VITA PRIMA
DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
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INDICE
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Prologo
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PARTE PRIMA
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CAPITOLO I
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CAPITOLO II
Dio visita il suo spirito con unamalattia e un sogno
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CAPITOLO III
Nasconde sotto il velo di
allegorie il segreto della sua trasformazione interiore
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CAPITOLO IV
Venduta ogni cosa, si libera anche deldenaro ricavato
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CAPITOLO V
Il padre lo perseguita e lo tiene
prigioniero
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CAPITOLO VI
La madre lo libera, ed egli si spogliadavanti al vescovo di Assisi
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CAPITOLO VII
Assalito dai briganti, è gettato
nella neve, poi si applica a servire i lebbrosi
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CAPITOLO VIII
Restaura la chiesa di San
Damiano. Forma di vita delle religiose che vi dimorano.
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CAPITOLO IX
Francesco ripara la chiesa di Santa
Maria della Porziuncola, poi, sentendo leggere un brano evangelico, lascia ogni
cosa e inventa l'abito dei suoi frati.
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CAPITOLO X
Francesco predica il Vangelo e annuncial a pace. Conversione dei primi sei frati
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CAPITOLO XI
Spirito di profezia e predizioni di
san Francesco.
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CAPITOLO XII
Francesco manda i frati a due a duenel mondo; poco tempo dopo si ritrovano insieme
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CAPITOLO XIII
Quando ebbe undici frati, scrisse
la prima Regola, che fu approvata da Innocenzo III.
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CAPITOLO XIV
Ritorno del Santo da Roma nella valleSpoletana e sua sosta nel viaggio
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CAPITOLO XV
Fama del beato Francesco. Conversionedi molti a Dio. Come la sua istituzione fu chiamata " Ordine dei frati
minori ". Formazione di coloro che vi entravano
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CAPITOLO XVI
Dimora a Rivotorto e osservanza dellapovertà
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CAPITOLO XVII
Il beato Francesco insegna ai fratia pregare. Obbedienza e purezza dei medesimi
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CAPITOLO XVIII
Il carro di fuoco e come il beato
Francesco, anche assente, vedeva i suoi frati.
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CAPITOLO XIX
La vigilanza sui suoi frati. Ildisprezzo di se stesso. La vera umiltà
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CAPITOLO XX
Desideroso del martirio
Francesco prima cerca di andare missionario nella Spagna poi in Siria.Per suo
merito, Dio moltiplica i viveri e scampa i naviganti dal naufragio.
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CAPITOLO XXI
Francesco predica agli uccelli etutte le creature gli obbediscono
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CAPITOLO XXII
San Francesco predica in Ascoli e per mezzo di oggetti toccati da lui, gli
ammalati guariscono
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CAPITOLO XXIII
Francesco guarisce uno zoppo aToscanella e un paralitico a Narni
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CAPITOLO XXIV
Francesco rende la vista a una cieca e a Gubbio risana un'altra rattrappita
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CAPITOLO XXV
Francesco libera un frate dall'epilessia e a Sangemmi guarisce un'indemoniata
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CAPITOLO XXVI
Anche a Città di Castello Francescoscaccia un demonio
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CAPITOLO XXVII
Purezza e costanza
del suo spirito. Discorso davanti a papa Onorio III. Affida se stesso e i suoi alla
protezione del cardinale Ugolino, vescovo di Ostia.
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CAPITOLO XXVIII
Spirito di carità e affettuosa compassione verso i poveri. Episodio
della pecora e degli agnellini
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CAPITOLO XXIX
Il suo grande amore per le creaturea motivo del Creatore. Suo ritratto fisico e morale
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CAPITOLO XXX
Il presepio di Greccio
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PARTE SECONDA
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CAPITOLO I
Contenuto di questa parte. Beato transito e mirabile ascesa del Santo
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CAPITOLO II
Il desiderio più grande
di Francesco, e come, aprendo il libro del Vangelo, conobbe il volere di Dio nei suoi confronti
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CAPITOLO III
Visione di un uomo in figura di Serafino crocifisso
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CAPITOLO IV
Fervore di san Francesco e sua malattia di occhi
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CAPITOLO V
Al cardinale Ugolino,
vescovo di Ostia, che lo riceve benevolmente a Rieti, il Santo predice la nomina a Sommo Pontefice
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CAPITOLO VI
Virtù dei frati che servivano san Francesco. Qual era il suo progetto di vita
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CAPITOLO VII
Ritorno di Francesco da Siena ad Assisi. La chiesa di Santa Maria della
Porziuncola e la benedizione ai frati
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CAPITOLO VIII
Ultime parole e atti prima della morte
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CAPITOLO IX
Pianto e gaudio dei frati che ammiranoin lui i segni della crocifissione. Le ali del Serafino
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CAPITOLO X
Il pianto delle Povere dame di SanDamiano e la gloriosa sepoltura di Francesco
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PARTE TERZA
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Tratta della canonizzazione del beato padre
Francesco e dei suoi miracoli
I miracoli di san Francesco
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I. Paralitici guariti
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II. I ciechi ricuperano la vista
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III. Gli indemoniati liberati
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IV. Malati strappati alla morte e altri infermi
guariti
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V. Lebbrosi mondati
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VI. Muti e sordi sanati
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Epilogo
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Questa Vita Prima di san Francesco, che il
francescano abruzzese Tommaso da Celano (c. 1190/c. 1260) scriveva tra il 1228
e l'inizio del 1229, è la prima biograha del Poverello. E, al tempo stesso, è
il capostipite di diverse altre Vite o Leggende non riportate in questo
volume, in quanto ne ripetono la matrice. Ciò vale soprattutto per la Vita
di san Francesco di Giuliano da Spira (c. 1232/1239), per la Leggenda
versificata di Enrico d'Avranches (c. 1232/1234), per la Leggenda corale
dello stesso Tommaso (c. 1230/ /1232), mentre ci sfugge il testo della Leggenda
"Quasi stella matutina " scritta da Giovanni da Celano, fratello
di Tommaso.
Il
valore biografico e letterario della Vita prima è fuori discussione; ha pesato
tuttavia sulle sue vicende la decisione del Capitolo generale di Parigi del
1266, che ordinò di distruggere tutte le precedenti biografie di Francesco,
dopo che Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale, ebbe compilato la sua Leggenda
maggiore (1263). L'opera bonaventuriana riuniva in un solo corpo letterario
la biografia del Santo, edulcorando le testimonianze dirette che Tommaso, tra
il 1228 e il 1253, aveva inserito nella sua "trilogia" (Vita
prima, Vita seconda e Trattato dei miracoli ) .
Ritrovata
(in un manoscritto non molto valido) e pubblicata, per la prima volta, dai
Bollandisti nel 1768, la Vita prima si rivelò, in ambito moderno, un
documento di grande autorità, nonostante le sue preoccupazioni letterarie. Per
la loro edizione critica, gli editori di Quaracchi (in AF, X, pp. 1-117, ma si
veda anche, ivi, M. Bihl, pp. III-XIX) non hanno avuto a disposizione che una
decina di manoscritti, alcuni dei quali mutili. Il nostro volgarizzamento segue
tale edizione.
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Prologo
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Nel nome del Signore. Amen
Incomincia il prologo
alla vita del beato Francesco
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1. Per ordine del glorioso signor papa Gregorio,
mi sono accinto a narrare diligentemente gli atti e la vita del beatissimo
padre nostro Francesco. Ho cercato di farlo con ordine e devozione, scegliendo
sempre come maestra e guida la verità. Ma poiché nessuno può ritenere a memoria
tutte le opere e gli insegnamenti di lui, mi sono limitato a trascrivere con
fedeltà almeno quelle cose che io stesso ho raccolto dalla sua viva voce o
appreso dal racconto di testimoni provati e sinceri, stendendole nel miglior
modo che mi è stato possibile, sebbene tanto inferiore al merito del soggetto.
Potessi davvero essere degno discepolo di colui che evitò costantemente il
linguaggio difficile e gli ornamenti della retorica!
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2. Ho diviso in tre parti e in vari capitoli il
materiale raccolto, allo scopo di non creare confusione tra episodi di tempi
diversi, né dubbio circa la loro verità.
La
prima parte segue l'ordine cronologico, e tratta soprattutto della purezza
della sua vita, delle sue virtù esemplari e dei suoi salutari insegnamenti. Ví
sono inseriti anche alcuni miracoli, tra i tanti che Dio si degnò compiere per
mezzo di lui in vita.
La
seconda narra gli avvenimenti dal penultimo anno della sua vita fino alla sua
beata morte.
La
terza infine raccoglie molti miracoli operati in terra dal Santo, ma molti più
ne tace, da quando egli regna glorioso con Cristo in cielo.
Descrive
pure il culto di venerazione, di onore e di lode che papa Gregorio, felicemente
regnante, e tutti i cardinali di santa Chiesa romana gli tributarono, quando
decisero di iscriverlo nel catalogo dei Santi.
Sia
ringraziato Dio onnipotente, che nei suoi santi si mostra sempre ammirabile e
amabile.
Qui finisce il prologo
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PARTE PRIMA
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A lode e gloria di Dio
onnipotente,
Padre, Figlio e Spirito Santo.
Amen
Incomincia la vita
del beatissimo padre nostro
Francesco
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CAPITOLO I
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COSTUMI MONDANI DELLA SUA GIOVINEZZA
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1. Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo
di nome Francesco. Dai genitori ricevette fin dalla infanzia una cattiva
educazione, ispirata alle vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso
divenne ancor più leggero e vanitoso.
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318
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Questa pessima mentalità, infatti, si è diffusa tra
coloro che si dicono cristiani: si è fatto strada il sistema funesto, quasi
fosse una legge, di educare i propri figli fin dalla culla con eccessiva
tolleranza e dissolutezza. Ancora fanciulli, appena cominciano a balbettare
qualche sillaba, si insegnano loro con gesti e parole cose vergognose e
deprecabili. Sopraggiunto il tempo dello svezzamento, sono spinti non solo a
dire, ma anche a fare ciò che è indecente. Nessuno di loro, a quella età, osa
comportarsi onestamente, per timore di essere severamente castigato. Ben a
ragione, pertanto, afferma un poeta pagano: "Essendo cresciuti tra i
cattivi esempi dei nostri genitori, tutti i mali ci accompagnano dalla
fanciullezza ". E si tratta di una testimonianza vera: quanto più i
desideri dei parenti sono dannosi ai figli, tanto più essi li seguono
volentieri!
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Raggiunta un'età un po' più matura, istintivamente
passano a misfatti peggiori, perché da una radice guasta cresce un albero difettoso,
e ciò che una volta è degenerato, a stento si può ricondurre al suo giusto
stato. E quando varcano la soglia dell'adolescenza, che cosa pensi che
diventino? Allora rompono i freni di ogni norma: poiché è permesso fare tutto
quello che piace, si abbandonano senza riguardo ad una vita depravata.
Facendosi così volutamente schiavi del peccato, trasformano le loro membra in
strumenti di iniquità; cancellano in se stessi, nella condotta e nei costumi,
ogni segno di fede cristiana. Di cristiano si vantano solo del nome. Spesso gli
sventurati millantano colpe peggiori di quelle realmente commesse: hanno paura
di essere tanto più derisi quanto più si conservano puri
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2. Ecco i tristi insegnamenti a cui fu iniziato
quest'uomo, che noi Oggi veneriamo come santo, e che veramente è santo!
Sciupò
miseramente il tempo, dall'infanzia fin quasi al suo venticinquesimo anno.
Anzi, precedendo in queste vanità tutti i suoi coetanei, si era fatto promotore
di mali e di stoltezze. Oggetto di meraviglia per tutti, cercava di eccellere
sugli altri ovunque e con smisurata ambizione: nei giuochi, nelle raffinatezze,
nei bei motti, nei canti, nelle vesti sfarzose e morbide. E veramente era molto
ricco ma non avaro, anzi prodigo; non avido di denaro, ma dissipatore; mercante
avveduto, ma munificentissimo per vanagloria; di più, era molto cortese,
accondiscendente e affabile, sebbene a suo svantaggio. Appunto per questi
motivi, molti, votati all'iniquità e cattivi istigatori, si schieravano con
lui. Così, circondato da facinorosi, avanzava altero e generoso per le piazze
di Babilonia, fino a quando Dio, nella sua bontà, posando il suo sguardo su di
lui, non allontanò da lui la sua ira e non mise in bocca al misero il freno
della sua lode, perché non perisse del tutto.
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La mano del Signore si posò su di lui e la destra
dell'Altissimo lo trasformò, perché, per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la
speranza di rivivere alla grazia, e restasse per tutti un esempio di
conversione a Dio,
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CAPITOLO II
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DIO VISITA IL SUO SPIRITO CON UNA MALATTIA E UN
SOGNO
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3. Ecco dunque quest'uomo vivere nel peccato con
passione giovanile! Trascinato dalla sua stessa età, dalle tendenze della
gioventù e incapace di controllarsi, poteva soccombere al veleno dell'antico
serpente(Cfr Ap 20,2). Ma la vendetta, o meglio la
misericordia divina, all'improvviso richiama la sua coscienza traviata mediante
angustia spirituale e infermità corporale, conforme al detto profetico: Assedierò
la tua via di spine, la circonderò con un muro (Os.2,6 ).
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323
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Colpito da una lunga malattia, come è necessario
per la caparbietà umana, che non si corregge se non col castigo, egli cominciò
effettivamente a cambiare il suo mondo interiore. Riavutosi un po', per
ricuperare le forze, si mise a passeggiare qua e là per la casa, appoggiato ad
un bastone..
Un giorno uscì,
ammirando con più attenzione la campagna circostante; ma tutto ciò che è
gradevole a vedersi: la bellezza dei campi, l'amenità dei vigneti, non gli dava
più alcun diletto. Era attonito di questo repentino mutamento e riteneva stolti
tutti quelli che hanno il cuore attaccato a beni di tal sorta.
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324
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4. Da quel giorno cominciò a far nessun conto di
sé e a disprezzare ciò che prima aveva ammirato ed amato. Non tuttavia in modo
perfetto e reale, perché non era ancora libero dai lacci della vanità, né aveva
scosso a fondo il giogo della perversa schiavitù.
Abbandonare le consuetudini è infatti molto arduo: una volta
impiantatesi nell'animo, non si lasciano sradicare facilmente; lo spirito,
anche dopo lunga lontananza, ritorna ai primitivi atteggiamenti, e il vizio
finisce per diventare una seconda natura. Pertanto Francesco cerca ancora di
sottrarsi alla mano divina; quasi immemore della correzione paterna,
arridendogli la fortuna, accarezza pensieri terreni: ignaro del volere di Dio,
sogna ancora grandi imprese per la gloria vana del mondo.
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Un cavaliere di Assisi stava allora organizzando
grandi preparativi militari: pieno di ambizioni, per accaparrarsi maggior
ricchezza e onore, aveva deciso di condurre le sue truppe fin nelle Puglie.
Saputo questo, Francesco, leggero d'animo e molto audace, trattò subito per
arruolarsi con lui: gli era inferiore per nobiltà di natali, ma superiore per
grandezza d'animo; meno ricco, ma più generoso.
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326
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5. La sua mente era tutta consacrata al
compimento di simile progetto, e aspettava ansioso l'ora di partire. Ma la
notte precedente, Colui che l'aveva colpito con la verga della giustizia lo
visitò in sogno con la dolcezza della grazia; e poiché era avido di gloria, lo
conquise con lo stesso miraggio di una gloria più alta. Gli sembrò di vedere la
casa tappezzata di armi: selle, scudi, lance e altri ordigni bellici, e se ne
rallegrava grandemente, domandandosi stupito che cosa fosse. Il suo sguardo
infatti non era abituato alla visione di quegli strumenti in casa, ma piuttosto
a cataste di panno da vendere.
E mentre era non poco
sorpreso davanti all'avvenimento inaspettato, si sente dire: "Tutte queste
armi sono per te e i tuoi soldati ". La mattina dopo, destandosi, si alzò
con il cuore inondato di gioia e, interpretando la visione come ottimo
auspicio, non dubitava un istante del successo della sua spedizione nelle
Puglie. Tuttavia non sapeva quello che diceva (Lc 9,33),
ignorando ancora il compito che il Signore intendeva affidargli. Non gli
mancava comunque la possibilità di intuire che aveva interpretato erroneamente
la visione, perché, pur avendo essa un rapporto con le imprese guerresche, di
fatto non lo entusiasmava né allietava come al solito; a fatica anzi gli riusciva
di mettere in atto quei suoi piani e realizzare il viaggio tanto desiderato.
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In verità, molto a proposito si parla di armi
subito all'inizio della missione di Francesco, ed è assai conveniente armare il
soldato che si accinge a combattere contro il forte armato (Lc 11,21),
perché, come nuovo Davide, liberi Israele, nel nome del Dio degli
eserciti (1Sam 17,45),dall'antico oltraggio dei nemici.
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CAPITOLO III
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NASCONDE SOTTO IL VELO DI ALLEGORIE IL SEGRETO
DELLA SUA TRASFORMAZIONE
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6. Già cambiato
spiritualmente, ma senza lasciar nulla trapelare all'esterno, Francesco
rinuncia a recarsi nelle Puglie e si impegna a conformare la sua volontà a
quella divina.
.Si apparta un poco dal tumulto del mondo e
dalla mercatura, e cerca di custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore. Come
un mercante avveduto sottrae allo sguardo degli scettici la perla trovata (Mt
13,45-46), e segretamente si adopra a comprarla con la vendita di tutto il
resto.
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329
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Vi era ad Assisi un giovane, che egli amava più
degli altri. Poiché era suo coetaneo e l'amicizia pienamente condivisa lo
invitava a confidargli i suoi segreti, Francesco lo portava con sé in posti
adatti al raccoglimento dello spirito, rivelandogli di aver scoperto un tesoro
grande e prezioso. L'amico, esultante e incuriosito, accettava sempre
volentieri l'invito di accompagnarlo.
Alla
periferia della città c'era una grotta, in cui essi andavano sovente, parlando
del "tesoro". L'uomo di Dio, già santo per desiderio di esserlo, vi
entrava, lasciando fuori il compagno ad attendere, e, pieno di nuovo insolito
fervore, pregava il Padre suo in segreto (Mt 6,6). Desiderava che
nessuno sapesse quanto accadeva in lui là dentro e, celando saggiamente a fin
di bene il meglio, solo a Dio affidava i suoi santi propositi. Supplicava
devotamente Dio eterno e vero di manifestargli la sua via e di insegnargli a
realizzare il suo volere. Si svolgeva in lui una lotta tremenda, né poteva
darsi pace finché non avesse compiuto ciò che aveva deliberato. Mille pensieri
l'assalivano senza tregua e la loro insistenza lo gettava nel turbamento e
nella sofferenza.
Bruciava interiormente di fuoco divino, e non riusciva a dissimulare il
fervore della sua anima. Deplorava i suoi gravi peccati, le offese fatte agli
occhi della maestà divina. Le vanità del passato o del presente non avevano per
lui più nessuna attrattiva, ma non si sentiva sicuro di saper resistere a
quelle future. Si comprende perciò come, facendo ritorno al suo compagno, fosse
tanto spossato da apparire irriconoscibile.
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330
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7. Un giorno finalmente, dopo aver implorato con
tutto il cuore la misericordia divina, gli fu rivelato dal Signore come doveva
comportarsi. E fu ripieno di tanto gaudio da non poterlo contenere e da
lasciare, pur non volendo, trasparire qualcosa agli uomini.
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331
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Il grande amore che gli invadeva l'anima non gli
permetteva ormai di tacere; tuttavia parlava in linguaggio enigmatico: cercava
di esprimersi con gli altri nello stesso modo figurato con cui l'abbiamo visto
discorrere con l'amico preferito di un tesoro nascosto. Diceva di rinunciare a
partire per le Puglie, ma allo scopo di compiere magnanime imprese nella sua
patria. Gli amici pensavano che avesse deciso di maritarsi e gli domandavano:
"Vuoi forse prendere moglie, Francesco? ". Egli rispondeva:
"Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista, superiore a
tutte le altre in bellezza e sapienza".
E veramente sposa è la vera religione che egli abbracciò (Gc
1,27); e il Regno dei Cieli è il tesoro nascosto(Mt 13,44)
che egli cercò così ardentemente. Bisognava davvero che si compisse pienamente
la vocazione evangelica in colui che doveva essere ministro fedele e autentico
del Vangelo(Ef 3,7)!
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CAPITOLO IV
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VENDUTA OGNI COSA, Sl LIBERA ANCHE DEL DENARO
RICAVATO
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8. Così il beato servo dell'Altissimo, sospinto e preparato dallo Spirito
Santo, essendo scoccata l'ora stabilita si abbandona all'impulso della sua
anima: calpesta i beni di questo mondo per la conquista di beni migliori.
D'altronde non gli era più permesso differire: una epidemia mortifera si era
diffusa ovunque, paralizzando a molti le membra in modo tale che avrebbe tolto
loro anche la vita, se il Medico avesse tardato anche solo per poco.
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333
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Francesco pertanto balza in piedi, fa il segno
della croce, appronta un cavallo, monta in sella e, portando con sé panni di
scarlatto, parte veloce per Foligno. Ivi, secondo la sua abitudine, vende tutta
la merce, e, con un colpo di fortuna, perfino il cavallo!
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334
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Sul cammino del ritorno, libero da ogni peso, pensa
all'opera cui destinare quel denaro. Convertito a Dio in maniera rapida e
meravigliosa, sente tale somma troppo ingombrante, la portasse pure per un'ora
sola. Così, tenendone conto quanto l'arena, si affretta a disfarsene.
Avvicinandosi ad Assisi, si imbatte in una chiesa molto antica, fabbricata sul
bordo della strada e dedicata a San Damiano, allora in stato di rovina per
vecchiaia.
