! Padre!". Non mi rispose: forse mi sentì; e si accorse della mia presenza. Mi sentii smarrito, come di fronte alla terribile realtà che ad ogni costo non volevo ammettere, ma il medico con lo sguardo non mi dava alcuna speranza e mi aveva fatto chiamare proprio lui, quando aveva avuto la netta sensazione che si era alla fine».

Amministratogli il sacramento degli infermi, poco dopo, sereno, tranquillo, vola al cielo con la corona del santo Rosario tra le mani e con «Gesù!... Maria!...» sulle labbra.
Bello e solenne anche nella morte, padre Pio, con la stola sacerdotale, stringeva fra le mani la Regola francescana.
Stupore, commozione, lacrime provocò la dolorosa notizia, propagatasi in un baleno in tutto il mondo.

Composta la salma nella bara di legno, il mesto corteo dei confratelli, parenti, amici e figli spirituali, candela in mano e recita del «Miserere», accompagna il venerato Padre, attraverso il corridoio, l'atrio «s. Francesco», la scalinata e la sacrestia, in chiesa.

Disposto il servizio d'ordine, sia dentro che fuori la chiesa, alle ore 8,30 si aprono le porte: «tutta l'immensa marea di gente — apprendiamo dalla cronaca del convento — che da sei ore e più attendeva impaziente di entrare, si riversò in chiesa gridando e piangendo, nel desiderio di avvicinarsi il più che fosse possibile alla bara, per vedere, toccare, baciare le venerate spoglie del Padre defunto».

Il giorno 26 verso mezzogiorno, alla folla che non mai terminava, si disse a malincuore basta. Il mesto corteo si avviò dalla chiesa al paese verso le 15,30, seguito da «una innumerevole massa di popolo», e si snodava per le vie principali del paese: non era il funerale, ma il trionfo di padre Pio.

Tornati al convento, ch'era già buio, si celebrò sul sagrato la solenne cerimonia funebre, al termine della quale le spoglie furono portate in chiesa e poi in cripta e calate nel loculo scavato sotto il pavimento nel sito già precedentemente disposto: erano le ore 22.

Compiuta la mesta cerimonia, vengono invitati tutti ad uscire e tornare alle loro case. Anche i confratelli, recitata un'ultima preghiera, si ritirano nelle loro celle; vengono chiusi i cancelli in ferro battuto della cripta; restano accese le lampade in segno di fede, affetto e devozione al Padre, immerso nel sonno dei Giusti.

Il suo desiderio, espresso nel lontano 1923, si è realizzato: «Ricorderò sempre questo popolo generoso nelle mie preghiere, implorando per esso pace e prosperità. E quale segno della mia predilezione, null'altro potendo fare, esprimo il desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra».

Sono passati dodici anni dal sereno transito e sembra un secolo e sembra ieri averlo visto attorniato da una «moltitudine immensa».

La sua presenza è sempre viva ed operante; gli anni non sbiadiscono il suo ricordo e le anime in cerca di pace vengono, vengono, vengono a S. Maria delle Grazie, da lui attratte. Molti non l'hanno conosciuto personalmente e se ne rammaricano; tutti in quella cripta sentono la nostalgia di Dio, propongono di vivere una vita migliore, partono sereni e con l'animo di ritornare.

La sua vita: un inginocchiatoio, un altare, un confessionale.

Gesù venne perché gli uomini «abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). In questo consiste la redenzione e la salvezza, questo è lo scopo finale della Chiesa e di ogni sua azione, alla quale tutti gli altri sono subordinati.

«Cercate prima il regno di Dio...» (Mt 6,33): che gli uomini siano elevati allo stato di grazia, perseverino, la riacquistino, se decaduti.

La preghiera il gran mezzo per ottenere, conservare ed accrescere la grazia, assieme al «tabernacolo con a lato il confessionale, dove ritrovano la vita le anime morte e le malate riacquistano la sanità» (Pio XII).

All'uomo debole e vacillante nel suo impegno cristiano, che cede troppo al mondo, quale potente richiamo Dio ha mandato padre Pio, plasmandolo per il mondo di oggi, «che in verità è stato scosso per un cinquantennio dalla sua voce silenziosa ma irrompente, dalla sua testimonianza che è risuonata irresistibile in ogni paese del mondo, e che ora, dopo la sua morte, si approfondisce e si dilata sempre più negli spiriti» (card. Ursi).

«Io credo — afferma l'arcivescovo di Manfredonia Valentino Vailati — che il Santo Padre Paolo VI vi abbia indicato con esattezza la missione di padre Pio: "Che clientela mondiale ha adunato intorno a sé! Ma perché? Forse perché era filosofo, perché era un sapiente, perché aveva mezzi a disposizione? No. Perché diceva la Messa umilmente, confessava dalla mattina alla sera; ed era, difficile a dirsi, rappresentante stampato delle stimmate di Nostro Signore. Era un uomo di preghiera e di sofferenza" (20 febbraio 1971). Egli, dunque, si è eroicamente impegnato a ricostruire la casa del Signore, difendendo i valori fondamentali della fede e della morale cattolica, con il coraggio di un profeta».

Il 4 novembre 1969 la curia generale dell'Ordine dei Frati Cappuccini firma la domanda al vescovo monsignor A. Cunial, amministratore apostolico dell'arcidiocesi di Manfredonia, di aprire il processo di beatificazione e canonizzazione di padre Pio.