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335
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9. Il nuovo cavaliere di
Cristo si avvicina alla chiesa, e vedendola in quella miseranda condizione, si
sente stringere il cuore. Vi entra con timore riverenziale e, incontrandovi un
povero sacerdote, con grande fede gli bacia le mani consacrate, gli offre il
denaro che reca con sé e gli manifesta i suoi proponimenti. Stupito per
l'improvvisa conversione, il sacerdote quasi non crede a quanto odono le sue
orecchie e ricusa di prendere quei soldi, temendo una burla. Infatti lo avevano
visto, per così dire, il giorno innanzi a far baldoria tra parenti e amici,
superando tutti nella stoltezza. Ma Francesco insiste e lo supplica
ripetutamente di credere alle sue parole, e lo prega di accoglierlo con lui a
servire il Signore. E finalmente il sacerdote gli permette di rimanere con lui,
pur persistendo nel rifiuto del denaro, per paura dei parenti. Allora
Francesco, vero dispregiatore della ricchezza, lo getta sopra una finestrella,
incurante di esso, quanto della polvere.
Bramava, infatti, possedere la sapienza che è
migliore dell'oro e ottenere la prudenza che è più preziosa dell'argento (Pr
16,16).
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CAPITOLO V
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IL PADRE LO PERSEGUITA E LO TIENE PRIGIONIERO
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10. Mentre il servo
dell'Altissimo. viveva in quel luogo, suo padre andava cercando ovunque, come
un diligente esploratore, notizie del figlio. Appena venne a conoscenza che
Francesco dimorava in quel luogo e viveva in quella maniera, profondamente
addolorato e colpito dal fatto inatteso, radunò vicini e amici e corse senza
indugio dal servo di Dio. Ma questi, che era ancora novizio nelle battaglie di
Cristo, presentendo la loro venuta e sentendo le grida dei persecutori, si
sottrasse alla loro ira, nascondendosi in un rifugio sotterraneo che si era
preparato proprio in previsione di un simile pericolo.
In
quella fossa, che era sotto la casa. ed era nota forse ad uno solo, rimase
nascosto per un mese intero non osando uscire che per stretta necessità.
Mangiava nel buio del suo antro il cibo che di tanto in tanto gli veniva
offerto, e ogni aiuto gli era dato nascostamente. Con calde lacrime implorava
Dio che lo liberasse dalle mani di chi perseguitava la sua anima (Sal
108,31; 141,7-8) e gli concedesse la grazia di compiere i suoi voti. Nel
digiuno e nel pianto invocava la clemenza del Salvatore e, diffidando di se
stesso, poneva tutta la sua fiducia in Dio.
Benché chiuso in quel rifugio tenebroso, si
sentiva inondato da indicibile gioia, mai provata fino allora. Animato da
questa fiamma interiore, decise di uscire dal suo nascondiglio ed esporsi
indifeso alle ingiurie dei persecutori.
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337
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11. Si leva prontamente e di scatto, pieno di zelo e di letizia, si
munisce dell'armatura necessaria per le battaglie del Signore: lo scudo della
fede e un grande coraggio, e s'incammina verso la città, accusandosi, nel suo
divino entusiasmo, di essersi attardato troppo per viltà.
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338
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Tutti quelli che lo conoscevano, vedendolo
riapparire e mettendo a confronto il suo stato attuale col passato,
cominciarono a insultarlo, a chiamarlo mentecatto, a lanciargli contro pietre e
fango. Quell'aspetto, macerato dalla penitenza, e quell'atteggiamento tanto
diverso dal solito, li inducevano a pensare che tutti i suoi atti fossero
frutto di fame patita e di follia. Ma poiché la pazienza val più
dell'arroganza (Qo 7,9), Francesco non si lasciava disanimare
né sconfiggere da insulto alcuno e ringraziava Dio per quelle prove.
Invano
l'iniquo perseguita l'uomo retto, perché quanto più questi è combattuto tanto
maggiore è il trionfo della sua fortezza. L'umiliazione,
disse qualcuno, rende più intrepido il cuore generoso.
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12. Quel vociare rumoroso
e canzonatorio attorno a lui si diffondeva sempre di più per le vie e le piazze
della città e il clamore degli scherzi rimbalzava di qua e di là toccando le
orecchie di molti, finché giunse anche a quelle di suo padre. Questi, udito
gridare il nome del figlio e saputo che proprio contro di lui era diretto il
dileggio dei cittadini, subito andò da Francesco, non per liberarlo, ma per
rovinarlo. Come il lupo assale la pecora, senza più alcun ritegno, con sguardo
truce e minaccioso, afferrandolo con le mani, lo trascinò a casa. E,
inaccessibile ad ogni senso di pietà, lo tenne prigioniero per più giorni in un
ambiente oscuro, cercando di piegarlo alla sua volontà, prima con parole, poi
con percosse e catene.
Ma
il giovane dalle stesse sofferenze traeva forza e risolutezza per realizzare il
suo santo ideale. Né la debilitante reclusione né i martellanti rimbrotti gli
fecero mai perdere la pazienza.
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340
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Il cristiano infatti ha il mandato di rallegrarsi
nelle tribolazioni: neppure sotto i flagelli e le catene può abbandonare la sua
linea di condotta e di spirito e lasciarsi sviare dal gregge di Cristo. Non lo
intimorisce il diluviare di molte acque (Sal 31,6), lui, che
in ogni angustia ha per rifugio il Figlio di Dio, il quale perché non riteniamo
troppo pesante il giogo delle nostre sofferenze, ci mostra quanto sono assai
più grandi quelle che egli ha sopportato per noi.
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CAPITOLO VI
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LA MADRE LO LIBERA, ED EGLI SI SPOGLIA DAVANTI AL
VESCOVO DI ASSISI
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341
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13. Affari urgenti costrinsero il padre ad
assentarsi per un po' di tempo da casa, e il servo di Dio rimase legato nel suo
sgabuzzino. Allora la madre, essendo rimasta sola con lui, disapprovando il
metodo del marito, parlò con tenerezza al figlio, ma s'accorse che niente
poteva dissuaderlo dalla sua scelta. E l'amore materno fu più forte di lei
stessa: ne sciolse i legami, lasciandolo in libertà. Francesco, ringraziando
Iddio onnipotente, senza perdere un istante, se ne tornò al luogo dove aveva
dimorato prima. Reso più sicuro dall'esperienza delle lotte e tentazioni
affrontate, appariva anche più sereno; le avversità gli avevano maggiormente
temprato lo spirito, e se ne andava ovunque libero e con maggior fermezza.
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342
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Frattanto il padre rincasa e non trovandolo,
accumulando peccati su peccati, tempesta di rimproveri la moglie. Poi furente e
imprecante, corre da Francesco a San Damiano, nel tentativo di almeno
allontanarlo dalla regione, se non gli riesce di piegarlo a ritornare alla sua
vita precedente.
Questa
volta però, poiché chi teme il Signore è sicuro di trovare in Lui ogni forza
(Pr 14,26), il figlio della grazia, appena sente che il padre
terreno sta per sopraggiungere, gli va incontro spontaneamente, gioioso,
dichiarando di non aver più paura delle catene e delle percosse, e di essere
pronto a sopportare lietamente ogni male nel nome di Cristo.
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343
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14. Allora il padre, visto vano ogni sforzo per
distoglierlo dal nuovo cammino, rivolge tutto il suo interesse a farsi
restituire il denaro. L'uomo di Dio aveva deciso di usarlo per i poveri e per
il restauro della cappella; ma, staccato com'era da esso, non si lasciò sedurre
dal miraggio apparente di poterne trarre del bene e non gli dispiacque affatto
privarsene. Ritrovò la borsa del denaro che egli, gran disprezzatore dei beni
terreni e assetato di quelli celesti, aveva scagliato in mezzo alla polvere
della finestra. Il ricupero della somma placò in parte come un refrigerio l'ira
e l'avidità del padre.
Tuttavia
impose al figlio di seguirlo davanti al vescovo della città, perché facesse
nelle mani del prelato la rinuncia e la restituzione completa di quanto
possedeva.
Era
ben lontano dal far resistenza, e aderì giubilante e sollecito a questa
richiesta.
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344
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15. Comparso davanti al vescovo, Francesco non
esita . né indugia per nessun motivo: senza dire o aspettar parole, si toglie
tutte le vesti e le getta tra le braccia di suo padre, restando nudo di fronte
a tutti. Il vescovo, colpito da tanto coraggio e ammirandone il fervore e la
risolutezza d'animo, immediatamente si alza, lo abbraccia e lo copre col suo
stesso manto. Comprese chiaramente di essere testimone di un atto ispirato da
Dio al suo servo, carico di un significato misterioso. Perciò da quel momento
egli si costituì suo aiuto,
protettore e conforto, avvol-gendolo con sentimento di grande amore.
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345
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Il nostro atleta ormai si lancia nudo nella lotta
contro il nemico nudo; deposto tutto ciò che appartiene al mondo eccolo
occuparsi solo della giustizia divina! Si addestra così al disprezzo della
propria vita, abbandonando ogni cura di se stesso, affinché sia compagna della
sua povertà la pace nel cammino infestato da insidie e solo il velo della carne
lo separi ormai dalla visione di Dio.
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CAPITOLO VII
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ASSALITO DAI BRIGANTI, É GETTATO NELLA
NEVE, POI SI APPLICA A SERVIRE I
LEBBROSI
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346
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16. Vestito di cenci, colui che un tempo si
adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in
francese Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli
brutalmente chi sia. L'uomo di Dio risponde impavido e sicuro: "Sono
l'araldo del gran Re; vi interessa questo?". Quelli lo percuotono e lo
gettano in una fossa piena di neve, dicendo: "Stattene lì, zotico araldo
di Dio!". Ma egli, guardandosi attorno e scossasi di dosso la neve, appena
i briganti sono spariti balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a
cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le
cose.
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347
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Finalmente arriva ad un monastero, dove rimane
parecchi giorni a far da sguattero di cucina. Per vestirsi ha un semplice
camiciotto e chiede per cibarsi almeno un po' di brodo; ma non trovando pietà e
neppure qualche vecchio abito, riparte, non per sdegno, ma per necessità, e si
porta nella città di Gubbio. Qui da un vecchio amico riceve in dono una povera
tonaca. Qualche tempo dopo,
divulgandosi ovunque la fama di Franceso, il priore di quel monastero,
pentitosi del trattamento usatogli, venne a chiedergli perdono, in nome del
Signore, per sé e i suoi confratelli.
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348
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I7. Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il
Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità
per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe
virulente, come egli stesso dice nel suo Testamento: "Quando era ancora
nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse
tra loro e con essi usai misericordia". La vista dei lebbrosi infatti,
come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a
due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani. Ma ecco
quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù
dell'Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel
mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso,
gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decise di disprezzarsi sempre
più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria.
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349
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Quand'era ancora nel mondo e viveva vita mondana, egli
si occupava dei poveri, li soccorreva generosamente nella loro indigenza e
aveva affetto di compassione per tutti gli afflitti. Una volta, che aveva
respinto malamente, contro la sua abitudine, poiché era molto cortese, un
povero che gli aveva chiesto l'elemosina, pentitosi subito, ritenne vergognosa
villania non esaudire le preghiere fatte in nome di un Re così grande. Prese
allora la risoluzione di non negar
mai ad alcuno, per quanto era in suo potere, qualunque cosa gli fosse domandata
in nome di Dio. E fu fedele a questo proposito, fino a donare tutto se stesso,
mettendo in pratica anche prima di predicarlo il consiglio evangelico: Dà a
chi ti domanda qualcosa e non voltar le spalle a chi ti chiede un prestito
(Mt 5,42).
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CAPITOLO VIII
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RESTAURA LA CHIESA DI SAN DAMIANO.
FORMA DI VITA DELLE RELIGIOSE CHE Vl DIMORANO
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350
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18. La prima opera cui Francesco pose mano,
appena libero dal giogo del padre terreno, fu di riedificare un tempio al
Signore. Non pensa di costruirne uno nuovo, ma restaura una chiesa antica e
diroccata; non scalza le fondamenta, ma edifica su di esse, lasciandone così,
senza saperlo il primato a Cristo. Nessuno infatti potrebbe creare un altro
fondamento all'infuori di quello che già è stato posto: Gesù Cristo (1Cor
3,11). Tornato perciò nel luogo in cui, come si è detto, era stata
costruita anticamente la chiesa di San Damiano, con la grazia dell'Altissimo in
poco tempo la riparò con ogni diligenza.
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351
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É questo il luogo beato e santo nel quale ebbe
felice origine, per opera di Francesco stesso, l'Ordine glorioso delle
"Povere Dame" e sante vergini, a quasi sei anni dalla sua
conversione. É là che donna Chiara, pure nativa di Assisi, pietra preziosissima
e fortissima, divenne la pietra basilare per tutte le altre pietre di questa famiglia
religiosa.
L'Ordine
minoritico era già felicemente sorto, quand'ella, conquistata a Dio dai moniti
incoraggianti di Francesco, divenne causa ed esempio di progresso spirituale
per innumerevoli anime. Nobile
di nascita, più nobile per grazia; vergine nel corpo, purissima di spirito;
giovane di età, matura per saggezza; costante nel proposito, ardente ed
entusiasta nell'amore a Dio; piena di sapienza e di umiltà; Chiara di nome, più
chiara per vita, chiarissima per virtù.
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352
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19. Su di lei sorse il nobile edificio di
preziosissime perle, la cui lode non può essere fatta da uomini, ma solo da
Dio (Rm 2,29),perché non basterebbe il povero pensiero e
linguaggio umano a concepirla ed esprimerla. Infatti domina tra loro, sopra
ogni altra cosa, la virtù di una continua e mutua carità, che unisce così
profondamente le loro volontà che, perfino in una fraternità di quaranta o
cinquanta persone, come sono in qualche luogo l'identità del volere e del non
volere fa di tante un'anima sola. In secondo luogo, brilla in ognuna la perla
dell'umiltà, la quale conservando i doni e i benefici celesti, fa sì che esse
meritino il dono di tutte le altre virtù. In terzo luogo, il giglio della
verginità e della castità effonde su tutte loro il suo meraviglioso profumo, tanto
che, dimentiche delle preoccupazioni terrene, desiderano soltanto meditare le
realtà celesti. Questa fragranza fa sorgere nei loro cuori tanto amore per il
loro Sposo eterno, che l'integrità del loro amore esclude ogni attaccamento
alla vita di un tempo. In quarto luogo, esse sono così fedeli al " titolo
" della santissima povertà che a stento accondiscendono alle necessità più
urgenti del vitto e delle vesti.
20. In un quinto luogo, hanno ottenuto la
grazia particolare della mortificazione e del silenzio a tal punto, che non fanno praticamente alcuna fatica
a dominare i sensi e a frenare la
lingua. Alcune di loro si sono così
disabituate a parlare che, quando
ne sono costrette per necessità, dimenticano quasi il modo corretto di
pronunciare le parole. In sesto luogo, tutte queste virtù sono in loro adorne
di una pazienza così meravigliosa che nessuna tribolazione o molestia può
spezzarne o mutarne l'anima. In settimo luogo infine, hanno meritato di
elevarsi alle altezze della contemplazione, ed è in questa che esse imparano ciò che devono fare ed evitare, e gustano la felicità di stare
nell'intimità con Dio, perseverando il giorno e la notte nelle lodi e
preghiere. L'eterno Iddio si degni
coronare con la sua santa grazia un inizio così santo con una mèta ancora più
santa.
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353
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E bastino ora queste poche parole per le vergini
consacrate a Dio e devotissime ancelle di Cristo. La loro mirabile vita e la
loro Regola encomiabile ricevuta da Papa Gregorio, allora vescovo di Ostia,
richiedono uno studio particolare e un libro distinto.
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CAPITOLO
IX
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FRANCESCO RIPARA LA CHIESA DI SANTA
MARIA DELLA PORZIUNCOLA; POI, SENTENDO LEGGERE UN BRANO EVANGELICO, LASCIA OGNI COSA E INVENTA L' ABITO DEI SUOI
FRATI
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354
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21. Smesso l'abito secolare e restaurata la
predetta chiesa, il servo di Dio, si portò in un altro luogo vicino alla città
di Assisi e si mise a riparare una seconda chiesa in rovina, quasi distrutta,
non interrompendo la buona opera iniziata, prima d'averla condotta
completamente a termine.
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355
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Poi si trasferì nella località chiamata la
Porziuncola, dove c'era un'antica chiesa in onore della Beata Vergine Madre di
Dio, ormai abbandonata e negletta. Vedendola in quel misero stato, mosso a
compassione, anche perché aveva grande devozione per la Madre di ogni bontà, il
Santo vi stabilì la sua dimora e terminò di ripararla nel terzo anno della sua
conversione.
L'abito
che egli allora portava era simile a quello degli eremiti, con una cintura di
cuoio, un bastone in mano e sandali ai piedi.
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356
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22. Ma un giorno in cui in questa chiesa si
leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di
predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la
Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò
punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono
possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né
bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il
Regno di Dio e la penitenza (Mt 10,7-10; Mc 6, 8-9; Lc 9,1-6),
subito, esultante di spirito Santo, esclamò: " Questo voglio, questo
chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore! ".
S'affretta allora il
padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il salutare ammonimento; non
sopporta indugio alcuno a mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si
scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una
sola tunica, sostituisce la sua cintura con una corda. Da quell'istante
confeziona. per sé una veste che riproduce l'immagine della croce, per tener
lontane tutte le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima, per crocifiggere
la carne e tutti i suoi vizi (Gal 5,24)e peccati, e talmente
povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela!
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357
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Con altrettanta cura e devozione si impegnava a
compiere gli altri insegnamenti uditi.
Egli
infatti non era mai stato un ascoltatore sordo del Vangelo, ma, affidando ad
una encomiabile memoria tutto quello che ascoltava, cercava con ogni diligenza
di eseguirlo alla lettera.
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CAPITOLO X
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FRANCESCO PREDICA IL VANGELO E
ANNUNCIA LA PACE CONVERSIONE DEI PRIMI SEI FRATI
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358
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23. Da allora, con grande fervore ed esultanza,
egli cominciò a predicare la penitenza, edificando tutti con la semplicità
della sua parola e la magnificenza del suo cuore. La sua parola era come fuoco
bruciante, penetrava nell'intimo dei cuori, riempiendo tutti di ammirazione.
Sembrava totalmente diverso da come era prima: tutto intento al cielo,
disdegnava guardare la terra. E, cosa curiosa, iniziò la sua predicazione
proprio dove, fanciullo, aveva imparato a leggere, e dove poi ebbe la prima
gloriosa sepoltura, così che un felice inizio fu coronato da una fine ancor più
lieta. Insegnò dove aveva imparato e terminò felicemente dove aveva
incominciato.
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359
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In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola
di Dio al popolo, augurava la pace, dicendo: " Il Signore vi dia la
pace!" (2Ts 3,16). Questa pace egli annunciava sempre
sinceramente a uomini e donne, a tutti quanti incontrava o venivano a lui. In
questo modo otteneva spesso, con la grazia del Signore, di indurre i nemici
della pace e della propria salvezza, a diventare essi stessi figli della pace e
desiderosi della salvezza eterna.
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360
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24. Il primo tra quelli che seguirono l'uomo di
Dio fu un abitante d'Assisi, devoto e semplice di spirito. Dopo di lui frate
Bernardo, raccogliendo questo messaggio di pace, corse celermente al seguito
del Santo di Dio per guadagnarsi il regno dei Cieli. Egli aveva già più volte
ospitato Francesco nella sua casa; ne aveva osservato e sperimentato la vita e
i costumi e, attratto dalla sua santità, cominciò a riflettere seriamente,
finché si decise ad abbracciare la via della salvezza. Lo vedeva passare le
notti in preghiera, dormire pochissimo e lodare il Signore e la gloriosa
Vergine Madre sua, e, pieno di ammirazione pensava: "Veramente quest'uomo
è un uomo di Dio!" Si affretta perciò, a vendere tutti i suoi beni,
distribuendo il ricavato ai poveri, non ai parenti, e, trattenendo per sé solo
il titolo di una perfezione maggiore, mette in pratica il consiglio evangelico:
Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai, dàllo ai poveri, e avrai
un tesoro in Cielo poi vieni e seguimi!(Mt 19,21) Fatto
questo, vestì l'abito e condivideva la vita di san Francesco, e stette sempre
con lui, fino a quando, cresciuti di numero, con l'obbedienza del pio padre, fu
inviato in altre regioni.
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361
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La sua conversione a Dio servì di modello per tutti
quelli che vennero dopo di lui: dovevano vendere i loro beni e distribuire il
ricavato ai poveri. La venuta e la conversione di un uomo così pio riempirono
Francesco di una gioia straordinaria: gli parve che il Signore avesse cura di
lui, donandogli il compagno di cui ognuno ha bisogno e un amico fedele.
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362
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25. Presto venne alla sua sequela un altro
cittadino di Assisi, degno di ogni elogio per la sua vita, che chiuse poco dopo
ancor più santamente di come l'aveva incominciata.
Ed
ecco sopraggiungere frate Egidio, uomo semplice, retto e timorato di Dio
(Gb 1,8; 2,3), che, in tutta la sua lunga vita, praticò la
santità, la giustizia, la pietà, lasciandoci esempi di obbedienza perfetta,
lavoro manuale, amore al raccoglimento e alla contemplazione religiosa.
Dopo
di lui arrivò un altro, e finalmente il loro numero divenne sette con frate
Filippo, al quale il Signore aveva toccato e purificato le labbra con il
carbone ardente, così che parlava di Dio con spirito mirabile. Interpretava la
Scrittura, spiegando il significato più recondito, senza aver studiato nelle
scuole, simile a coloro che i principi dei Giudei disprezzavano come ignoranti
e illetterati.
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CAPITOLO XI
|
SPIRITO DI PROFEZIA E PREDIZIONI
Dl SAN FRANCESCO
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363
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26. Il beato padre Francesco, ricolmo ogni giorno
più della grazia dello Spirito Santo, si adoperava a formare con grande
diligenza e amore i suoi nuovi figli, insegnando loro, con princìpi nuovi, a
camminare rettamente e con passo fermo sulla via della santa povertà e della
beata semplicità.
Un giorno, pieno di
ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti
desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di
quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un
luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore
il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati
malamente e ripetendo: "O Dio, sii propizio a me peccatore!"(Lc
18,13). A poco a poco si sentì inondare nell'intimo del cuore di
ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l'angoscia
e le tenebre, che gli si erano addensate nell'animo per timore del peccato,
scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di
vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una
grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente poté contemplare
liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli
aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro.
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364
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Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro
pieno di gioia: "Carissimi, confortatevi e rallegratevi nel Signore; non
vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e vostra
semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una innumerevole
moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a
raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno
conservare il segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne. Ho visto
una gran quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l'abito
della santa Religione e secondo la Regola del nostro beato Ordine. Risuona
ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al
comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro,
provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi,
inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie lingue". Ascoltando queste
parole, una santa gioia si impadronì dei frati, per la grazia che Iddio
concedeva al suo Santo, perché assetati come erano del bene del prossimo,
desideravano che ogni giorno venissero nuove anime ad accrescere il loro numero
per trovarvi insieme salvezza.
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365
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28. E Francesco riprese il suo discorso:
"Per ringraziare con fedeltà e devozione il Signore Dio nostro per tutti i
suoi doni, o fratelli, e perché conosciate come dobbiamo vivere ora e nel
futuro, ascoltate la verità sugli avvenimenti futuri. All'inizio della vita del
nostro Ordine troveremo frutti dolci e deliziosi, poi ne avremo altri meno gustosi;
infine ne raccoglieremo di quelli tanto amari da non poterli mangiare, perché a
motivo della loro asprezza saranno immangiabili per tutti, quantunque siano
estremamente belli e profumati. Effettivamente, come vi dissi, il Signore ci
farà crescere fino a diventate un popolo assai numeroso; poi avverrà come di un
pescatore che, gettando le reti nel mare o in qualche lago, prende grande
quantità di pesci (Lc 5,6), ma dopo averli messi tutti nella sua
navicella essendo troppi, sceglie i migliori e i più grossi da riporre nei vasi
e portar via, e abbandona gli altri".
Di quanta verità e chiarezza rifulgano queste
predizioni del Santo è manifesto a chiunque le consideri con spirito obiettivo
e sincero. Ecco come lo spirito di profezia riposava su san Francesco!
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CAPITOLO XII
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FRANCESCO MANDA I FRATI A DUE A DUE
NEL MONDO; POCO TEMPO DOPO SI RITROVANO
INSIEME
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366
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29. Nello stesso tempo entrò nell'Ordine una
nuova e ottima recluta, così il loro numero fu portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò
tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo
del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve
esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno e
disse loro: " Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo
e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e
siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo
disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga,
benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché
in cambio ci viene preparato il regno eterno".
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367
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Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il
precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che
abbracciandoli con tenerezza e devozione diceva ad ognuno: "Riponi la
tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te"(Sal 54,28) . Era
la frase che ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire
l'obbedienza.
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368
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30. Allora frate Bernardo con frate Egidio partì
per Compostella, al santuario di San Giacomo, in Galizia; san Francesco con un
altro compagno si scelse la valle di Rieti; gli altri quattro, a due a due, si
incamminarono verso le altre due direzioni.
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369
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Ma passato breve tempo, san Francesco,
desiderando di rivederli tutti, pregò il Signore, il quale raccoglie i figli
dispersi d'Israele (Is 11,12), che si degnasse nella sua
misericordia di riunirli presto. E tosto, secondo il suo desiderio e senza che
alcuno li chiamasse, si ritrovarono insieme e resero grazie a Dio. Prendendo il
cibo insieme manifestano calorosamente la loro gioia nel rivedere il pio
pastore e la loro meraviglia per aver avuto il medesimo pensiero.
Raccontano
poi i benefici ricevuti dal misericordioso Signore e chiedono e ottengono
umilmente la correzione e la penitenza dal beato padre per le eventuali colpe
di negligenza o di ingratitudine.
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370
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E così solevano fare sempre quando si recavano da
lui; non gli nascondevano neppure il minimo pensiero e i moti involontari
dell'anima, e dopo aver compiuto tutto ciò che era stato loro comandato, si ritenevano
ancora servi inutili(Lc 17,10). E veramente la
"purezza di cuore" riempiva a tal punto quel primo gruppo di
discepoli del beato Francesco, che, pur sapendo operare cose utili, sante e
rette, si mostrava del tutto incapace di trarne vana compiacenza. Allora il
beato Francesco, stringendo a sé i figli con grande amore, cominciò a
manifestare a loro i suoi propositi e ciò che il
Signore gli aveva rivelato.
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371
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31. Durante questo tempo si aggregarono a loro e
si fecero discepoli di Francesco altri quattro uomini degni e virtuosi. Perciò
l'interesse per il movimento e la fama dell'uomo di Dio cresceva sempre più tra
il popolo. E veramente in quel tempo Francesco e i suoi compagni provavano una
immensa allegrezza e una gioia inesplicabile quando qualcuno dei fedeli,
chiunque e di qualunque condizione fosse, ricco, povero, nobile, popolano,
spregevole, onorato, prudente, semplice, chierico, indotto, laico, guidato
dallo spirito di Dio veniva a prender l'abito della loro santa religione.
Riscuotevano
tutti la sincera ammirazione degli uomini del mondo, e l'esempio della loro
umiltà era per essi una provocazione a vivere meglio e a far penitenza dei
propri peccati.
Né
l'umiltà della condizione, né la povertà che il mondo ritiene una infermità,
potevano impedire che fossero incorporati nella costruzione di Dio quelli che
egli voleva inserirvi, poiché Dio trova la sua compiacenza nello stare con i
semplici e con quelli che il mondo disprezza.
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CAPITOLO XIII
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QUANDO EBBE UNDICI
FRATI, SCRISSE LA PRIMA REGOLA, CHE FU APPROVATA DA INNOCENZO III
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372
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32. Vedendo che di giorno in giorno aumentava il
numero dei suoi seguaci, Francesco scrisse per sé e per i frati presenti e
futuri, con semplicità e brevità, una norma di vita o Regola, composta
soprattutto di espressioni del Vangelo, alla cui osservanza perfetta
continuamente aspirava. Ma vi aggiunse poche altre direttive indispensabili e
urgenti per una santa vita in comune.
|
373
|
Poi, con tutti i suddetti frati, si recò a Roma,
desiderando grandemente che il signor papa Innocenzo III, confermasse quanto
aveva scritto.
In quel tempo si trovava a Roma il venerando vescovo d'Assisi, Guido,
che aveva particolare affetto e stima per Francesco e per tutti i suoi
fratelli. Quando li vide, non sapendo il motivo della loro venuta, si turbò
molto, perché temeva che volessero lasciare la loro patria, nella quale il
Signore per mezzo di quei suoi servi operava già grandissimo bene. Era infatti
profondamente lieto di avere nella propria diocesi tanti uomini di quel genere,
perché dalla loro vita santa si attendeva grandi frutti. Come ebbe però udito
il motivo del viaggio e il loro proposito, si rallegrò assai nel Signore e si
offrì di consigliarli e aiutarli.
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374
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San Francesco si presentò anche al vescovo di
Sabina, Giovanni di San Paolo, che tra i principi e prelati della Curia romana,
aveva fama di disprezzare le cose terrene e amare le celesti. Egli l'accolse
benevolmente e lodò il suo disegno.
33.
Nondimeno, da uomo prudente, lo interrogava su molti punti e cercava di
convincerlo a scegliere la vita monastica o l'eremitica. Ma san Francesco
ricusava con quanta più umiltà poteva quegli argomenti, non perché li
disprezzasse, ma perché si sentiva trasportato da più alto desiderio seguendo
con amore un altro ideale. Il vescovo ammirava il suo zelo, tuttavia temendo
che non potesse perseverare in un ideale così alto, gli additava vie più piane.
Infine, vinto dalla sua costanza, accondiscese alle sue preghiere e si impegnò
a promuovere la causa di lui davanti al Papa.
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375
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Era allora preposto alla Chiesa di Dio, il signor
papa Innocenzo III, uomo che si era coperto di gloria, dotto, ricco di
eloquenza, ardente cultore della giustizia nel difendere i diritti e gli
interessi della fede cristiana. Questi. conosciuto il desiderio di quegli
uomini di Dio, dopo matura riflessione, diede il suo assenso alla loro
richiesta, e lo completò dandogli effetto; li incoraggiò con molti consigli e
li benedisse, dicendo: "Andate con Dio, fratelli, e come Egli si degnerà
ispirarvi, predicate a tutti la penitenza. Quando
il Signore onnipotente vi farà crescere in numero e grazia, ritornerete lieti a
dirmelo, ed io vi concederò con più sicurezza altri favori e uffici più
importanti ".
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376
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Veramente il Signore era con Francesco ovunque
andasse, allietandolo con rivelazioni e animandolo con i suoi benefici. Una notte ebbe questa visione: sul ciglio della strada
che stava percorrendo c'era un albero maestoso, robusto e bello, con un tronco
enorme e altissimo. Avvicinatosi per osservarne la bellezza e grandezza, egli
stesso all'improvviso crebbe tanto da poterne toccare la cima. Lo prese e con
una sola mano lo piegò agevolmente fino a terra. Così era avvenuto veramente:
papa Innocenzo, che è come l'albero più alto e potente del mondo, si era
inchinato così benevolmente alla preghiera del beato Francesco.
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CAPITOLO XIV
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RITORNO DEL SANTO DA
ROMA NELLA VALLE SPOLETANA E SUA SOSTA NEL VIAGGIO
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377
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34. Francesco con i compagni, pieno d'esultanza per
il dono di un così grande padre e signore, ringraziò Iddio onnipotente, che
innalza gli umili e conforta gli afflitti (Gb 5,11); fece
subito visita alla basilica di San Pietro e, finita la sua preghiera, riprese
con i fratelli il cammino di ritorno verso la valle di Spoleto. Cammin facendo,
andavano ripensando gli innumerevoli e grandi benefici ricevuti da Dio
clementissimo; la cortesia con la quale erano stati accolti dal Vicario di
Cristo, Pastore benevolo e universale della Cristianità; ricercavano insieme
qual fosse il modo migliore di adempiere i suoi consigli e comandi, come
osservare e custodire con sincerità e fedeltà la Regola; come dovevano
camminare santamente e religiosamente davanti all'Altissimo; infine come la
loro vita e i loro costumi, mediante la crescita nelle sante virtù, avrebbe
potuto essere d'esempio agli altri.
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378
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I nuovi discepoli di Cristo avevano già
conversato a lungo in ispirito di umiltà di questi santi argomenti, e il giorno
volgeva al tramonto. Si trovavano, in quel momento, molto stanchi e affamati,
in un luogo deserto, e non potevano trovare nulla da mangiare, poiché quel
luogo era molto lontano dall'abitato. Ma all'improvviso, per divina
provvidenza, apparve un uomo recante del pane; lo diede loro e se ne andò.
Nessuno di loro l'aveva mai conosciuto, e perciò, pieni di ammirazione, si
esortavano devotamente l'un l'altro a confidare sempre di più nella divina
misericordia. Dopo essersi ristorati con quel cibo, proseguirono fino ad un
luogo vicino a Orte, e qui si fermarono per circa quindici giorni. Alcuni di
loro si recavano in città a cercare il vitto necessario e riportavano agli
altri quanto erano riusciti a racimolare chiedendo l'elemosina di porta in
porta, e lo mangiavano insieme lieti e ringraziando il Signore. Se avanzava
qualcosa, quando non potevano donarla ai poveri, la riponevano in una fossa,
che un tempo era servita da sepolcro, per cibarsene il giorno seguente. Quel
luogo era deserto e non vi passava quasi nessuno.
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379
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35. Erano felicissimi di non vedere e di non
possedere alcuna cosa vana o dilettevole ai sensi. Cominciarono così a
stringere un patto d'alleanza con la santa povertà, e si proponevano di vivere
con essa per sempre e ovunque, come in quel momento, tanta era la consolazione
che provavano mentre erano privi di tutto ciò che il mondo ama. E poiché,
liberi da ogni cura terrena, trovavano piacere solo nelle cose celesti,
deliberano irrevocabilmente di non sciogliersi mai, per nessuna tribolazione o
tentazione, dall'abbraccio della povertà.
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380
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Ma, sebbene non ci fosse per loro pericolo di
sorta nella amenità della regione, che pure può affievolire il vigore dello
spirito, tuttavia, perché una lunga dimora non creasse una parvenza di
possesso, lasciarono quel luogo e, seguendo il padre, che era pieno di
felicità, entrarono nella valle Spoletana.
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381
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Si domandavano ancora e seriamente, da persone che
si erano impegnate a vivere sinceramente nella santità, se dovevano svolgere la
loro vita tra gli uomini o ritirarsi negli eremi. E Francesco, che, non
fidandosi mai di se stesso, in ogni decisione cercava ispirazione da Dio nella
preghiera, scelse di vivere per Colui che morì per tutti, ben consapevole di
essere stato inviato da Dio a conquistare le anime che il diavolo tentava di
rapire.
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CAPITOLO XV
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FAMA DEL BEATO
FRANCESCO. CONVERSIONE DI MOLTI A DIO. COME LA SUA ISTITUZIONE FU CHIAMATA " ORDINE DEI FRATI MINORI ". FORMAZIONE DI COLORO CHE Vl ENTRAVANO
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382
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36. Il valorosissimo soldato di Cristo passava
per città e castelli annunciando il Regno dei cieli, la pace, la via della
salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici
della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito (1Cor 2,4). Poiché
ne aveva ricevuto l'autorizzazione dalla Sede Apostolica, operava fiducioso e
sicuro, rifuggendo da adulazioni e lusinghe. Non era solito blandire i vizi, ma
sferzarli con fermezza; non cercava scuse per la vita dei peccatori, ma li
percuoteva con aspri rimproveri, dal momento che aveva piegato prima di tutto
se stesso a fare ciò che inculcava agli altri. Non temendo quindi d'esser
trovato incoerente, predicava la verità con franchezza, tanto che anche uomini
dottissimi e celebri accoglievano ammirati le sue ispirate parole, e alla sua
presenza erano invasi da un salutare timore.
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383
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Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano
a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo
di un altro mondo. Persone di ogni età e sesso venivano sollecite ad ammirare
le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo per mezzo del suo
servo. La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una
nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre
che avevano invaso la terra, così che quasi più nessuno sapeva scorgere la via
della salvezza. Erano infatti quasi tutti precipitati in una così profonda
dimenticanza del Signore e dei suoi comandamenti, che appena sopportavano di
smuoversi un poco dai loro vizi incalliti e inveterati.
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384
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37. Splendeva come fulgida stella nel buio della
notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre; così in breve l'aspetto
dell'intera regione si cambiò e, perdendo il suo orrore, divenne più ridente.
E’ finita la lunga siccità, e nel campo già squallido cresce rigogliosa la
messe. Anche la vigna incolta comincia a coprirsi di fiori profumati e a
maturare, per grazia del Signore, i frutti soavi di bontà e di bene. Ovunque
risuonano azioni di grazie e inni di lode, e non pochi, lasciate le cure mondane,
seguendo l'esempio e l'insegnamento di san Francesco, impararono a conoscere
amare e rispettare il loro Creatore. Molti, nobili e plebei, chierici e laici,
docili alla divina ispirazione, si recavano dal Santo, bramosi di schierarsi
per sempre con lui e sotto la sua guida. E a tutti egli, come ricca sorgente di
grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le virtù nel
giardino del cuore. Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso:
mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento, si rinnova la
Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia
degli eletti.
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385
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A tutti dava una regola di vita, e indicava la via
della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione.
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386
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38. É ora il momento di concentrare l'attenzione
soprattutto sull'Ordine che Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la
sua professione. Proprio lui infatti fondò l'Ordine dei frati minori, ed ecco
in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola
quelle parole: "Siano minori", appena l'ebbe udite esclamò:
"Voglio che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori".
E realmente erano " minori "; " sottomessi a tutti " e
ricercavano l'ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione,
per gettare così. le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si
potesse svolgere l'edificio spirituale di tutte le virtù.
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387
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E davvero su questa solida base edificarono,
splendida. la costruzione della carità. E come pietre vive, raccolte, per così
dire, da ogni parte del mondo, crebbero in tempio dello Spirito Santo. Com'era
ardente l'amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era forte in
essi l'amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o
per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del
loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di
vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci,
dolci colloqui, sorrisi modesti, aspetto lieto, occhio semplice, animo umile,
parlare cortese, risposte gentili, piena unanimità nel loro ideale, pronto
ossequio e instancabile reciproco servizio.
39. Avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da
qualsiasi amore egoistico, dal momento che riversavano tutto l'affetto del
cuore in seno alla comunità, cercavano con tutto l'impegno di donare perfino se
stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli. Erano felici quando
potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; ma era per tutti pesante
il vivere separati, amaro il distacco, doloroso il momento dell'addio. Questi
docilissimi soldati non anteponevano comunque nulla ai comandi della santa
obbedienza; vi si preparavano anzi in anticipo, e si precipitavano ad eseguire,
senza discutere e rimosso ogni ostacolo, qualunque cosa veniva loro ordinata.
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388
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Da cultori fedeli della santissima povertà,
poiché non possedevano nulla, non s'attaccavano a nessuna cosa, e niente
temevano di perdere. Erano contenti di una sola tonaca talvolta rammendata
dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire in quella veste
dei veri crocifissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e
portavano rozzi calzoni. Il loro santo proposito era di restare in quello
stato, senza avere altro. Erano perciò sempre sereni, liberi da ogni ansietà e
pensiero, senza affanni per il futuro; non si angustiavano neppure di
assicurarsi un ospizio per la notte, anche se pativano grandi disagi nel
viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità, si
rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca.
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389
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Di giorno, quelli che ne erano capaci, si
impegnavano in lavori manuali, o nei ricoveri dei lebbrosi o in altri luoghi,
servendo a tutti con umiltà e devozione. Non volevano esercitare nessun lavoro
che potesse dar adito a scandalo, ma sempre si occupavano di cose sante e
giuste, oneste e utili, dando esempio di umiltà e di pazienza a tutti coloro
con i quali si trovavano.
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390
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40. Amavano talmente la pazienza, che preferivano
stare dove c'era da soffrire persecuzioni che non dove, essendo nota la loro
santità, potevano godere i favori del mondo. Spesso, ingiuriati, vilipesi,
percossi, spogliati, legati, incarcerati, sopportavano tutto virilmente, senza
cercare alcuna difesa; dalle loro labbra anzi non usciva che un cantico di lode
e di ringraziamento.
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391
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Non cessavano quasi mai di pregare e lodare il
Signore; esaminando ogni loro azione, ringraziavano Dio per il bene fatto e piangevano
amaramente per le colpe e negligenze commesse. Quando poi nella preghiera non
avvertivano la usuale dolcezza, si credevano abbandonati da Dio. E per non
lasciarsi sorprendere dal sonno durante la loro lunga preghiera, adoperavano
diversi espedienti: alcuni si aggrappavano a delle funi, altri si servivano di
cilizi di ferro o di legno. Se talvolta pareva loro di essere stati meno sobri
del solito, per aver preso cibo e bevanda a sufficienza, oppure di aver
oltrepassato sia pur per poco la misura della stretta necessità per la
stanchezza del viaggio, si punivano aspramente con una astinenza di parecchi
giorni. Si studiavano infine di domare gli istinti della carne con tal rigore,
da non esitare spesso a tuffarsi nel ghiaccio e a martoriare il corpo tra i
rovi acuminati rigandolo di sangue.
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392
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41. Avevano tanto disprezzo per i beni terreni, che
a stento sopportavano di accettare le cose più necessarie per vivere e,
disabituati ormai da lungo tempo a qualsiasi comodità corporale, affrontavano
senza paura alcuna le più dure privazioni.
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393
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Ma mentre erano così severi con se stessi, il
loro contegno era sempre garbato e pacifico con tutti; e attendevano solo a
opere di edificazione e di pace, evitando con grande cura ogni motivo di mal
esempio. Parlavano solamente quando era necessario, né mai dicevano parole
scorrette o vane. In tutta la loro vita e attività non si poteva trovare nulla
che non fosse onesto e retto. Dal loro atteggiamento traspariva sempre
compostezza e modestia; e mortificavano talmente i propri sensi che non
vedevano né sentivano se non quello che era essenziale e doveroso: sguardo
rivolto a terra e mente fissa al cielo. Gelosia, malizia, rancore, diverbi,
sospetto, amarezza non trovavano posto in loro, ma soltanto grande concordia,
costante serenità, azioni di grazia e di lode.
Ecco i
princìpi con i quali Francesco educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente
a parole, ma soprattutto con le opere e l'esempio della sua vita.
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CAPITOLO XVI
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DIMORA A RIVOTORTO E OSSERVANZA DELLA POVERTÀ
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394
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42. Il beato Francesco era solito raccogliersi
con i suoi compagni in un luogo presso Assisi, detto Rivotorto, ed erano
felici, quegli arditi dispregiatori delle case grandi e belle, di un tugurio
abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere, perché, al dire di un
santo, c'è maggior speranza di salire più presto in cielo dalle baracche che
dai palazzi.