Il 23 successivo il Vescovo notifica al postulatore generale dell'Ordine di aver iniziato la raccolta delle informazioni per la fase preliminare del processo stesso.

E la documentazione, raccolta in diocesi secondo le norme vigenti, fu consegnata alla Congregazione per le Cause dei Santi da monsignor Valentino Vailati, arcivescovo di Manfredonia, il 16 gennaio 1973.

Il 3 marzo 1980, lo stesso arcivescovo Vailati consegna alla predetta Congregazione ulteriore documentazione per ottenere il nulla osta per l'introduzione della Causa di beatificazione.

Il 23 ottobre 1982, la Sacra Congregazione delle Cause dei Santi tenne una riunione, nella quale discusse l'opportunità o meno di concedere all'Arcivescovo di Manfredonia la facoltà di aprire il processo cognizionale sulla vita e le virtù del Servo di Dio Padre Pio da Pietrelcina.

Il parere dei membri di quel Sacro Dicastero fu favorevole e Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Pietro Palazzini, Prefetto dello stesso Dicastero, in data 29 novembre 1982, presentò in merito una relazione al Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale, nello stesso giorno, approvò e confermò il responso della Sacra Congregazione delle Cause dei Santi.

In tal modo veniva aperta la via alla costituzione del Tribunale ecclesiastico, che, nell'Arcidiocesi di Manfredonia, doveva celebrare l'atteso processo cognizionale.

Il Tribunale si è costituito a San Giovanni Rotondo, nel Santuario «Santa Maria delle Grazie», domenica 20 marzo 1983, e si è concluso in sessione pubblica, nello stesso Santuario, domenica 21 gennaio 1990. In sette anni di lavori ha interrogato 73 testimoni ed ha raccolto una imponente documentazione (104 volumi), che è stata consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi.

Intanto dobbiamo ricordare che, il 23 maggio 1987, il Santo Padre Giovanni Paolo II è andato in visita pastorale a San Giovanni Rotondo e si è fermato in preghiera sulla tomba di padre Pio.

La Congregazione delle Cause dei Santi, dopo circa dieci mesi di attento esame, il 7 dicembre 1990, ha emesso il decreto «de validitate» sul processo diocesano ed ha nominato il padre Cristoforo Bove dell'Ordine dei frati minori conventuali relatore ufficiale per la preparazione della «positio super virtutibus».

Ultimata la Positio, si discusse, come di consueto, se il Servo di Dio avesse esercitato le virtù in grado eroico. Il 13 giugno 1997 si tenne il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi con esito positivo. Nella Sessione Ordinaria del 21 ottobre successivo, essendo Ponente della Causa l'Ecc.mo Mons. Andrea Maria Erba, Vescovo di Velletri-Segni, i Padri Cardinali e Vescovi hanno riconosciuto che padre Pio da Pietrelcina ha esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali ed annesse. Il giorno 18 dicembre 1997, alla presenza di Giovanni Paolo II, fu promulgato il Decreto sull'eroicità delle virtù.

Per la beatificazione di padre Pio, la Postulazione ha presentato al competente Dicastero la guarigione della signora Consiglia De Martino di Salerno. Sul caso fu celebrato regolare Processo canonico presso il Tribunale Ecclesiastico dell'arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno dal luglio 1996 al giugno 1997. Il 30 aprile 1998 si tenne, presso la Congregazione delle Cause dei Santi, l'esame della Consulta Medica e il 22 giugno dello stesso anno, il Congresso peculiare dei Consultori Teologi. Il giorno 20 ottobre seguente, in Vaticano, si riunì la Congregazione ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi membri del Dicastero e il 21 dicembre 1998 fu promulgato, alla presenza di Giovanni Paolo II, il Decreto sul miracolo.

Il 2 maggio 1999 nel corso di una solenne Concelebrazione Eucaristica in piazza San Pietro Sua Santità, Papa Giovanni Paolo II, con la Sua autorità apostolica ha concesso che il venerabile Servo di Dio Pio da Pietrelcina sia chiamato Beato, stabilendone per il 23 settembre la data della festa liturgica.

Per la canonizzazione del Beato Pio da Pietrelcina, la Postulazione ha presentato al competente Dicastero la guarigione del piccolo Matteo Pio Colella di San Giovanni Rotondo. Sul caso è stato celebrato regolare Processo canonico presso il Tribunale ecclesiastico dell'arcidiocesi di Manfredonia-Vieste dall'11 giugno al 17 ottobre 2000. Il 23 ottobre successivo la documentazione è stata consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi. Il 22 novembre 2001 si è tenuto, presso la Congregazione delle Cause dei Santi, l'esame della Consulta Medica. L'11 dicembre si è tenuto il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi e il 18 dello stesso mese la Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi. Il 20 dicembre, alla presenza di Giovanni Paolo II, è stato promulgato il Decreto sul miracolo, mentre il 26 febbraio 2002 fu annunciata la data della canonizzazione.

Il 16 giugno 2002 nel corso di una solenne Concelebrazione Eucaristica in piazza San Pietro Sua Santità, Papa Giovanni Paolo II, «con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo», ha dichiarato e definito Santo il Beato Pio da Pietrelcina, stabilendone per il 23 settembre la memoria liturgica «con il grado di obbligatoria».