Padre
e figli se ne stavano così insieme, tra molti stenti e indigenze, non di raro
privi anche del ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a
mendicare per la pianura di Assisi. L'abitazione poi era tanto angusta, che a
fatica vi potevano stare seduti o stesi a terra, tuttavia "non si udiva
mormorazione né lamento; ognuno manteneva la sua giocondità di spirito e tutta
la sua pazienza".
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395
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San Francesco ogni giorno, anzi di continuo
esaminava diligentemente se stesso e i suoi, perché non restasse in loro nulla
di mondano e fosse evitata qualsiasi negligenza. Con se stesso era
particolarmente rigoroso e vigile, e se come avviene a tutti, lo assaliva
qualche tentazione della carne, si immergeva d'inverno nel ghiaccio, finché il
pericolo spirituale fosse scomparso. Gli altri, naturalmente, imitavano
fervidamente questo suo mirabile esempio di penitenza.
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396
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43. Insegnava loro non solo a combattere i vizi e
a mortificare gli stimoli del corpo, ma anche a conservare puri i sensi
esterni, per i quali la morte entra nell'anima.
Passando
un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore l'imperatore Ottone,
che si recava a ricevere "la corona della terra", il santissimo padre
non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito,
né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con
fermezza all'imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco.
Siccome il
glorioso Santo aveva la sua dimora nell'intimo del cuore, dove preparava una
degna abitazione a Dio, il mondo esteriore con il suo strepito non poteva mai
distrarlo, né alcuna voce interrompere la grande opera a cui era intento. Si
sentiva investito dall'autorità apostolica, e perciò ricusava fermamente di
adulare re e principi.
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397
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44. Cercava costantemente la santa semplicità, né
ammetteva che l'angustia del luogo impedisse le espansioni dello spirito. Scrisse
perciò i nomi dei frati sui travicelli della capanna, perché ognuno potesse
riconoscervi il proprio posto per la preghiera e il riposo, e la ristrettezza
del luogo non turbasse il raccoglimento dell'animo.
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398
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Mentre erano nel tugurio, capitò un giorno che un
contadino vi giungesse col suo asinello, e temendo di essere cacciato fuori,
spinse l'asino dentro il tugurio, incitandolo con queste parole: "Entra,
che faremo un buon servizio a questo ricovero!". Francesco nell'udire
questo si rattristò, indovinando il pensiero di quell'uomo: credeva infatti che
i frati volessero fermarvisi e ingrandire la loro abitazione, unendo casa a
casa. E subito san Francesco abbandonò quel luogo, per recarsi in un altro non
distante, chiamato Porziuncola dove, come si disse, molto tempo prima egli
stesso aveva riparato la chiesa di Santa Maria. Non voleva avere nulla di
proprio, per poter possedere più pienamente tutto nel Signore.
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CAPITOLO XVII
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IL BEATO FRANCESCO INSEGNA Al FRATI A PREGARE. OBBEDIENZA
E PUREZZA DEI MEDESIMI
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399
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45. In quel tempo i frati gli chiesero con
insistenza che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità
di spirito, non conoscevano ancora l'ufficio liturgico. Ed egli rispose: "Quando
pregate, dite: Padre nostro (Mt 6,9)! e: Ti adoriamo, o Cristo,
in tutte le tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua
santa croce hai redento il mondo ". E questo gli stessi discepoli del
pio maestro si impegnavano ad osservare con ogni diligenza, perché si
proponevano di eseguire perfettamente non solo i consigli fraterni e i comandi
di lui, ma perfino i suoi segreti pensieri, se riuscivano in qualche modo a
intuirli.
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400
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Infatti il beato padre insegnava loro che la vera
obbedienza riguarda i pensieri non meno che le parole espresse. i desideri non
meno che i comandi. E cioè: "Se un frate suddito, prima ancora di udire le
parole del superiore, ne indovina l'intenzione, subito deve disporsi
all'obbedienza e fare ciò che al minimo segno gli sembrerà la volontà di lui".
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401
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Fedeli alla esortazione di Francesco, essi, ogni
volta che passavano vicino a una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano,
si inchinavano in quella direzione e, proni col corpo e con lo spirito,
adoravano l'Onnipotente, dicendo: "Ti adoriamo, o Cristo,
qui e in tutte le chiese". E, cosa non meno ammirevole, altrettanto
facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per
terra, sulle pareti, tra gli alberi, nelle siepi.
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402
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46. Erano così pieni di santa semplicità, di innocenza!
di purezza di cuore da ignorare ogni doppiezza. Come unica era la loro fede,
così regnava in essi l'unità degli animi, la concordia degli intenti e dei
costumi, la stessa carità, la pratica delle virtù, la pietà degli atti,
l'armonia dei pensieri.
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403
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Avevano scelto come confessore un sacerdote
secolare che era tristamente noto per le sue enormi colpe e degno del disprezzo
di tutti a motivo della sua depravata condotta; ma essi non vollero credere al
male che si diceva di lui e continuarono a confessargli i propri peccati,
prestandogli la debita riverenza. Anzi, avvenne un giorno che quel sacerdote, o
forse un altro, dicesse a uno di loro: " Bada, fratello, di non essere
ipocrita"; quel frate si reputò davvero ipocrita e, per il profondo dolore
che ne sentiva, non sapeva più darsi pace, giorno e notte. Agli altri che gli
chiedevano il perché di tanto insolito lamento e mestizia, rispondeva: "Un
sacerdote mi ha detto questo, e io ne sono così afflitto da non poter pensare
ad altro!". Lo esortavano, per consolarlo, a non prestar fede a quelle
parole; ma egli replicava: "Che dite mai, fratelli? Può forse un sacerdote
dire il falso? Se il sacerdote non può mentire, bisogna credere che quanto mi
ha detto è vero". E perseverò a lungo in tale semplicità, finché Francesco
stesso lo assicuro, spiegandogli le parole del sacerdote e scusandone con
sapiente intuito l'intenzione. Non c'era turbamento, per grande che fosse,
nell'animo dei confratelli che alla sua parola di fuoco non svanisse e tornasse
il sereno!
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CAPITOLO XVIII
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IL CARRO DI FUOCO E COME IL BEATO FRANCESCO, ANCHE ASSENTE, VEDEVA I SUOI FRATI
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404
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47. Poiché camminavano con semplicità davanti a
Dio e con coraggio davanti agli uomini, in quel tempo meritarono i santi frati
la grazia di una rivelazione soprannaturale. Animati dal fuoco dello Spirito
Santo, pregavano cantando il "Pater noster" su una melodia religiosa,
non solo nei momenti prescritti, ma ad ogni ora, perché non erano preoccupati
dalle cure materiali.
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405
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Una volta che Francesco era assente, verso
mezzanotte, mentre alcuni dormivano e altri pregavano fervorosamente in
silenzio, entrò per la porticina della casa un carro di fuoco luminosissimo che
fece due o tre giri per la stanza; su di esso poggiava un grande globo, che a
guisa di sole rischiarò le tenebre notturne. I frati che vegliavano furono
pieni di stupore, quelli che dormivano si destarono atterriti, sentendosi tutti
quanti invasi da quella luce, non solo nel corpo, ma anche nello spirito.
Riunitisi insieme, si domandavano il significato di quel misterioso fenomeno;
ma ecco, per la virtù di tanto fulgore ognuno vedeva chiaramente nella
coscienza dell'altro. Allora compresero e furono certi che si trattava
dell'anima del beato padre, raggiante di così grande splendore, e che essa si
era meritato da Dio quel dono straordinario di benedizione e di grazia,
soprattutto a motivo della sua purezza e per la sua sollecitudine paterna verso
i suoi figli.
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406
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48. Spessissimo avevano avuto precisi e chiari
indizi che Francesco, per la sua santità, poteva leggere i segreti della loro
anima. Quante volte infatti, per rivelazione dello Spirito Santo, conobbe le
vicende dei fratelli lontani, penetrò i cuori e le coscienze! Quanti avvertì in
sogno di quello che dovevano fare o evitare! A quanti, che sembravano retti
esteriormente, predisse il pericolo della perdizione, mentre ad altri,
conoscendo il termine delle loro opere malvagie, predisse la grazia della
salvezza! Qualcuno anzi, particolarmente puro e semplice, ebbe il dono e il
conforto speciale della apparizione del Santo in maniera davvero singolare.
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407
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Tra tanti fatti del genere, eccone uno appreso da
testimoni degni di fede. Frate Giovanni da Firenze, eletto da san Francesco
ministro dei minori in Provenza, aveva raccolto i suoi frati a capitolo. Il
Signore Iddio gli concesse, nella sua bontà, la grazia di parlare con tanto
zelo da conquistare tutti ad un ascolto benevolo e attento. Era presente tra
loro un frate sacerdote, di nome Monaldo, famoso specialmente per la vita
virtuosa, fondata sull'umiltà, corroborata dalla preghiera frequente e difesa
dalla pazienza; ed anche frate Antonio al quale Iddio diede
"l'intelligenza delle sacre Scritture"(Lc 24,45) e il dono di
predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele. Ora, mentre
Antonio predicava ai frati con fervore e devozione grandissima sul tema:
"Gesù Nazzareno, Re dei Giudei" (Gv 19,19), il detto frate
Monaldo, guardando verso la porta della sala capitolare, vide il beato
Francesco sollevato in alto, con le braccia distese a forma di croce, in atto
di benedire i presenti. E tutti i presenti, sentendosi essi stessi investiti
dalla consolazione dello Spirito Santo, e ripieni di gaudio salutare, trovarono
assai credibile il racconto dell'apparizione e della presenza del gloriosissimo
Padre.
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408
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49. Quanto alla conoscenza che egli aveva dei
segreti dei cuori, tra le molte prove che molti conobbero, ne riferirò una
indubitabile sotto ogni aspetto. Un frate di nome Riccerio, nobile di famiglia
e più ancora di costumi, vero amante di Dio e disprezzatore di se stesso, aveva
il pio desiderio e la fortissima volontà di assicurarsi la piena benevolenza
del santo padre Francesco; ma d'altra parte lo tormentava il timore che san
Francesco lo detestasse segretamente, privandolo del suo affetto. Era convinto
questo frate, assai timorato, che chiunque era amato di particolare amore da
san Francesco, fosse anche degno di meritarsi la divina grazia, e che viceversa
fosse segno di condanna del Giudice divino, se non fosse accolto da lui con
benevolenza e amicizia. Ma non rivelava a nessuno questo suo inquietante e
persìstente pensiero.
50. Un giorno però il beato padre, mentre pregava
nella cella, e quel fratello, angosciato dal solito dubbio, stava avvicinandosi
a quel "luogo", ne avvertì l'arrivo e il turbamento che aveva
nell'animo. Subito lo fece chiamare, e gli disse: "Non lasciarti turbare
da nessuna tentazione figliolo; nessun pensiero ti tormenti, perché tu mi sei
carissimo, e sappi che sei tra quelli a me più cari, e ben degno del mio
affetto e della mia amicizia. Vieni da me quando vuoi, liberamente come ad
amico". Restò attonito frate Riccerio, e da allora in poi, pieno di più
grande venerazione, quanto più vedeva crescere l'amore di san Francesco per
lui, tanto più dilatava la sua fiducia nella divina misericordia.
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409
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Quanto penosa dev'essere, padre santo, la tua
assenza per quelli che disperano di trovare sulla terra un altro simile a te!
Aiuta con la tua intercessione, te ne preghiamo, coloro che vedi avvolti nella
micidiale macchia del peccato, tu che, mentre eri già ripieno dello spirito dei
giusti, e prevedevi l'avvenire e conoscevi le realtà presenti, malgrado ciò,
per mettere in fuga ogni forma di ostentazione, ti ricoprivi con il manto della
santa semplicità. Ma ritorniamo indietro, riprendendo l'ordine storico della
narrazione.
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CAPITOLO XIX
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LA VIGILANZA SUI SUOI FRATI.
IL DISPREZZO Dl SE STESSO.
LA VERA UMILTÀ
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410
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51. Il beatissimo uomo Francesco, ritornò
corporalmente tra i suoi frati, dai quali, come si disse, non era mai stato
assente con lo spirito. Santamente curioso di conoscere lo spirito dei suoi
figli, sottoponeva a diligente esame la condotta di ognuno, non lasciando
impunita nessuna colpa, se vi scopriva qualcosa, anche minima, di meno che
retto Badava prima ai difetti dell'animo, poi a quelli esterni, infine rimoveva
tutte le occasioni che di solito conducono al peccato.
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411
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Alla santa povertà riservava una cura tutta
particolare e voleva che dominasse sempre da signora, tanto da non tollerare
neppure il più piccolo utensile, appena s'accorgeva che si poteva farne a meno,
temendo che vi si introducesse l'abitudine di confondere il necessario col
superfluo. Era solito dire che è impossibile sovvenire alla necessità senza
servire alla comodità. Raramente si cibava di vivande cotte, oppure le rendeva
insipide con acqua fredda, o le cospargeva di cenere! Quante volte, mentre era
pellegrino nel mondo a predicare il Vangelo, invitato a pranzo da grandi
signori che lo veneravano con grande affetto, mangiava appena un po' di carne
in ossequio alla parola evangelica di Cristo, poi, fingendo di mangiare faceva
scivolare il resto nel grembo, mettendosi una mano alla bocca perché nessuno
s'accorgesse di quello che faceva! Ci s'immagini poi se prendeva del vino, dato
che rifiutava persino l'acqua, quand'era assetato!
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412
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52. Ovunque fosse ospitato di notte, non voleva
materassi o coperte sul suo giaciglio, ma la nuda terra raccoglieva il suo nudo
corpo avvolto solo nella tonaca. Quando poi concedeva un po' di riposo al suo
corpo fragile spesso stava seduto e non disteso, servendosi per guanciale di un
legno o di una pietra. E quando lo prendeva desiderio di mangiare qualche cosa,
come suole accadere a tutti, a stento si concedeva poi di mangiarla.
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413
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Avendo un giorno mangiato un po' di pollo, perché
infermo, riacquistate le energie per camminare, si recò ad Assisi. Giunto alla
porta della città, pregò un confratello che era con lui di legargli una fune
attorno al collo e di trascinarlo per tutte le vie della città come un ladro,
gridando: "Guardate questo ghiottone, che a vostra insaputa si è
rimpinzato da gaudente di carne di gallina!". A tale spettacolo, molti,
tra lacrime e sospiri, esclamavano: "Guai a noi miserabili che abbiamo
vissuto tutta la vita solo per la carne, nutrendo il cuore e il corpo di
lussuria e di crapule!". E tutti compunti, erano guidati a miglior
condotta da quell'esempio straordinario.
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414
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53. E tante altre cose simili a queste egli compiva
per praticare l'umiltà nel modo più perfetto possibile, che insieme gli
attiravano però amore imperituro presso gli altri. Era libero da ogni
sollecitudine per il corpo, trattandolo come un vaso derelitto ed esponendolo
alle ingiurie sempre preoccupato di non lasciarsi vincere dal desiderio di
alcuna cosa materiale per amore di lui. Vero spregiatore di se stesso, egli con
parole e con fatti ammaestrava utilmente gli altri al disprezzo di sé. Ma tutti
lo magnificavano e ne cantavano giustamente le lodi; solo lui si riteneva
vilissimo e si disprezzava cordialmente.
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415
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Spesso, quand'era da tutti esaltato, sentendosi
ferito come da troppo acerbo dolore, controbilanciava e scacciava l'onore degli
uomini, incaricando qualcuno di maltrattarlo. Chiamava per lo più qualche
confratello e gli diceva: "Ti scongiuro per obbedienza di coprirmi di
ingiurie senza alcun riguardo e di dir la verità contro la falsità di costoro
che mi elogiano". E quando quel fratello, ci si immagini quanto
volentieri, lo chiamava villano, mercenario, buono a nulla, lui sorridendo e
applaudendo diceva: "Ti benedica il Signore, perché dici cose verissime e
quali convengono al figlio di Pietro di Bernardone". Con queste parole
intendeva rammentare l'umiltà delle sue origini.
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416
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54. Per farsi credere veramente degno di
disprezzo e per dare agli altri esempio di una confessione sincera, se per caso
commetteva qualche mancanza, non esitava a confessarla pubblicamente e
sinceramente mentre predicava a tutto il popolo. Anzi, se gli capitava di
pensar male, sia pur minimamente, di qualcuno, o gli sfuggiva qualche parola
troppo forte, subito manifestava con tutta umiltà il suo peccato a colui che
aveva osato giudicare, chiedendogli perdono. Pur non potendogli rimproverare
proprio nulla, data la vigilanza che esercitava su di sé, la sua coscienza non
gli dava pace, finché non avesse sanato con rimedio appropriato la ferita
dell'anima. Bramava far progressi in qualsiasi specie di virtù, ma non voleva
esser notato, per fuggire l'ammirazione e non cadere nella vanagloria.
Miseri noi, che ti
abbiamo perduto, padre santo, esemplare di ogni bene e di umiltà! Per giusta
condanna ti abbiamo perduto, perché trascurammo di conoscerti quando ti avevamo
tra noi!
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CAPITOLO XX
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DESIDEROSO DEL MARTIRIO FRANCESCO PRIMA CERCA Dl
ANDARE MISSIONARIO NELLA SPAGNA POI IN SIRIA.
PER SUO MERITO, DIO MOLTIPLICA I VIVERI E SCAMPA
I NAVIGANTI DAL NAUFRAGIO
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55. Animato da ardente amore di Dio, il
beatissimo padre Francesco desiderava sempre metter mano a grandi imprese, e,
camminando con cuore generoso la via della volontà del Signore, anelava
raggiungere la vetta della santità.
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Nel sesto anno dalla sua conversione ardendo di
un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a
predicare la fede e la penitenza ai Saraceni. Si imbarcò per quella regione, ma
il vento avverso fece dirottare la nave verso la Schiavonia. Allora, deluso nel
suo ardente desiderio e non essendoci per quell'anno nessun'altra nave in
partenza verso la Siria, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di prenderlo
con loro. Ne ebbe un netto rifiuto perché i viveri erano insufficienti. Ma il
Santo, fiducioso nella bontà di Dio, salì di nascosto sulla imbarcazione col
suo compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla divina Provvidenza, un tale,
sconosciuto a tutti, che consegnò ad uno dell'equipaggio che era timorato di
Dio, delle vivande, dicendogli: "Prendi queste cose e dàlle fedelmente a
quei poveretti che sono nascosti nella nave, quando ne avranno bisogno ".
E avvenne che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti
giorni a remare, consumarono tutti i loro viveri; poterono salvarsi solo con i
viveri del poverello Francesco, i quali, moltiplicandosi per grazia di Dio,
bastarono abbondantemente alla necessità di tutti finché giunsero al porto di
Ancona. I naviganti compresero ch'erano stati scampati dai pericoli del mare
per merito di Francesco, e ringraziarono l'onnipotente Iddio, che sempre si
mostra mirabile e misericordioso nei suoi servi.
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419
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56. Lasciato il mare, il servo dell'Altissimo
Francesco si mise a percorrere la terra, e solcandola col vomere della parola
di Dio, vi seminava il seme di vita, che produce frutti benedetti. E subito
molti uomini, buoni e idonei chierici e laici, fuggendo il mondo e sconfiggendo
virilmente le insidie del demonio, toccati dalla volontà e grazia divina
abbracciarono la sua vita e il suo programma
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420
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Ma sebbene, a similitudine dell'albero evangelico
producesse abbondanti e squisiti frutti, ciò non bastava a spegnere in
Francesco il sublime proposito e l'anelito ardente del martirio. E così, poco
tempo dopo intraprese un viaggio missionario verso il Marocco, per annunciare
al Miramolino e ai suoi correligionari la Buona Novella. Era talmente vivo il
suo desiderio apostolico, che gli capitava a volte di lasciare indietro il compagno
di viaggio affrettandosi nell'ebbrezza dello spirito ad eseguire il suo
proposito. Ma la bontà di Dio, che si compiacque benignamente di ricordarsi di
me e di innumerevoli altri, fece andare le cose diversamente resistendogli in
faccia. Infatti, Francesco, giunto in Spagna, fu colpito da malattia e
costretto a interrompere il viaggio.
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57. Ritornato a Santa Maria della Porziuncola,
non molto tempo dopo gli si presentarono alcuni uomini letterati e alcuni
nobili, ben felici di unirsi a lui. Da uomo nobile d'animo e prudente, egli li
accolse con onore e dignità, dando paternamente a ciascuno ciò che doveva. E
davvero poiché era dotato di squisito e raro discernimento, teneva conto della
condizione di ciascuno.
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Ma non riesce ancora a darsi pace finché non attui,
con tentativi ancor più audaci il suo bruciante sogno. E nel tredicesimo anno
dalla sua conversione, partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie
tra cristiani e pagani, preso con sé un compagno, non esitò a presentarsi al cospetto
del Sultano. Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli
stava davanti e gli parlava, e la decisione e l'eloquenza con cui rispondeva a
quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Prima di giungere al Sultano, i
suoi sicari l'afferrarono, l'insultarono, lo sferzarono, ed egli non temette
nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall'odio brutale
di molti, eccolo accolto dal Sultano con grande onore! Questi lo circondava di
favori regalmente e, offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle
ricchezze del mondo; ma, vedendolo disprezzare tutto risolutamente come
spazzatura, ne rimase profondamente stupito, e lo guardava come un uomo diverso
da tutti gli altri. Era molto commosso dalle sue parole e lo ascoltava molto
volentieri.
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Ma in tutte queste cose il Signore non concedeva il
compimento del desiderio del Santo, riservandogli il privilegio di una grazia
singolare.
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CAPITOLO XXI
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FRANCESCO PREDICA AGLI UCCELLI
E TUTTE LE
CREATURE GLI OBBEDISCONO
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58. Mentre, come si è detto, il numero dei frati
andava aumentando, Francesco percorreva la valle Spoletana. Giunto presso
Bevagna, vide raccolti insieme moltissimi uccelli d'ogni specie, colombe,
cornacchie e " monachine ". Il servo di Dio, Francesco, che era uomo
pieno di ardente amore e nutriva grande pietà e tenero amore anche per le
creature inferiori e irrazionali, corse da loro in fretta, lasciando sulla
strada i compagni. Fattosi vicino, vedendo che lo attendevano, li salutò
secondo il suo costume. Ma notando con grande stupore che non volevano volare
via, come erano soliti fare, tutto felice, li esortò a voler ascoltare la
parola di Dio. E tra l'altro disse loro: "Fratelli miei uccelli, dovete
lodare molto e sempre il vostro Creatore perché vi diede piume per vestirvi,
ali per volare e tutto quanto vi è necessario. Dio vi fece nobili tra le altre
creature e vi concesse di spaziare nell'aria limpida: voi non seminate e non
mietete, eppure Egli vi soccorre e guida, dispensandovi da ogni preoccupazione".
A queste parole, come raccontava lui stesso e i frati che erano stati presenti,
gli uccelli manifestarono il loro gaudio secondo la propria natura, con segni
vari, allungando il collo, spiegando le ali, aprendo il becco e guardando a
lui. Egli poi andava e veniva liberamente in mezzo a loro, sfiorando con la sua
tonaca le testine e i corpi. Infine li benedisse col segno di croce dando loro
licenza di riprendere il volo. Poi anch'egli assieme ai suoi compagni riprese
il cammino, pieno di gioia e ringraziava il Signore, che è venerato da tutte le
creature con sì devota confessione.
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425
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Siccome poi era uomo semplice, non per natura ma
per grazia divina, cominciò ad accusarsi di negligenza, per non aver predicato
prima di allora agli uccelli, dato che questi ascoltavano così devotamente la
parola di Dio; e da quel giorno cominciò ad invitare tutti i volatili, tutti
gli animali, tutti i rettili ed anche le creature inanimate a lodare e ad amare
il Creatore, poiché ogni giorno, invocando il nome del Signore, si accorgeva
per esperienza personale quanto gli fossero obbedienti.
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426
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59. Un giorno, recatosi ad Alviano a predicare e
salito su un rialzo per essere visto da tutti, chiese silenzio. Ma mentre tutti
tacevano in riverente attesa, molte rondini garrivano con grande strepito
attorno a Francesco. Non riuscendo a farsi sentire dal popolo per quel rumore
rivolto agli uccelli, disse: "Sorelle mie rondini, ora tocca a me a
parlare, perché voi lo avete già fatto abbastanza; ascoltate la parola di Dio,
zitte e quiete, finché il discorso sia finito". Ed ecco subito obbedirono:
tacquero e non si mossero fino a predica terminata. Gli astanti, stupiti,
davanti a questo segno dicevano: "Veramente quest'uomo è un santo e un
amico dell'Altissimo!". E facevano a gara per toccargli le vesti con
devozione, lodando e benedicendo Iddio. Era davvero cosa meravigliosa, poiché
perfino le creature prive di ragione sapevano intendere l'affetto fraterno e il
grande amore che Francesco nutriva per esse!
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60. Una volta, presso Greccio, gli fu portato da un
confratello un leprotto preso vivo al laccio, e il santo uomo, commosso, disse:
"Fratello leprotto, perché ti sei fatto acchiappare? Vieni da me".
Subito la bestiola, lasciata libera dal frate, si rifugiò spontaneamente nel
grembo di Francesco, come a un luogo assolutamente sicuro. Rimasto un poco in
quella posizione, il padre santo, accarezzandolo con affetto materno, lo lasciò
andare, perché tornasse libero nel bosco; ma quello, messo a terra più volte,
rimbalzava in braccio a Francesco, finché questi non lo fece portare dai frati
nella selva vicina. Lo stesso accadde con un coniglio animale difficilmente
addomesticabile, nell'isola del lago di Perugia .
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61. Altrettanto affetto egli portava ai pesci, che,
appena gli era possibile, rimetteva nell'acqua ancor vivi, raccomandando loro
di non farsi pescare di nuovo. Un giorno standosi egli in una barchetta nel
porto del piccolo lago di Piediluco, un pescatore gli offrì con riverenza una
tinca che aveva appena pescato; egli accolse lietamente e premurosamente quel
pesce, chiamandolo fratello poi lo ripose nell'acqua fuori della barca e
cominciò a lodare il nome del Signore. E per un po' di tempo il pesce, giocando
giulivo nell'acqua, non si allontanò, finché il Santo, finita la preghiera, non
gli diede il permesso di partirsene.
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Ecco come il glorioso padre Francesco, camminando
per la via dell'obbedienza e della perfetta sottomissione alla volontà divina,
si meritò sì grande potere da farsi obbedire dalle creature! Perfino l'acqua infatti
si mutò in vino per lui, quando giaceva gravemente infermo nello Speco di
Sant'Urbano (presso Stroncone). Appena ne bevve, guarì e tutti capirono che si
trattava davvero di un miracolo.
E
veramente non può essere che un santo colui al quale le creature obbediscono in
questo modo e se ad un suo cenno cambiano natura gli stessi elementi!
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CAPITOLO XXII
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SAN FRANCESCO PREDICA IN ASCOLI
E PER MEZZO Dl OGGETTI TOCCATI DA
LUI,
GLI AMMALATI GUARISCONO
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430
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62. Nel tempo in cui, come si è detto, predicò agli
uccelli, il venerabile padre Francesco, percorrendo città e villaggi per
spargere ovunque la semente della benedizione, arrivò anche ad Ascoli Piceno.
In questa città annunciò la parola di Dio con tanto fervore, che tutti, pieni
di devozione, per grazia del Signore, accorrevano a lui, desiderosi di vederlo
e ascoltarlo. La ressa della folla era straordinaria e ben trenta, tra chierici
e laici, si fecero suoi discepoli, ricevendo dalle sue stesse mani l'abito
religioso. Uomini e donne lo veneravano con tanta fede, che chiunque poteva
toccargli la veste si considerava sommamente fortunato.
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431
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Quand'egli entrava in una città, il clero gioiva,
si suonavano le campane, gli uomini esultavano, si congratulavano le donne, i
fanciulli applaudivano, e spesso gli andavano incontro con ramoscelli in mano e
cantando dei salmi. L'eresia era coperta di confusione, la fede della Chiesa
trionfava; mentre i fedeli erano ripieni di giubilo, gli eretici si rendevano
latitanti. I segni della sua santità erano così evidenti, che nessun eretico
osava disputare con lui, mentre tutta la folla gli obbediva.
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432
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Egli riteneva sacrosanto dovere osservare, venerare
e seguire in tutto e sopra ogni cosa gli insegnamenti della santa Chiesa
romana, nella quale soltanto si trova la salvezza. Rispettava i sacerdoti e
nutriva grandissimo amore per l'intera gerarchia ecclesiastica.
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433
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63. I fedeli gli portavano pani da benedire e li
conservavano a lungo, perché cibandosene guarivano dalle più diverse malattie.
Sovente, spinti dalla grande fede, gli tagliuzzavano perfino la tonaca, per
tenersene devotamente qualche parte, così che a volte il santo uomo restava
quasi spoglio. E cosa più mirabile, qualche oggetto toccato dalla sua mano
risanava gli infermi.
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434
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Così una donna incinta, abitante in un piccolo
villaggio presso Arezzo, al momento del parto fu assalita da spasimi tremendi
rimanendo per molti giorni sospesa tra la vita e la morte. I vicini e i
parenti, avendo saputo che sarebbe passato di lì san Francesco per recarsi in
un eremo, lo attendevano con ansia; ma mentre essi l'aspettavano, egli si era
incamminato su un'altra strada a cavallo, perché era debole e ammalato. Giunto
alla mèta, fece ricondurre il cavallo a chi glielo aveva imprestato per carità
da frate Pietro; e frate Pietro passò proprio per la via dov'era la casa della
donna sofferente. Gli abitanti, appena lo videro, gli corsero incontro,
credendolo san Francesco. Quando s'accorsero che non era lui, rimasero
grandemente delusi, ma poi presero a domandarsi a vicenda se si poteva trovare
qualche oggetto che il Santo avesse toccato. Alla fine trovarono le redini che
egli stesso aveva tenuto in mano cavalcando. Estrassero allora il morso dalla
bocca del cavallo, ne applicarono la briglia sul corpo dell'inferma, la quale,
scomparso d'incanto ogni pericolo, partorì felicemente.
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435
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64. Gualfreduccio, cittadino di Città della
Pieve, uomo pio e timorato di Dio, come tutta la sua famiglia, era in possesso
di una corda, di cui una volta si era servito san Francesco per cingersi i fianchi.
Capitò che parecchi abitanti di quella contrada, uomini e donne, fossero
colpiti da varie infermità e febbri, e Gualfreduccio andava nelle loro case, e
dava da bere agli ammalati dell'acqua in cui aveva immerso quella corda o
qualche sfilacciatura di essa, e tutti recuperavano la salute nel nome di
Cristo.
Questi
sono un saggio dei miracoli che accadevano in assenza del beato padre; ma ne
avvenivano assai più numerosi, che non basterebbe neppure un lungo discorso a
narrarli tutti. Di quelli poi che Dio operò con la sua presenza ne riferiremo
qualcuno in quest'opera.
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CAPITOLO XXIII
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FRANCESCO GUARISCE UNO ZOPPO A
TOSCANELLA
E UN PARALITICO A NARNI
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65. Pellegrinando per diverse e vaste regioni ad
annunciare il Regno dei Cieli, Francesco giunse un giorno nella città di
Toscanella. Qui, mentre, secondo il solito, spargeva il seme della salvezza, un
cavaliere del luogo gli offrì ospitalità nella sua casa. Il figlioletto di lui,
l'unico che aveva, era zoppo e tanto gracile da dover restare ancora nella
culla, pur avendo oltrepassato l'età dell'allattamento. Vedendo quell'uomo di
Dio così ripieno di santità, il cavaliere si gettò ai piedi di lui e umilmente
gli chiese che glielo guarisse. Il Santo si riteneva del tutto indegno e
incapace di una simile grazia e a lungo si rifiutò; ma poi, vinto dalle
insistenti implorazioni di quel poveretto, acconsentì. Dopo aver pregato, stese
le mani sul fanciullo, lo benedisse e lo invitò a levarsi; quello
immediatamente, tra la gioia dei presenti, nel nome del Signore nostro Gesù
Cristo, balzò dal suo giaciglio e cominciò a camminare perfettamente risanato.
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66. Un analogo prodigio compì Francesco a Narni,
dove rimase vari giorni. Ed ecco come. Un cittadino di nome Pietro stava a
letto da cinque mesi completamente paralizzato; rimasto con i piedi, le mani e
la testa completamente immobili, riusciva soltanto a muovere la lingua e ad
aprire gli occhi. Avendo saputo che era giunto in città il servo
dell'Altissimo, il povero infermo supplicò il vescovo del luogo che in nome
della misericordia divina si degnasse mandarglielo, essendo convinto che alla
sola vista del Santo sarebbe guarito. E così avvenne. Appena il beato Francesco
gli fu vicino e tracciò su di lui dal capo ai piedi un segno di croce, il
paralitico ricuperò piena salute.
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CAPITOLO XXIV
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FRANCESCO RENDE LA VISTA A UNA CIECA
E A GUBBIO RISANA UN ALTRA
RATTRAPPITA
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67. Una donna, pure abitante di Narni, colpita da
cecità, riacquistò il dono della vista mediante il segno di croce che il beato
Francesco tracciò sui suoi occhi.
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Anche un'inferma di Gubbio ebbe la gioia di
essere miracolata da Francesco. Aveva le mani rattrappite e non poteva far
nulla. Quando seppe che il Santo era arrivato in città, gli corse incontro, gli
mostrò affranta le mani contorte, supplicandolo che gliele toccasse. Egli,
impietositosi, fece quanto gli si chiedeva e la povera donna guarì. Questa,
tutta lieta, tornò a casa, impastò con le proprie mani una focaccia di farina
con formaggio e l'offrì a Francesco, che per renderla felice ne gradì un poco,
dicendo alla donna di mangiare il resto con la sua famiglia.
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CAPITOLO XXV
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FRANCESCO LIBERA UN FRATE DALL'
EPILESSIA
E A SANGEMINI GUARISCE UN INDEMONIATA
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68. Non so come qualificare la malattia orrenda di
cui soffriva un confratello, alcuni l'attribuivano alla presenza di un diavolo
maligno. Il poveretto spesso si gettava a terra e, stralunando gli occhi in
modo orribile, si ravvoltolava tutto con la schiuma alla bocca; le sue membra
ora si contraevano, ora si distendevano, or rigide, or piegate e contorte.
Altre volte, tutto teso e irrigidito con i piedi che gli toccavano la testa,
veniva levato in alto, quanto la statura di un uomo e poi subito gettato a
terra. Il santo padre Francesco ne ebbe compassione immensa, si recò da lui, lo
benedisse, pregando umilmente Iddio, e il malato ottenne pronta e completa
salute e non patì mai più un male del genere!
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441
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69. Un giorno Francesco, attraversando la diocesi
di Narni per predicare la parola di Dio, arrivò a Sangemini, dove fu ospitato
con tre fratelli da un fedele, noto per la sua grande devozione e virtù. Ma la
moglie era indemoniata, e tutti gli abitanti di quel territorio lo sapevano.
L'uomo confidando profondamente nei meriti del Santo, lo pregò di guarirgliela.
Francesco, poiché preferiva nella sua semplicità fuggire gli onori del mondo e
essere vilipeso, non voleva compiere il prodigio; ma poi, vedendo che si
trattava della gloria di Dio e del bene di molti che invocavano il suo atto di
carità, finì per aderirvi. Chiamati i tre frati che erano con lui, li invitò a
mettersi ognuno in un angolo della stanza e disse: "Preghiamo il Signore,
fratelli, per questa donna, affinché sia liberata dal giogo del demonio, a lode
di Dio. Stiamo uno per ogni parte, perché il maligno non ci inganni e non ci
scappi".
Dopo
aver pregato, con la virtù dello Spirito Santo, si accostò all'ossessa, che era
in preda a convulsioni e urla tremende, dicendo: "Nel nome del Signore
nostro Gesù Cristo per obbedienza ti ordino, o demonio di lasciare questa creatura
e di non osare più tormentarla!". Aveva appena pronunciato quelle parole,
che il diavolo se ne andò rapidissimamente con gran fracasso e furore, tanto
che il santo padre, per l'improvvisa guarigione della donna e la pronta
obbedienza di Satana, credette di essersi illuso, e si affrettò ad
allontanarsene con rossore, ciò operando la divina Provvidenza, per impedirgli
di cadere nell'orgoglio.
Per
questo accadde che, passando Francesco un'altra volta per il medesimo luogo in
compagnia di frate Elia, quella donna, saputolo, accorse in fretta sulla
piazza, chiamandolo e pregandolo che si degnasse parlarle. Ma egli rifiutava
tale richiesta, ben sapendo ch'era essa quella donna dalla quale per virtù
divina aveva scacciato il demonio. Ma essa baciava le orme dei suoi piedi,
ringraziando Dio e il suo servo Francesco, che l'aveva liberata dal potere
della morte. Infine, per le preghiere di frate Elia, il Santo si persuase a
parlarle, e da molti fu assicurato sia della suddetta infermità sia della
guarigione.
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CAPITOLO XXVI
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ANCHE A CITTÀ DI CASTELLO
FRANCESCO SCACCIA UN DEMONIO
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442
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70. C'era a Città di Castello una donna ossessa.
Essendovi giunto il beato padre Francesco, venne condotta a lui nella casa ove
dimorava. Questa, digrignando i denti e con lo sguardo bieco, emetteva grida
orribili, come usano fare gli spiriti immondi. Parecchi cittadini, accorsi
insieme, supplicavano il Santo di liberarla poiché da tanto tempo il nemico
infernale la possedeva e tormentava in quella maniera, spaventando tutti con le
sue urla. Francesco volle costatare se era opera del demonio o imbroglio della
donna e le mandò innanzi un frate che stava con lui. Quella avvertì subito lo
scambio di persona e si mise a proferire scherni e insulti. Ma quando comparve
il Santo, che era rimasto nel frattempo nascosto a pregare, l'indemoniata, non
potendo resistere alla sua virtù, si gettò per terra tremando e contorcendosi
pietosamente. Francesco la chiamò a sé, dicendo: "Ti comando per
obbedienza, spirito immondo, di uscire da costei!". E il diavolo
l'abbandonò immediatamente, senza alcun male.
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Sia ringraziato Iddio onnipotente, che opera tutto
in tutti! Tuttavia, siccome ci siamo proposti di narrare non tanto i miracoli,
che dimostrano la santità ma non costituiscono la santità, bensì piuttosto lo
specchio della sua vita esemplare, riprendiamo il racconto delle opere che gli
meritarono la salvezza eterna, tralasciando i miracoli. anche perché sarebbe
troppo lungo recensirli tutti.
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CAPITOLO XXVII
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PUREZZA E COSTANZA DEL SUO SPIRITO.
DISCORSO DAVANTI A PAPA ONORIO III.
AFFIDA SE STESSO E I SUOI ALLA
PROTEZIONE
DEL CARDINALE UGOLINO, VESCOVO DI
OSTIA
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444
|
71. L'uomo di Dio Francesco si era abituato a
cercare non il proprio interesse, ma soprattutto quanto vedeva necessario alla
salvezza del prossimo, e sopra ogni altra cosa desiderava di essere liberato
dal corpo e stare con Cristo (Fil 1,23). Per questo il suo maggior
impegno era di tenersi lontano dalle sollecitudini terrene, così che neppure
per un istante la polvere mondana potesse fare ombra e turbare la luce e la
pace della sua anima. Si rendeva insensibile a tutti i clamori esterni e,
raccogliendo tutti i suoi sensi esteriori e dominando ogni movimento
dell'anima, viveva assorto nel solo Signore. Come è detto della sposa nel Cantico
dei Cantici: Nelle fenditure della roccia e nei nascondigli dei dirupi era
la sua abitazione(Ct 2,14).
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445
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Veramente con gioiosa devozione egli s'aggirava
tra le dimore celesti, e in completo annientamento di sé, dimorava a lungo come
nascosto nelle piaghe del Salvatore. Perciò cercava luoghi solitari per poter
lanciare completamente la sua anima in Dio; tuttavia, quando c'era bisogno, non
esitava un istante a passare all'azione per giovare alle anime e alla vita dei
fratelli.
Suo porto
sicuro era la preghiera non di qualche minuto, o vuota, o pretenziosa, ma
profondamente devota, umile e prolungata il più possibile. Se la iniziava la
sera, a stento riusciva a staccarsene il mattino. Era sempre intento alla
preghiera, quando camminava e quando sedeva, quando mangiava e quando beveva.
Di notte si recava, solo, nelle chiese abbandonate e sperdute a pregare; così,
con la grazia del Signore, riusciva a trionfare di molti timori e di angustie
spirituali.
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446
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72. In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo
col demonio, che l'affrontava per spaventarlo non solo con tentazioni
interiori, ma anche esteriormente con strepiti e rovine. Ma Francesco, da
fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo Signore poteva tutto
dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in cuor suo:
"Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia, in
questi luoghi più di quanto mi faresti se fossimo tra la folla ".
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447
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Era veramente fermo e costante nel bene, e
null'altro cercava se non di compiere la volontà di Dio. F. infatti quando
anche predicava la parola del Signore davanti a migliaia di persone, era
tranquillo e sicuro, come se parlasse con il suo fratello e compagno. Ai suoi
occhi un'immensa moltitudine di uditori era come un uomo solo, e con la stessa
diligenza che usava per le folle predicava ad una sola persona. Dalla purezza
del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche invitato
all'improvviso, sapeva dire cose mirabili e mai udite prima.
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448
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Quando invece si preparava prima accuratamente il
discorso, gli poteva accadere che al momento di pronunciarlo non ricordasse più
una parola né altro poteva dire. Allora confessava a tutti candidamente e senza
rossore che aveva preparato tante cose, ma le aveva tutte dimenticate. Ed ecco,
all'improvviso parlava con tanta eloquenza da incantare gli uditori. Altre
volte gli capitava di non riuscire a parlare affatto; allora congedava
l'uditorio con la benedizione, e questo valeva più che se avesse tenuto una
lunga predica.
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73. Recatosi una volta a Roma, per problemi
dell'Ordine, sentì grande desiderio di predicare davanti a papa Onorio e ai
cardinali. Venuto a saperlo, Ugolino, il glorioso vescovo di Ostia, che nutriva
particolare affetto e ammirazione per il Santo di Dio, ne provò insieme gioia e
timore, perché se ammirava il fervore di quel sant'uomo, ne conosceva però
anche la ingenua semplicità; ma, confidando nella bontà dell'Onnipotente, che
paternamente non lascia mai mancare ai suoi fedeli quanto è necessario, lo condusse
davanti al Papa e ai cardinali. E Francesco, ricevuta la benedizione, alla
presenza di così grandi principi incominciò a parlare senza timore. E parlò con
tanto fervore che, quasi fuori di sé per la gioia, mentre proferiva le parole
muoveva anche i piedi quasi saltellando, ma quel suo strano comportamento,
lungi dall'apparire un segno di leggerezza e dal suscitare riso, provenendo
dall'ardore del suo cuore, induceva gli animi a intrattenibile pianto di
compunzione. E molti di loro effettivamente ripieni di ammirazione per la
grazia del Signore e per l'intrepido coraggio di quell'uomo, furono presi da
sincero dolore. Il cardinal Ugolino però, dal canto suo pregava fervorosamente
Iddio perché non permettesse che la semplicità di quell'anima santa venisse
disprezzata, anche perché l'eventuale disdoro, come la gloria di Francesco,
sarebbero caduti pure su di lui, che era stato eletto "protettore"
del nuovo Ordine religioso.
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450
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74. Francesco infatti si era legato a lui come un
figlio al padre, come il figlio unico alla madre, dormendo e riposando sicuro
sul seno della sua clemenza. Si può veramente dire che il cardinal Ugolino
compiva l'ufficio di pastore della nuova Fraternità, pur lasciandone il nome a
san Francesco. Il beato padre proponeva quanto era necessario, ma era Ugolino
che provvedeva che venisse messo in esecuzione. Quanti minacciavano i primi
passi dell'Ordine per rovinarlo! Quanti cercavano di soffocare l'eletta vigna
che il Signore stava piantando nel mondo e di annientarne le promettenti primizie!
Ma tutti costoro furono vinti e trafitti dalla spada di quel provvido signore e
padre. Egli era infatti un fiume di eloquenza, un baluardo della Chiesa un
intrepido assertore della verità, ma ancora paterno sostegno degli umili.
Memorando e benedetto, quindi, il giorno in cui il servo di Dio si affidò a
questo Pastore di anime!
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Mentre si trovava in Toscana, come legato
pontificio un incarico che gli veniva affidato spesso, il beato Francesco, che
aveva ancora pochi compagni, passò per Firenze, dove allora soggiornava il
cardinale, con l'intento di recarsi in Francia. Non erano ancora in quel tempo
legati da una profonda amicizia, ma la fama della loro santità era bastata ad
unirli in un vincolo reciproco di affetto e di benevolenza.
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75. D'altra parte, era costume del beato Francesco
quando arrivava in qualche città o territorio, di presentarsi al vescovo o ai
sacerdoti del luogo; così, venuto a sapere che là si trovava il suddetto
prelato, si recò da lui con grande riverenza. Il cardinal Ugolino, come usava
fare con i religiosi, soprattutto con quelli che professavano la beata povertà
e la semplicità, lo accolse umilmente e devotamente. E poiché nutriva
particolare sollecitudine per i poveri, per venire incontro alla loro povertà e
sbrigare le loro cose si interessò con diligenza sul motivo della sua venuta
ascoltandolo con grande bontà. Vedendolo così staccato da ogni cosa terrena,
più di qualsiasi altro, e ripieno di quel fuoco divino che Gesù venne ad
accendere sulla terra, sentì la propria anima fondersi con la sua, gli domandò
la carità delle sue preghiere e gli offrì con sincera gioia la sua protezione.
Quindi lo dissuase dal continuare quel viaggio, raccomandandogli di attendere
ai fratelli che Iddio gli aveva affidato. Dal canto suo, Francesco fu ripieno
di immenso gaudio, per aver incontrato un signore così potente e, insieme così
pieno di benevolenza, di affabilità e di senso pratico; si prostrò ai suoi
piedi e con sincera devozione gli affidò se stesso e i suoi frati.
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CAPITOLO XXVIII
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SPIRITO Dl CARITÀ
E AFFETTUOSA COMPASSIONE VERSO I
POVERI.
EPISODIO DELLA PECORA E DEGLI
AGNELLINI
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453
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76. Padre dei poveri e povero lui stesso,
Francesco, facendosi povero con i poveri non poteva sopportare senza dolore di
vedere qualcuno più povero di lui, non per orgoglio, ma per intima compassione,
e sebbene non vestisse che una sola tonaca misera e rozza, spesso bramava
spartirla con qualche bisognoso. Ma poiché era un povero ricchissimo, spinto
dalla sua struggente compassione, per poter aiutare i poveri, quando il tempo
era gelido, ricorreva ai ricchi chiedendo a prestito un mantello o altri
indumenti. Se questi glieli davano con maggior entusiasmo di quello con cui
egli li domandava, dichiarava: "Accetto di riceverli, ma a condizione che
non vi aspettiate mai più di riaverli ". E col cuore esultante ne
rivestiva il primo indigente che gli capitasse di incontrare.
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454
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Qualunque parola offensiva pronunciata contro i
poveri lo feriva al cuore, e non poteva soffrire che qualcuno insultasse o maledicesse
qualunque creatura di Dio. Un giorno udì un frate fare una insinuazione ad un
poveretto che supplicava l'elemosina: "Non vorrei che tu fossi ricco e ti
fingessi bisognoso!". Come l'udì il padre dei poveri, san Francesco,
rimproverò molto duramente il frate che aveva pronunciato quelle parole, e gli
ordinò di spogliarsi davanti al mendicante e di chiedergli perdono, baciandogli
i piedi. Era solito dire: "Chi tratta male un povero fa ingiuria a Cristo,
di cui quello porta la nobile divisa, e che per noi si fece povero in questo
mondo"(2Cor 8,9). Spesso perciò, incontrando qualche povero con
carichi di legna o altri pesi, prendeva sulle sue spalle quei pesi, sebbene
fosse assai debole.
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455
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77. La sua carità si estendeva con cuore di
fratello non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza
favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili.
Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura
Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto
agnello. Per lo stesso motivo il suo amore e la sua simpatia si volgevano in
modo particolare a tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o
riflettere l'immagine del Figlio di Dio.
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456
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Attraversando una volta la Marca d'Ancona, dopo
aver predicato nella stessa città, e dirigendosi verso Osimo, in compagnia di
frate Paolo, che aveva eletto ministro di tutti i frati di quella provincia,
incontrò nella campagna un pastore, che pascolava il suo gregge di montoni e di
capre. In mezzo al branco c'era una sola pecorella, che tutta quieta e umile
brucava l'erba. Appena la vide, Francesco si fermò, e quasi avesse avuto una
stretta al cuore, pieno di compassione disse al fratello: "Vedi quella
pecorella sola e mite tra i caproni? Il Signore nostro Gesù Cristo, circondato
e braccato dai farisei e dai sinedriti, doveva proprio apparire come
quell'umile creatura. Per questo ti prego, figlio mio, per amore di Lui, sii
anche tu pieno di compassione, compriamola e portiamola via da queste capre e
da questi caproni ".
78.
Frate Paolo si sentì trascinato dalla commovente pietà del beato padre; ma non
possedendo altro che le due ruvide tonache di cui erano vestiti, non sapevano
come effettuare l'acquisto; ed ecco sopraggiungere un mercante e offrir loro il
prezzo necessario. Ed essi, ringraziandone Dio, proseguirono il viaggio verso
Osimo prendendo con sé la pecorina. Arrivati a Osimo si recarono dal vescovo
della città, che li accolse con grande riverenza. Non seppe però celare la sua
sorpresa nel vedersi davanti quella pecorina che Francesco si tirava dietro con
tanto affetto. Appena tuttavia il servo del Signore gli ebbe raccontato una
lunga parabola circa la pecora, tutto compunto il vescovo davanti alla purezza
e semplicità di cuore del servo di Dio, ne ringraziò il Signore. Il giorno
dopo, ripreso il cammino, Francesco pensava alla maniera migliore di sistemare
la pecorella, e per suggerimento del fratello che l'accompagnava, l'affidò alle
claustrali di San Severino, che accettarono il dono della pecorina con grande
gioia come un dono del cielo, ne ebbero amorosa cura per lungo tempo, e poi con
la sua lana tesserono una tonaca che mandarono a Francesco mentre teneva un
capitolo alla Porziuncola. Il Santo l'accolse con devozione e festosamente si
stringeva la tonaca al cuore e la baciava, invitando tutti ad allietarsi con
lui.
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457
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79. Un altro giorno, pellegrinando per la stessa
Marca, con il medesimo frate Paolo, che era ben felice d'accompagnarlo, si
imbatterono in un uomo che portava al mercato due agnelli da vendere, legati,
belanti e penzolanti dalle spalle. All'udire quei belati, il servo di Dio,
vivamente commosso, si accostò, accarezzandoli, come suol fare una madre con i
figlioletti che piangono, con tanta compassione e disse al padrone:
"Perché tormenti i miei fratelli agnelli, tenendoli così legati e
penzolanti?". Rispose: "Li porto al mercato e li vendo: ho bisogno di
denaro". E Francesco: "Che ne avverrà?". E quello: "I
compratori li uccideranno e li mangeranno". Nell'udire questo il Santo
esclamò: "Non sia mai! Prendi come compenso il mio mantello e dammi gli
agnelli ".
Quell'uomo
fu ben felice di un simile baratto, perché il mantello, che Francesco aveva
ricevuto a prestito da un uomo proprio quel giorno per ripararsi dal freddo,
valeva molto di più delle due bestiole. Ma ricevuti gli agnellini, il Santo di
nuovo si rese conto del problema imbarazzante: "Come provvedervi? "
e, per consiglio di frate Paolo, li restituì al padrone, raccomandandogli di
non venderli, di non recar loro danno alcuno, ma di mantenerli e custodirli con
cura.
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CAPITOLO XXIX
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IL SUO GRANDE AMORE
PER LE CREATURE
A
MOTIVO DEL CREATORE.
SUO
RITRATTO FISICO E MORALE
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458
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80. Sarebbe troppo lungo, o addirittura impossibile
narrare tutto quello che il glorioso padre Francesco compì e insegnò mentre era
in vita. Come descrivere il suo ineffabile amore per le creature di Dio e con
quanta dolcezza contemplava in esse la sapienza, la potenza e la bontà del
Creatore? Proprio per questo motivo, quando mirava il sole, la luna, le stelle
del firmamento, il suo animo si inondava di gaudio. O pietà semplice e
semplicità pia! Perfino per i vermi sentiva grandissimo affetto perchè la
Scrittura ha detto del Signore: lo sono verme e non uomo (Sal 21,6);
perciò si preoccupava di toglierli dalla strada, perché non fossero schiacciati
dai passanti. E che dire delle altre creature inferiori, quando sappiamo che,
durante l'inverno, si preoccupava addirittura di far preparare per le api miele
e vino perché non morissero di freddo? Magnificava con splendida lode la
laboriosità e la finezza d'istinto che Dio aveva loro elargito, gli accadeva di
trascorrere un giorno intero a lodarle, quelle e tutte le altre creature.
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Come un tempo i tre fanciulli gettati nella fornace
ardente invitavano tutti gli elementi a glorificare e benedire il Creatore
dell'universo, così quest'uomo, ripieno dello spirito di Dio, non si stancava
mai di glorificare, lodare e benedire, in tutti gli elementi e in tutte le
creature, il Creatore e governatore di tutte le cose.
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460
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81. E quale estasi gli procurava la bellezza dei
fiori quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza! Subito
ricordava la bellezza di quell'altro Fiore il quale, spuntando luminoso nel
cuore dell'inverno dalla radice di Iesse, col suo profumo ritornò alla vita
migliaia e migliaia di morti. Se vedeva distese di fiori, si fermava a
predicare loro e li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di
ragione, allo stesso modo le messi e le vigne, le pietre e le selve e le belle
campagne, le acque correnti e i giardini verdeggianti, la terra e il fuoco,
l'aria e il vento con semplicità e purità di cuore invitava ad amare e a lodare
il Signore.
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E finalmente chiamava tutte le creature col nome di
fratello e sorella, intuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun
altro, perché aveva conquistato la libertà della gloria riservata ai figli di
Dio. Ed ora in cielo ti loda con gli angeli, o Signore, colui che sulla terra
ti predicava degno di infinito amore a tutte le creature .
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462
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82. È impossibile comprendere umanamente la sua
commozione, quando proferiva il tuo Nome, o Dio! Allora, travolto dalla gioia e
traboccante di castissima allegrezza, sembrava veramente un uomo nuovo e di
altro mondo. Per questo, ovunque trovava qualche scritto, di cose divine o
umane, per strada, in casa o sul pavimento, lo raccoglieva con grande rispetto
riponendolo in un luogo sacro o almeno decoroso, nel timore che vi si trovasse
il nome del Signore, o qualcosa che lo riguardasse.
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463
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Avendogli una volta un confratello domandato perchè
raccogliesse con tanta premura perfino gli scritti dei pagani o quelli che
certamente non contenevano il nome di Dio, rispose: "Figlio mio, perché
tutte le lettere possono comporre quel nome santissimo; d'altronde, ogni bene
che si trova negli uomini, pagani o no, va riferito a Dio, fonte di qualsiasi
bene!". Cosa ancor più sorprendente, quando faceva scrivere messaggi di
saluto o di esortazione, non permetteva che si cancellasse alcuna parola o
sillaba, anche se superflua o errata.
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464
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83. Quanto era incantevole, stupendo e glorioso
nella sua innocenza, nella semplicità della sua parola, nella purezza di cuore,
nell'amore di Dio, nella carità fraterna, nella prontezza dell'obbedienza, nella
cortesia, nel suo aspetto angelico! Di carattere mite, di indole calmo,
affabile nel parlare, cauto nell'ammonire, fedelissimo nell'adempimento dei
compiti affidatigli, accorto nel consigliare, efficace nell'operare, amabile in
tutto. Di mente serena, dolce di animo, di spirito sobrio, assorto nelle
contemplazioni, costante nell'orazione e in tutto pieno di entusiasmo. Tenace
nei propositi, saldo nella virtù, perseverante nella grazia, sempre uguale a se
stesso. Veloce nel perdonare, lento all'ira, fervido di ingegno, di buona
memoria, fine nelle discussioni, prudente nelle decisioni e di grande
semplicità. Severo con sé, indulgente con gli altri.
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Era uomo facondissimo, di aspetto gioviale, di
sguardo buono, mai indolente e mai altezzoso. Di statura piuttosto piccola,
testa regolare e rotonda, volto un po' ovale e proteso, fronte piana e piccola,
occhi neri, di misura normale e tutto semplicità, capelli pure oscuri,
sopracciglia diritte, naso giusto, sottile e diritto, orecchie dritte ma
piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce robusta,
dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra piccole e
sottili, barba nera e rara, spalle dritte, mani scarne, dita lunghe, unghie
sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida,
sonno brevissimo, mano generosissima. Nella sua incomparabile umiltà si
mostrava buono e comprensivo con tutti, adattandosi in modo opportuno e saggio
ai costumi di ognuno. Veramente più santo tra i santi, e tra i peccatori come
uno di loro. O Padre santissimo, pietoso e amante
dei peccatori, vieni dunque loro in aiuto, e per i tuoi altissimi meriti
degnati te ne preghiamo, di sollevare coloro che vedi giacere miseramente nella
colpa!
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CAPITOLO XXX
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IL PRESEPIO Dl GRECCIO
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466
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84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio
dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il
santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto
l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi
del Signore nostro Gesù Cristo.
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Meditava continuamente le parole del Signore e non
perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e
la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria,
che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
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A questo proposito è degno di perenne memoria e
di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua
gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C'era in quella
contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed
era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato
nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne.
Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come
spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a
Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei
rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli
occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose
necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul
fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio
amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto
l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
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469
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85. E giunge il giorno della letizia, il tempo
dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti;
uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno
secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella
quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i
tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo
desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il
fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente
risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà.
Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa
notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente
accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo
mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori
festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un
sussulto di gioia.
Il
Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e
di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul
presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
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470
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86. Francesco si è rivestito dei paramenti
diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella
voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi
parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la
piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù
infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e
quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e
ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni
volta che diceva "Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la
lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle
parole.
Vi
si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo
virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo
di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella
specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti,
perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori
di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso
profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno
tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
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471
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87. Il fieno che era stato collocato nella
mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella
sua misericordia giumenti e altri animali. E davvero è avvenuto che in quella
regione, giumenti e altri animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di
quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne che, durante un
parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno, hanno
felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno
ritrovato la salute.
Oggi
quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato costruito
un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un
tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare,
come nutrimento dell'anima e santificazione del corpo, la carne dell'Agnello
immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito
ha donato se stesso per noi. Egli con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna
eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen.
Finisce la parte prima
della Vita e delle opere del beato Francesco.
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PARTE SECONDA
|
Incomincia la parte seconda.
Ultimi due anni e felice transito
del beato padre nostro Francesco
|
CAPITOLO I
|
CONTENUTO DI QUESTA PARTE.
BEATO TRANSITO
E MIRABILE ASCESA DEL SANTO
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472
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88. Nella prima parte del nostro lavoro, condotto a
termine con l'aiuto di Dio, ci siamo soffermati sulla vita e sulle opere del
beatissimo padre nostro Francesco fino al diciottesimo anno della sua
conversione; ora aggiungiamo brevemente le altre notizie degne di fede, che
abbiamo potuto raccogliere circa gli ultimi due anni della sua vita. E vogliamo
riferirne qui solo i dati essenziali, lasciando ad altri la via aperta per una
più ampia esposizione.
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473
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L'anno 1226, indizione XV, il 4 di ottobre, in
giorno di domenica, in Assisi, sua città natale, presso Santa Maria della Porziuncola,
dove egli aveva fondato l'Ordine dei frati minori, il beatissimo padre nostro
Francesco, a vent'anni dalla sua piena adesione a Cristo, seguendo la vita e
gli esempi degli apostoli, si libera dal carcere della carne, e portando a
compimento la sua opera, se ne va felicemente nel soggiorno dei beati. Tra inni
e lodi il suo sacro corpo viene collocato e riverentemente custodito in quella
città, e a gloria di Dio rifulge per molti miracoli.
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474
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89. Poiché nella prima età era stato lasciato ignaro
quasi del tutto delle realtà divine, Francesco aveva trascorso parecchio tempo
seguendo liberamente e vogliosamente le passioni naturali; ma poi, quando la
destra del Signore si volse verso di lui, riuscì a districarsi dal peccato, e
da allora, per grazia e virtù dell'Altissimo, fu ripieno di sapienza divina più
di tutti i suoi contemporanei. Infatti, in mezzo all'avvilimento, non di pochi
ma generale, in cui era caduta la dottrina evangelica, a motivo dei costumi di
coloro che la insegnavano, la Provvidenza di Dio mandò nel mondo questo uomo,
perché, come gli apostoli, fosse testimone della verità davanti a tutti gli
uomini. E realmente egli dimostrò con chiarezza, mediante la parola e
l'esempio, quanto fosse stolta la sapienza terrena, e in breve, sotto la guida
di Cristo, trascinò gli uomini, mediante la stoltezza della predicazione, alla
autentica sapienza divina.
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475
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Simile a un fiume del Paradiso, il nuovo
evangelista di questo ultimo tempo, ha diffuso con amorosa cura le acque del
Vangelo per il mondo intero, e con le opere ha additato la via e la vera
dottrina del Figlio di Dio. Così in lui e per suo merito, il mondo ritrovò una
nuova giovinezza e una insperata esultanza, e il virgulto dell'antica religione
ha subito rinnovato rami, che erano ormai vecchi e decrepiti. Gli eletti furono
riempiti di uno spirito nuovo e dell'abbondanza della grazia, quando questo
santo servo di Cristo, come astro celeste, ha irradiato la luce della sua
originale forma di vita e dei suoi prodigi.
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476
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Tramite Francesco si sono rinnovati gli antichi
miracoli, quando nel deserto di questo mondo è stata piantata una vite feconda,
che produce, mediante un modo di vita nuovo, ma fedele agli antichi, fiori
profumati di sante virtù e stende ovunque i tralci della santa religione.
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477
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90. La fragilità della condizione umana, che
aveva in comune con noi, non lo trattenne nell'osservanza dei precetti comuni;
ma, trascinato da un amore intenso, volle camminare la via della perfezione e
raggiunse la vetta della più sublime santità e contemplò il termine di tutta
la perfezione(Sal 118,96).
Perciò
ogni persona, di qualsiasi condizione, sesso ed età, può trovare in lui limpide
direttive di sana dottrina e splendidi esempi di opere virtuose. Chi vuole,
dunque, metter mano a cose grandi e conquistare i doni più alti della via della
perfezione, guardi nello specchio della sua vita e imparerà ogni perfezione.
Chi invece preferisse un cammino meno arduo e esercizi più modesti, temendo di
non farcela a scalare la cima del monte, guardi ancora a lui: vi troverà gli
insegnamenti adatti anche a questo grado di vita spirituale. Chi infine va alla
ricerca di rivelazioni prodigiose e di miracoli, badi alla santità di Francesco
e sarà accontentato.
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478
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Proprio la sua vita gloriosa illumina la perfezione
dei primi santi di luce più fulgida: lo provano e lo manifestano in modo
evidentissimo la Passione di Gesù Cristo e la croce di lui. E veramente il
venerabile padre portava impressi nella carne i cinque segni della passione e
della croce, come se fosse stato appeso alla croce con lo stesso Figlio di Dio.
Questo sacramento è grande(Cfr Ef 5,32) e manifesta la sublimità
della prerogativa dell'amore; ma esso cela un arcano disegno e un sublime
mistero, noto solo a Dio, crediamo, e rivelato in parte dallo stesso Santo ad
una sola persona.
E perciò non conviene fermarsi più a lungo a
lodare il Santo, dal momento che è stato esaltato da Colui che è di tutti lode,
il Signore, sorgente e splendore inesauribile e che dà in premio l'eterna luce.
Benedicendo, dunque, Iddio, santo, vero e glorioso, riprendiamo la semplice
narrazione dei fatti.
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CAPITOLO II
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IL DESIDERIO PIÙ GRANDE DI FRANCESCO,
E COME, APRENDO IL LIBRO DEL VANGELO,
CONOBBE IL VOLERE DI DIO
NEI SUOI CONFRONTI
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479
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91. Desiderando il beato e venerabile padre
Francesco, occuparsi solo di Dio e purificare il suo spirito dalla polvere del
mondo che eventualmente l'avesse contaminato nel suo stare con gli uomini, un
giorno si ritirò in un luogo di raccoglimento e di silenzio, abbandonando le
folle che ogni giorno accorrevano devotamente a lui per ascoltarlo e vederlo.
Egli era solito dividere e destinare il tempo che gli era concesso, per
acquistar grazie, secondo che gli sembrava più opportuno, una parte per il bene
del prossimo, l'altra riservata alla contemplazione solitaria. Prese pertanto
con sé pochissimi compagni, tra i più intimi e partecipi della sua vita, perché
lo salvaguardassero dalle visite e dal disturbo degli uomini e fossero custodi
amorosi e fedeli della sua quiete. Rimase in quella solitudine per un certo
periodo, e avendo con la preghiera intima e la frequente contemplazione
raggiunta una straordinaria familiarità con Dio, bramava sapere che cosa di lui
e in lui potesse essere più gradito all'eterno Re.
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480
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Intanto studiava con tutta la sua mente e con tutto
l'amore di conoscere quale modo e quale via potevano essere più adatti per
raggiungere una unione ancora più perfetta col Signore Dio, secondo il disegno
e il decreto della Sua volontà. E questa fu sempre la sua unica filosofia, il
suo supremo desiderio nel quale bruciò finché visse; e chiedeva a tutti, ai
semplici come ai sapienti, ai perfetti come agli imperfetti, come poter
raggiungere la via della verità e pervenire a mete sempre più alte.
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481
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92. In realtà, pur essendo egli perfettissimo tra i
perfetti, non ammettendolo, si stimava il più imperfetto di tutti. Aveva
infatti gustato e provato personalmente quanto è dolce, soave e buono il Dio
d'Israele per i retti di cuore (Sal 72,1), che lo cercano sempre con
semplicità pura e con purezza vera. La dolcezza e soavità, che egli sentiva
infusa dall'alto nella sua anima, dono rarissimo concesso a pochissimi, lo
spingeva a dimenticare totalmente se stesso, e allora, riboccante di tale
gaudio, bramava con tutte le forze ascendere alla vita immortale degli spiriti
eletti, dove uscendo da se stesso col desiderio in parte si era già elevato.
Ripieno dello spirito di Dio, era pronto ad affrontare qualsiasi angustia di
spirito, qualsiasi tormento nel corpo, a patto che gli fosse concesso quanto
bramava: che si compisse in lui totalmente la misericordiosa volontà del Padre
celeste.
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482
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A questo scopo, un giorno si accostò all'altare che
era stato eretto in quell'eremitorio, e vi depose sopra devotamente il libro
dei Vangeli. Poi, prostrato in preghiera non meno col cuore che col corpo,
implorava umilmente Dio buono, padre della misericordia e Dio di ogni
consolazione (2Cor 1,3) che si degnasse manifestargli il suo santissimo
volere, e perché potesse condurre a compimento quello che un tempo aveva
intrapreso con semplicità e devozione, lo pregava e supplicava di rivelargli
alla prima apertura del libro quanto gli conveniva fare. Si conformava così a
quegli antichi grandi maestri di santità che avevano aigito, ispirati da Dio,
in modo analogo.
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483
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93. Terminata la preghiera, si alzò e con spirito
di umiltà e contrizione di cuore (Dn 3,9), fatto il segno della santa
croce, prese il libro dall'altare e lo aprì con riverenza e timore. Ora avvenne
che alla apertura del libro, la prima cosa sulla quale si posarono i suoi occhi
fu la passione di nostro Signor Gesù Cristo, ma solo nel tratto in cui viene
predetta. Per timore che si trattasse di un caso fortuito, chiuse e riaperse il
libro una seconda e una terza volta, e risultò sempre un passo uguale o
somigliante. Il servo di Dio che era pieno dello Spirito di Dio, capì allora
che sarebbe entrato nel Regno dei Cieli solo attraverso innumerevoli
tribolazioni, angustie e lotte.
Ma
non si turbò il fortissimo soldato di Cristo al pensiero delle lotte che
l'attendevano, né si perse d'animo davanti alle battaglie del Signore che
avrebbe dovuto combattere sulla terra. Non poteva temere di soccombere davanti
all'avversario lui che non cedeva neppure davanti a se stesso dopo le lunghe e
sovrumane fatiche che aveva sostenuto. Era davvero di un fervore unico, e se
nei secoli passati si può trovare qualche suo emulo nei buoni propositi,
tuttavia non si riscontra chi lo uguagli nel fervore del desiderio. Gli
riusciva più facile compiere le cose più perfette che predicarle, poiché più
che alle parole che rivelano la virtù ma non fanno l'uomo virtuoso, impiegava
tutte le sue forze in opere sante. Perciò, sicuro e lieto cantava a sé e a Dio canti
di letizia nel suo cuore (Ef 5,19). Per questo, a lui che si è rallegrato
tanto della rivelazione più piccola, ne viene elargita una ben maggiore, ed
essendo stato fedele nel poco, gli è dato autorità su molto(Mt 25,21).
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CAPITOLO III
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VISIONE DI UN UOMO
IN FIGURA DI SERAFINO CROCIFISSO
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484
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94. Allorché dimorava nel romitorio che dal nome
del luogo è chiamato "Verna ", due anni prima della sua morte, ebbe
da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali,
librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce.
Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due
coprivano tutto il corpo.
A
quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una
ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso
anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e
dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era
contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore
della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e
amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il
senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato.
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Mentre era in questo stato di preoccupazione e di
totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire
gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo
crocifisso.
95. Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel
centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso
dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano
rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell'esterna, e formavano
quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta.
Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della
carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia
cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le
mutande.
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486
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Ben pochi ebbero la fortuna di vedere la sacra
ferita del costato del servo del Signore stimmatizzato mentre egli era in vita.
Ma fortunato frate Elia che, ancor vivente il Santo, meritò di scorgerla
almeno, e non meno fortunato frate Rufino che la poté toccare con le proprie
mani. Mentre una volta gli praticava una frizione sul petto, la mano gli
scivolò, come spesso capita, sul lato destro e così toccò quella preziosa
cicatrice. Francesco ne sentì grande dolore e allontanò la mano, gridando che
Dio lo perdonasse. Infatti con ogni cura teneva nascosto il prodigio agli
estranei, ma anche agli amici e ai confratelli, tanto che non ne seppero nulla
per lungo tempo perfino i suoi seguaci più intimi e devoti. Questo fedelissimo
discepolo del Signore, pur vedendosi ornato con tali meravigliosi segni, quasi
perle preziosissime del Cielo e coperto di gloria e onore più d'ogni altro
uomo, non se ne gonfiò mai in cuor suo, né mai cercò di vantarsene con alcuno
per desiderio di gloria vana, al contrario, temendo sempre che la stima degli
uomini gli potesse rubare la grazia divina, si industriava il più possibile di
tenerla celata agli occhi di tutti.
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96. Si era fatto Un programma di non manifestare
quasi a nessuno il suo straordinario segreto, nel timore che gli amici, non
resistessero alla tentazione di divulgarlo per amicizia, come suole accadere, e
gliene venisse una diminuzione di grazia. Aveva pertanto continuamente sulle
labbra il detto del salmista: Nel mio cuore ho riposto tutte le tue parole,
per non peccare dinanzi a Te (Sal 118,11). Si era addirittura accordato con
i suoi fratelli e figli di ripetere questo versetto come segno che intendeva
troncare la conversazione coi borghesi che venivano da lui; a quel segnale essi
dovevano cortesemente licenziare i visitatori. Aveva sperimentato quanto è
nocivo all'anima comunicare tutto a tutti, e sapeva che non può essere uomo
spirituale colui che non possiede nel suo spirito segreti più numerosi e
profondi di quelli che potevano essere letti sul viso e giudicati in ogni loro
parte dagli uomini. Si era infatti imbattuto in persone che esteriormente
mostravano d'essere d'accordo con lui, mentre la pensavano diversamente: in sua
presenza lo apprezzavano, in sua assenza lo disprezzavano; e questi lo
indussero a un giudizio di disapprovazione verso di loro, e qualche volta gli
resero un poco sospette anche persone che venivano a lui con sentimenti retti.
Così
purtroppo spesso avviene che la malignità cerca di screditare tutto ciò che è
puro, e poiché la menzogna è vizio di molti, si finisce per non credere più
alla sincerità dei pochi.
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CAPITOLO IV
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FERVORE DI SAN
FRANCESCO
E
SUA MALATTIA AGLI OCCHI
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488
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97. In quello stesso periodo, il suo corpo
cominciò ad essere tormentato da mali fisici diversi e più violenti. Soffriva infatti
parecchie malattie in conseguenza delle aspre penitenze cui già da anni
sottoponeva il suo corpo. Esattamente per diciott'anni, quanti erano passati da
quando aveva cominciato le sue peregrinazioni per varie e vaste regioni,
impegnato a diffondere la parola evangelica, animato da costante e ardente
spirito di fede, quasi mai si era preoccupato di dare un po' di riposo alle sue
membra affrante. Aveva riempito la terra del Vangelo di Cristo. Era capace di
passare per quattro o cinque città in un sol giorno, annunciando a tutti il
Regno di Dio. Edificava gli uditori non meno con l'esempio che con la parola,
si potrebbe dire divenuto tutto lingua.
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489
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L'accordo tra lo spirito e la carne appariva in lui
così perfetto, che quest'ultima, invece di costituire un ostacolo al primo, lo
precedeva nella corsa verso la santità, come dice la Scrittura: Di Te ha
sete la mia anima, e quanto anche la mia carne (Sal 62,2). L'obbedienza
assidua aveva finito per rendere volontaria questa sottomissione, e questa
docilità di ogni giorno l'aveva reso luogo proprio di una grande virtù; infatti
spesso la consuetudine si tramuta in natura.
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490
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98. Ma poiché è legge di natura ineluttabile che il
corpo si consumi ogni giorno, mentre lo spirito si può ringiovanire, avvenne
che quell'involucro preziosissimo che racchiudeva quel celeste tesoro, cominciò
a cedere da tutte le parti e a indebolirsi notevolmente. Siccome però, come
dice la Scrittura: Quando un uomo ha finito, allora comincia e quando sarà
consumato opererà (Sal 18,6), si vide il suo spirito farsi più pronto nella
carne inferma. Tanto vivo era il suo amore per la salvezza delle anime, che per
conquistarle a Dio, non avendo più la forza di camminare, se ne andava per le
contrade in groppa ad un asinello. Spesso i confratelli con dolce insistenza lo
invitavano a ristorare un poco il suo corpo infermo, e troppo debole con cure
mediche, ma egli, che aveva lo spirito continuamente rivolto al cielo,
declinava ogni volta l'invito, poiché desiderava soltanto sciogliersi dal
corpo per essere con Cristo(Fil 1,23).
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491
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Anzi, poiché non aveva ancora completato nella
sua carne quanto mancava alla Passione di Cristo (Cof Col 1,24),
sebbene ne portasse nel corpo le stimmate, incorse in una gravissima malattia
d'occhi, come se Iddio mandasse a lui un nuovo segno della sua misericordia. E
siccome quella malattia si aggravava di giorno in giorno e sembrava peggiorare
per la mancanza di ogni cura, frate Elia, che Francesco aveva scelto come madre
per sé e costituito padre per gli altri frati, lo costrinse a non rifiutare i
rimedi della medicina in nome del Figlio di Dio, che la creò, secondo la
testimonianza della Scrittura: l'Altissimo ha creato in terra la medicina e
il savio non la respingerà (Sir 38,4). A quelle parole Francesco
obbedì.
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CAPITOLO V
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AL CARDINALE UGOLINO, VESCOVO DI
OSTIA,
CHE LO RICEVE BENEVOLMENTE A RIETI,
IL SANTO PREDICE LA NOMINA A SOMMO
PONTEFICE
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99. Si provarono diversi medici con rimedi diversi,
ma non se ne fece nulla; allora Francesco si recò a Rieti, dove si diceva
dimorasse uno specialista molto esperto per la cura di quel male. A1 suo arrivo
fu accolto benevolmente e con amore da tutta la curia romana, che in quel
periodo risiedeva in quella città, ma in modo tutto particolare lo ricevette
con tanta devozione il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, famoso allora per
rettitudine e santità di vita.
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493
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Il beato Francesco lo aveva scelto col consenso e
beneplacito del papa Onorio III, come signore e protettore del suo Ordine,
proprio perché gli era cara la beata povertà e onorava assai la santa
semplicità. Questo prelato imitava la vita dei frati e, desideroso di
raggiungere la santità, era semplice con i semplici, umile con gli umili,
povero con i poveri. Era un frate tra i frati, tra i minori il più piccolo e,
per quanto gli era consentito, si ingegnava a diportarsi sempre come uno di
loro nella sua vita e nei suoi costumi. Era sollecito di dilatare ovunque
l'Ordine minoritico e, d'altra parte, la fama della sua vita santa contribuiva
a diffonderlo maggiormente anche nelle regioni più lontane. Il Signore gli
aveva donato sapienza ed eloquenza, ed egli se ne serviva per confutare e
confondere i nemici della verità e della Croce di Cristo, ricondurre gli
erranti sulla retta via, ricomporre le liti e rinsaldare il vincolo della
carità tra i fratelli. Era nella Chiesa di Dio lampada che arde e illumina,
saetta scelta, tenuta in serbo per il momento opportuno. Quante volte, deposte
le ricche vesti e indossatene altre rozze, lo si vedeva andarsene a piedi
scalzi come un frate minore, per portare la pace. Ogni volta che gli si
presentava l'occasione, si adoperava con ardore a ristabilire questa pace tra
l'uomo e il prossimo e tra l'uomo e Dio. Per questo il Signore lo scelse poco
tempo dopo come Pastore di tutta la sua santa Chiesa, conferendogli autorità e
potenza su tutti i popoli.
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100. Perché si riconoscesse che questo avvenne per
divina ispirazione e volontà di Cristo, il beato padre Francesco lo profetizzò
con le parole e lo significò con i fatti molto tempo prima. Quando infatti
l'Ordine e religione dei frati incominciava, sostenuto dalla grazia di Dio, a
dilatarsi, a innalzare nel cielo, come cedro del Signore, la cima dei suoi
meriti, e ad estendere, come vigna eletta, i suoi santi tralci su tutta la terra,
il beato Francesco si recò da papa Onorio III, capo della Chiesa romana in
quegli anni, supplicandolo umilmente di concedere a lui e ai suoi frati in
qualità di padre e signore, Ugolino, vescovo di Ostia. Il Pontefice esaudì la
richiesta del Santo, e ben volentieri delegò la sua giurisdizione sull'Ordine a
Ugolino. Questi la ricevette con umile riverenza e, come il servo fedele e
prudente costituito sopra la casa del Signore, si impegnò in tutti i modi ad
assicurare il cibo della vita a tutti coloro che erano stati affidati alle sue
cure.
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495
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Perciò il beato padre, da parte sua, si studiava di
essergli sempre docile e lo venerava con amore e devozione. Poiché si lasciava
condurre dallo Spirito di Dio, di cui era ricolmo, il beato Francesco intuiva
molto tempo prima ciò che poi si sarebbe realizzato agli occhi di tutti. Ecco
perché quando gli scriveva per cose relative all'Ordine di cui condividevano la
responsabilità, o più spesso per l'amore che gli portava in Cristo, nelle sue
lettere non si limitava mai a chiamarlo Vescovo di Ostia e di Velletri, come
usavano gli altri nei saluti di convenienza, ma, non senza ragione, lo
salutava: "Ugolino, vescovo di tutto il mondo!". Spesso poi lo
salutava con benedizioni mai udite prima e benché gli fosse sottomesso come
figlio deferente, talvolta, per ispirazione celeste, lo consolava con fare
paterno, quasi a rafforzare su di lui le benedizioni dei padri, fino alla
venuta di colui che è il desiderio dei colli eterni(Gen 49,26).
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496
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101. Il cardinale Ugolino, a sua volta, nutriva
profondo affetto per il Santo; gradiva quindi ogni sua parola e atto, anzi
spesso si rasserenava tutto al solo vederlo. Egli stesso afferma di non aver
mai avuto turbamenti d'animo per quanto grandi, che la vista e le parole di
Francesco non bastassero ad eliminare, disperdendo le nubi dello spirito ed
ogni tristezza, e riportandovi la serenità e la gioia. Si diportava con
Francesco come il servo rispetto al suo padrone; lo ossequiava come un apostolo
di Cristo, e sovente, inchinandosi, lo riveriva, baciandogli le mani
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497
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Con devozione e sollecitudine si preoccupava di
trovare un rimedio per far ricuperare al beato padre la sanità degli occhi,
perché lo riteneva un uomo santo e giusto e necessario e molto utile alla
Chiesa di Dio. Condivideva il timore e la preoccupazione di tutta la famiglia
dei frati per lui, e nella persona del Padre aveva pietà dei figli. Perciò
esortava il beato padre, a prendersi cura di sé e a non ricusare i mezzi
necessari, ricordandogli che questa trascuratezza gli poteva essere imputata a
peccato piuttosto che a merito.
In spirito
di umile obbedienza a questi autorevoli ammonimenti, san Francesco decise di
avere con meno scrupolo un po' di riguardo per il suo male. Ma era ormai troppo
tardi. Il male si era tanto aggravato, che per ricavarne anche solo un piccolo
beneficio si richiedevano somma perizia medica e strazianti rimedi. Difatti,
gli si bruciarono con ferri roventi le parti del capo credute lese, si incisero
delle vene, si applicarono impiastri, si iniettarono collirii ma senza alcun
miglioramento; anzi, l'infermità parve peggiorare sempre più.
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CAPITOLO VI
|
VIRTÙ DEI FRATI
CHE SERVIVANO SAN FRANCESCO.
QUAL ERA IL SUO PROGETTO Dl VITA
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498
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102. Il Santo sopportò tutte queste infermità per
quasi due anni, con ogni pazienza e umiltà, in tutto rendendo grazie a Dio. Ma
per poter attendere con maggior libertà e devozione a Dio, e percorrere le
celesti dimore nelle frequenti estasi e potersi finalmente collocare in cielo
davanti al dolcissimo e serenissimo Signore dell'universo, ben provvisto di
meriti, affidò la cura della sua persona ad alcuni frati, veramente degni della
sua predilezione
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499
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Erano uomini assai virtuosi, devoti a Dio, cari
ai santi del cielo e amati dagli uomini sulla terra, e su di essi il beato
Francesco si appoggiava come casa su quattro colonne. Ne ometto i nomi per
riguardo alla loro modestia, virtù che, da veri religiosi, amano molto
cordialmente. La modestia infatti è il decoro di tutte le età, testimone di
innocenza, indizio d'un cuore puro, verga di disciplina, gloria particolare
della coscienza, garanzia della buona riputazione, pregio e coronamento della
perfetta rettitudine. Questa virtù era loro comune e li rendeva graditi e
amabili a tutti.
Ciascuno
poi aveva una virtù propria: il primo era particolarmente discreto, il secondo
mirabilmente paziente, il terzo di encomiabile semplicità, l'ultimo era robusto
di corpo e mite di animo. Essi con ogni diligenza, cura e buona volontà
difendevano il raccoglimento spirituale del beato padre, curavano la sua
malattia senza risparmiarsi pene e fatiche, felici di dedicarsi totalmente al
servizio di lui.
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500
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103. Francesco, sebbene già fosse arricchito di
ogni grazia davanti a Dio e risplendesse per le sue sante opere davanti agli
uomini, pensava di intraprendere un cammino di più alta perfezione, e suscitare
nuove guerre affrontando direttamente da valorosissimo soldato il nemico. Si
proponeva, sotto la guida di Cristo, di compiere opere ancora più grandi, e
sperava proprio, mentre le sue energie fisiche andavano esaurendosi rapidamente
di giorno in giorno, di riportare nel nuovo attacco un pieno trionfo. Il vero
coraggio infatti non conosce limiti di tempo, dal momento che aspettava una
ricompensa eterna. Perciò bramava ardentemente ritornare alle umili origini del
suo itinerario di vita evangelica e, allietato di nuova speranza per la
immensità dell'amore, progettava di ricondurre quel suo corpo stremato di forze
alla primitiva obbedienza dello spirito. Perciò allontanava da sé tutte le cure
e lo strepito delle considerazioni umane che gli potevano essere di ostacolo, e
pur dovendo, a causa della malattia, temperare necessariamente l'antico rigore,
diceva: "Cominciamo, fratelli, a servire il
Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!".
Non lo sfiorava neppure il pensiero di aver conquistato il traguardo e,
perseverando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava
sempre di poter ricominciare daccapo. Voleva rimettersi al servizio dei
lebbrosi ed essere vilipeso, come un tempo; si proponeva di evitare la
compagnia degli uomini e rifugiarsi negli eremi più lontani, affinché,
spogliato di ogni cura e deposta ogni sollecitudine per gli altri, non ci fosse
tra lui e Dio che il solo schermo della carne.
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501
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104. Vedeva molti avidi di onori e di cariche, e
detestandone la temerità, cercava di ritrarli da questa peste con il suo
esempio. Diceva infatti che è cosa buona e accetta a Dio assumersi il governo
degli altri, ma sosteneva che dovevano addossarsi la cura delle anime solo
quelli che in quell'ufficio non cercano nulla per sé, ma guardano sempre in
tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono alla propria salute
spirituale e non cercano l'applauso dei sudditi ma il loro profitto, non la
stima degli uomini, ma unicamente la gloria di Dio; coloro che non aspirano
alla prelatura, ma la temono, e se viene loro data non montano in superbia ma
si sentono più umili e, quando viene loro revocata, non si avviliscono ma ne
godono. Diceva ancora che soprattutto in un'epoca di malvagità e di iniquità
come questa, c'è grave pericolo nella prelatura e maggior vantaggio nell'essere
governati. Provava grande amarezza nel vedere che alcuni, abbandonato quello
che avevano così bene incominciato, dimenticavano la semplicità antica per
seguire nuovi indirizzi. Perciò si lamentava di alcuni, che un tempo erano
tutti intenti a mete più elevate ed ora si erano abbassati a cose vili e
futili, abbandonati i veri gaudi dell'anima, si affannavano a rincorrere
frivolezze e realtà prive d'ogni valore nel campo di una malintesa libertà. Per
questo implorava la divina clemenza per la liberazione dei suoi figli e la
scongiurava con la devozione più grande perché li conservasse fedeli alla loro
vocazione.
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CAPITOLO VII
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RITORNO Dl FRANCESCO DA SIENA AD
ASSISI.
LA CHIESA Dl SANTA MARIA DELLA
PORZIUNCOLA
E LA BENEDIZIONE AI FRATI
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502
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105. Sei mesi prima della sua morte, dimorando a
Siena per la cura degli occhi, cominciò ad ammalarsi gravemente per tutto il
corpo. A seguito di una rottura dei vasi sanguigni dello stomaco, a causa della
disfunzione del fegato, ebbe abbondanti sbocchi di sangue, tanto da far temere
imminente la fine. Frate Elia, a quella notizia, accorse in fretta da lontano
e, al suo arrivo, Francesco migliorò al punto che poté lasciare Siena e recarsi
con lui alle Celle presso Cortona. Ma dopo pochi giorni dall'arrivo, il male
riprese il sopravvento: gli si gonfiò il ventre, si inturgidirono gambe e
piedi, e lo stomaco peggiorò talmente che gli riusciva quasi impossibile
ritenere qualsiasi cibo. Chiese allora a frate Elia il favore di farlo
riportare ad Assisi. Da buon figliuolo questi eseguì la richiesta del caro
padre prendendo tutte le precauzioni necessarie, anzi ve lo accompagnò
personalmente. L'intera città esultò alla venuta del Santo e tutti ne lodavano
Iddio, poiché tutto il popolo sperava che il Santo finisse i suoi giorni tra le
mura della sua città, e questo era il motivo di tale esultanza.
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503
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106. E, certamente per divino volere, avvenne che
quell'anima santa, liberata dall'involucro corporale, volasse al cielo proprio
nel luogo in cui, mentre era nel corpo, aveva ricevuto la prima rivelazione
delle verità soprannaturali ed aveva capito la divina chiamata. Sapeva
certamente che il Regno di Dio è in ogni parte della terra e credeva veramente
che ovunque i fedeli possono ricevere i suoi doni; ma l'esperienza gli aveva
insegnato che quel luogo che conteneva la chiesetta di Santa Maria della
Porziuncola era favorito e onorato da grazie celesti più abbondanti e da
frequenti visite di spiriti angelici. Pertanto diceva spesso ai frati:
"Guardatevi, figli miei, dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste
scacciati da una parte, rientratevi dall'altra, perché questo luogo è veramente
santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravamo pochi, l'Altissimo ci ha
moltiplicati qui ha illuminato con la sua sapienza i cuori dei suoi poverelli;
qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre volontà. Qui, chi pregherà
con devozione, otterrà ciò che avrà chiesto, e chi lo profanerà sarà
maggiormente punito. Perciò, figli, stimate degno di ogni onore questo luogo,
dimora di Dio, e con tutto il vostro cuore, con voce esultante qui inneggiate
al Signore".
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504
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107. Intanto le sue condizioni si aggravavano
sempre i più, tutte le forze lo abbandonavano, e Francesco fu costretto
all'immobilità. Eppure, quando un frate gli domandò un giorno se preferisse
sopportare quella sofferenza grave e incessante o il martirio del carnefice,
rispose: "O figlio, e sempre stato ed è per me più
caro e dolce e gradito ciò che al Signore mio Dio più piace avvenga in me, e
alla sua volontà soltanto voglio costantemente e in tutto trovarmi concorde,
obbediente e docile. Ma se dovessi fare un paragone, dovrei dire che sopportare
anche solo per tre giorni questa malattia mi sarebbe più doloroso di qualsiasi
martirio; non parlo, evidentemente, in riferimento al premio ma solo alla
molestia che questa forma di passione arreca ". O uomo due volte
martire, che amorosamente e sorridendo di gioia sopportava quello che per gli
altri tutti era troppo spaventoso e doloroso a vedersi! Non c'era in lui ormai
membro alcuno che non fosse straziato da un solo dolore, e il calore vitale
l'abbandonava sempre più, preludio della fine imminente. Medici e frati non
riuscivano a capacitarsi come potesse il suo spirito continuare a vivere in una
carne ormai morta e tanto consunta che non possedeva più se non la pelle
aderente alle ossa.
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505
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108. Quando sentì che stava per giungere il momento
della sua partenza da questa terra,--come gli era stato anche indicato da una
rivelazione divina due anni prima,-- convocati attorno a sé i suoi frati che
desiderava rivedere, impartì a ciascuno la benedizione, conforme a quanto gli
veniva indicato dal cielo, come un tempo il patriarca Giacobbe benedisse i suoi
figli, o meglio ancora come un altro Mosé, che accingendosi a salire sul Sinai
mostratogli da Dio, elargì copiose benedizioni al popolo d'Israele.
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506
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Alla sua sinistra stava frate Elia e tutti
attorno gli altri suoi figli. Egli allora incrociò le braccia per porre la
destre sul capo di frate Elia ed, essendo cieco, domandò: " Su chi tengo
la mia mano? ". "Su frate Elia ", gli risposero. "Così
voglio anch'io", disse, e aggiunse: "Ti benedico, o figlio, in tutto
e per tutto; e come l'Altissimo, sotto la tua direzione, rese numerosi i miei
fratelli e figlioli, così su te e in te li benedico tutti. In cielo e in terra
ti benedica Iddio, Re di tutte le cose. Ti benedico come posso e più di quanto
è in mio potere, e quello che non posso fare io, lo faccia in te Colui che
tutto può. Si ricordi Dio del tuo lavoro e della tua opera e ti riservi la tua
mercede nel giorno della retribuzione dei giusti. Che tu possa trovare
qualunque benedizione desideri e sia esaudita qualsiasi tua giusta domanda".
"Addio figli miei tutti, vivete nel timore di Dio e rimanete in Lui
sempre, perché sta per sopraggiungere su di voi una prova e tribolazione assai
grande e paurosa. Beati quelli che persevereranno nelle sante opere intraprese;
non pochi purtroppo si separeranno da loro a causa degli scandali. Quanto a me
mi affretto verso il Signore; ho fiducia di giungere al mio Dio cui ho servito
devotamente nel mio spirito ".
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507
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Dimorava allora il Santo nel palazzo del vescovo di
Assisi, e pregò i frati di trasportarlo in fretta a Santa Maria della
Porziuncola, volendo rendere l'anima a Dio là dove, come abbiamo detto, per la
prima volta aveva conosciuto chiaramente la via della verità.
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CAPITOLO VIII
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ULTIME PAROLE E ATTI
PRIMA
DELLA MORTE
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508
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109. Erano ormai trascorsi vent'anni dalla sua
conversione e, come gli era stato comunicato per divina rivelazione, la sua
ultima ora stava per scadere. Era avvenuto così. Mentre il beato Francesco e
frate Elia dimoravano insieme a Foligno, una notte apparve in sogno a frate Elia
un sacerdote bianco-vestito, di aspetto grave e venerando, che gli disse:
"Va, fratello, e avverti Francesco che, essendosi compiuti diciott'anni da
quando rinunciò al mondo per seguire Cristo, gli rimangono solo due anni e poi
il Signore lo chiamerà a sé nell'altra vita ".
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509
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Così dunque stava per compiersi esattamente quanto
la parola di Dio aveva annunciato due anni prima. Da pochi giorni riposava in
quel luogo tanto bramato, e sentendo che l'ora della morte era ormai imminente,
chiamò a sé due suoi frati e figli prediletti, perché a piena voce cantassero
le Lodi al Signore con animo gioioso per l'approssimarsi della morte, anzi
della vera vita. Egli poi, come poté intonò il salmo di David: Con la mia
voce al Signore grido aiuto, con la mia voce supplico il Signore (Sal
141,1).
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510
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Uno dei frati che lo assistevano, molto caro al
Santo e molto sollecito di tutti i frati, vedendo questo e conoscendo che la
fine era vicina, gli disse: "Padre amato, già i tuoi figli stanno per
rimanere orfani e privi della luce dei loro occhi! Ricordati dei figli che
lasci orfani, perdona tutte le loro colpe e dona ai presenti e agli assenti il
conforto della tua benedizione". E Francesco: " Ecco, Dio mi chiama,
figlio. Ai miei frati presenti e assenti, perdono tutte le offese e i peccati e
tutti li assolvo, per quanto posso, e tu, annunciando questo, benedicili da
parte mia ".
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511
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110. Poi si fece portare il libro dei Vangeli,
pregando che gli fosse letto il brano del Vangelo secondo Giovanni, che inizia
con le parole: Sei giorni prima della Pasqua, sapendo Gesù ch'era giunta
l'ora di passare da questo mondo al Padre(Gv 12,1; 13,1). Questo stesso
passo si era proposto di leggergli il ministro, ancora prima di averne
l'ordine, e lo stesso si presentò alla prima apertura del libro, sebbene quel
volume contenesse tutta intera la Bibbia.
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512
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E dato che presto sarebbe diventato terra e cenere,
volle che gli si mettesse indosso il cilicio e venisse cosparso di cenere. E
mentre molti frati, di cui era padre e guida, stavano ivi raccolti con
riverenza e attendevano il beato "transito" e la benedetta fine,
quell'anima santissima si sciolse dalla carne, per salire nell'eterna luce, e
il corpo s'addormentò nel Signore.
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513
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Uno dei suoi frati e discepoli, molto celebre,
del quale non dico il nome, perché essendo tuttora vivente non vuole trarre
gloria da un sì grande privilegio, vide l'anima del santissimo padre salire
dritta al cielo al di sopra di molte acque; ed era come una stella, grande come
la luna, splendente come il sole e trasportata da una candida nuvoletta.
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514
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111. Mi si lasci, dunque, esclamare così:
"Quanto glorioso è questo Santo, di cui un discepolo contemplò l'anima
ascendere in cielo. Bella come la luna, splendente come il sole (Ct
6,9), mentre ascendeva raggiava di gloria in mezzo ad una nube candida. O
vera luce del mondo, che rifulgi più del sole nella Chiesa di Cristo, già ci
hai nascosto i tuoi raggi e, ritirandoti nella splendida patria celeste, hai
scambiato la nostra compagnia di miseri mortali con quella degli angeli e dei
beati! O insigne specchio della nostra religione, non deporre con la tua carne
mortale la cura dei tuoi figli. Tu sai bene in quali pericoli li hai lasciati,
ora che nelle innumerevoli fatiche e nelle frequenti prove non ci sei più tu
che con la tua benevola presenza in ogni momento li confortavi e li rianimavi.
O padre santissimo, veramente misericordioso, sempre pronto alla compassione e
al perdono per i tuoi figli erranti! Ti benediciamo, dunque, padre amoroso,
unendo la nostra alla benedizione dell'Altissimo, il quale è sempre Dio
benedetto su tutte le cose. Amen.
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CAPITOLO IX
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PIANTO E GAUDIO DEI FRATI, CHE AMMIRANO IN LUI,
I SEGNI DELLA CROCIFISSIONE.
LE ALI DEL SERAFINO
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515
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112. Ed ecco, la gente accorre in massa, e
glorifica Dio, dicendo: "Lodato e benedetto sii tu, Signore, nostro Dio,
che a noi indegni hai affidato questo prezioso deposito. Lode e gloria a Te,
Trinità ineffabile!". A frotte accorre tutto il popolo d'Assisi e dei
dintorni, per vedere i prodigi divini, che il Signore di maestà aveva
manifestato nel santo suo servo. Ciascuno innalzava un inno di giubilo, come il
cuore gli dettava, tutti poi benedicevano l'onnipotenza del Salvatore, che
aveva esaudito il loro desiderio. Ma i figli si dolevano d'essere stati privati
di un tale padre e sfogavano il loro dolore con lacrime e sospiri .
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516
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Pure, una gioia misteriosa temperava la loro
mestizia e la novità del miracolo riempiva le loro menti di straordinario
stupore. Così il lutto si cambiò in cantico e il pianto in giubilo. Infatti mai
avevano udito né letto quello che ora vedevano con i loro occhi, e a stento ci
avrebbero creduto se non ne avessero avuto davanti una prova così evidente.
Veramente in Francesco appariva l'immagine della croce e della Passione
dell'Agnello immacolato (1Pt 1,19) che lavò i peccati del mondo:
sembrava appena deposto dal patibolo, con le mani e i piedi trafitti dai chiodi
e il lato destro ferito dalla lancia (Gv 19,34). Vedevano ancora la sua
carne, che prima era bruna, risplendere ora di un bel candore, una bellezza
sovrumana, che comprovava in lui il premio della beata resurrezione. Ammiravano
infine il suo volto simile a quello di un angelo (At 6,15), quasi fosse
vivo e non morto, e le altre sue membra divenute morbide e flessibili come quelle
di un bimbo. Niente contrazione dei nervi, indurimento della pelle,
irrigidimento del corpo, come suole accadere per chi è morto, ma la stessa
mobilità di movimenti degli esseri viventi!
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517
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113. Mentre risplendeva davanti a tutti per sì
meravigliosa bellezza e la sua carne si faceva sempre più diafana, era
meraviglioso scorgere al centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi,
ma i chiodi medesimi formati di carne dal color del ferro e il costato
imporporato dal sangue. E quelle stimmate di martirio non incutevano timore a
nessuno, bensì conferivano decoro e ornamento, come pietruzze nere in un
pavimento candido.
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518
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I suoi frati e figli accorrevano solleciti e
piangendo baciavano le mani e i piedi del padre amoroso che li aveva lasciati,
ed anche quel lato destro sanguinante, ricordo di Colui che versando sangue e
acqua dal suo petto aveva riconciliato il mondo (Gv 19,34; Rm 5,10)
con il Padre. Ognuno dei fedeli stimava grandissimo privilegio se riusciva, non
dico a baciare ma anche solo a vedere le sacre stimmate di Cristo che Francesco
portava impresse nel suo corpo (Cfr Gal 6,17). Chi a tal vista non
avrebbe gioito più che pianto, versato lacrime di gaudio piuttosto che di
tristezza? Qual cuore di ferro o di pietra avrebbe resistito all'emozione, non
si sarebbe aperto all'amore di Dio, non si sarebbe munito di buona volontà? Chi
poteva essere così insensibile o cieco da non comprendere in maniera lampante
che quel Santo, che era insignito sulla terra di così eccezionale grazia
divina, doveva essere pure in cielo contrassegnato da indicibile gloria?
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519
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114. O dono davvero speciale e testimonianza di
predilezione, che il soldato sia onorato con quelle stesse armi gloriose che si
addicono al solo re! O prodigio degno di memoria eterna, o sacramento
meraviglioso, degno di perenne e devoto rispetto, poiché esso rappresenta in
maniera visibile alla nostra fede l'ineffabile mistero per il quale il sangue
dell'Agnello immacolato, sgorgando a fiotti da cinque ferite, lavò i peccati
del mondo! O eccelso splendore di quella croce che è fonte di vita e dà la vita
ai morti e il suo peso preme così soavemente e punge con tale dolcezza che in
essa la carne morta rivive e lo spirito infermo si ristora! Quanto ti ha amato
Francesco, se tu l'hai così mirabilmente decorato! Sia benedetto e glorificato
Dio, unico e sapiente, che rinnova i suoi miracoli per confortare i deboli e
mediante le meraviglie visibili conquistarne gli animi all'amore di quelle
invisibili! O meravigliosa e amorosa disposizione divina, che per fugare ogni
dubbio sulla novità del prodigio, ha compiuto prima con infinita misericordia
in Colui che venne dal cielo quello che poi avrebbe realizzato nell'uomo della
terra! E veramente il padre della misericordia (2Cor 1,3) ha
voluto mostrare di qual premio sia degno colui che si sarà impegnato ad amarlo
con tutto il cuore: essere cioè accolto tra le schiere più elette e vicine a
Dio, quelle degli angeli.
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520
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Quel premio anche noi, senza alcun dubbio,
potremo raggiungerlo se, come il Serafino, terremo due ali diritte sopra il
capo (Ez 1,23), se cioè, sull'esempio del beato Francesco,
conserveremo in ogni opera buona purezza d'intenzione e rettitudine d'azione,
così da rivolgerle a Dio, impegnandoci senza stanchezza a seguire in tutto il
suo volere. É necessario che queste ali siano congiunte, coprendo il capo(Ez
1,23), poiché il Padre dei lumi non gradirebbe l'opera buona, se non fosse
unita alla purità d'intenzione. Ha detto infatti il Signore: Se il tuo
occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato, ma se il tuo occhio è
torbido, il tuo corpo sarà nelle tenebre(Mt 6,23). Occhio semplice
poi non è quello che non vede ciò che va visto, per mancanza di conoscenza
della virtù, e neppure quello che vede ciò che non va veduto, perché non ha
intenzione pura. É chiaro infatti che nel primo caso non sarebbe semplice, ma
cieco, e nel secondo è malvagio. E le penne di queste ali indicano l'amore di
Dio Padre misericordioso che salva e il timore di Cristo, giusto giudice; due
disposizioni queste che devono staccare le anime degli eletti dalle cose
terrene, reprimendo le cattive tendenze e suscitando casti sentimenti. Il
secondo paio di ali simboleggia il duplice precetto della carità verso il
prossimo: confortare l'anima con la parola di Dio e aiutare il corpo con i
mezzi materiali. Difficilmente esse si congiungono, perché assai di rado
un'unica persona può attendere ai due compiti; le loro penne rappresentano le
diverse opere per svolgere la funzione di consiglio e soccorso al prossimo. Le
ultime due ali devono coprire il corpo ogni volta che questo, denudato a causa
del peccato, viene di nuovo rivestito dell'innocenza mediante il pentimento e
la confessione. Le loro penne raffigurano tutti i buoni affetti e desideri
suscitati nell'anima dalla detestazione delle colpe e dal desiderio di
giustizia.
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521
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115. Tutto questo realizzò a perfezione il beato
padre Francesco, che ebbe figura e forma di Serafino e, perseverando a vivere
crocifisso, meritò di volare all'altezza degli spiriti celesti. E veramente non
si staccò mai dalla croce, perché non si sottrasse mai a nessuna fatica e
sofferenza, pur di realizzare in sé e di sé la volontà del Signore.
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522
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I frati che vissero con lui, inoltre sanno molto
bene come ogni giorno, anzi ogni momento affiorasse sulle sue labbra il ricordo
di Cristo; con quanta soavità e dolcezza gli parlava, con quale tenero amore
discorreva con Lui. La bocca parlava per l'abbondanza dei santi affetti del
cuore, e quella sorgente di illuminato amore che lo riempiva dentro, traboccava
anche di fuori. Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel
cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle
mani, Gesù in tutte le altre membra. Quante volte, mentre sedeva a pranzo,
sentendo o pronunciando lui il nome di Gesù, dimenticava il cibo temporale e,
come si legge di un santo, "guardando, non vedeva e ascoltando non
udiva". C'è di più, molte volte, trovandosi in viaggio e meditando o
cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le
creature alla lode di Gesù. Proprio perché portava e conservava sempre nel
cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e questo crocifisso, perciò fu insignito
gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui, che egli aveva la grazia
di contemplare, durante l'estasi, nella gloria indicibile e incomprensibile
seduto alla "destra del Padre", con il quale l'egualmente altissimo
Figlio dell'Altissimo, assieme con lo Spirito Santo vive e regna, vince e
impera, Dio eternamente glorioso, per tutti i secoli. Amen!
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CAPITOLO X
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IL PIANTO DELLE POVERE DAME Dl SAN
DAMIANO
E LA GLORIOSA SEPOLTURA Dl FRANCESCO
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523
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116. I suoi frati e figli insieme alle folle
accorse dai paesi vicini per avere la gioia di partecipare ai solenni funerali,
passarono l'intera notte in cui Francesco morì, pregando e salmodiando; ed era
tale la dolcezza dei canti e lo splendore delle luci da far pensare ad una
veglia di angeli.
All'indomani
all'alba arrivarono i cittadini di Assisi con tutto il clero e, prelevando il
sacro corpo, lo trasportarono onorevolmente in città tra inni e canti e squilli
di trombe. Celebrando insieme la solennità di quelle esequie, tutti si erano
muniti di rami d'ulivo e di altri alberi e procedevano cantando a piena voce
preghiere e lodi al Signore nello splendore di innumerevoli ceri. I figli
portavano il loro Padre, il gregge seguiva il suo pastore, che li aveva
preceduti incontro al Pastore universale.
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524
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Quando giunsero al luogo dove egli aveva fondato
l'Ordine religioso delle sacre vergini e Donne Povere, deposero il sacro corpo
nella chiesa di San Damiano, dove dimoravano quelle sue figlie dilette ch'egli
aveva conquistate al Signore e fu aperta la piccola grata attraverso la quale
le ancelle di Cristo sogliono ricevere nei tempi stabiliti l'Eucarestia. Fu
aperto anche il feretro, che conteneva quel tesoro di celesti virtù, portato
ora da pochi, lui che era solito portare molti durante la sua vita . Ed ecco,
donna Chiara, che era veramente chiara per ricchezza di meriti, prima madre di
tutte le altre, perché era stata la prima pianticella di quella religiosa
famiglia, viene con le figlie a vedere il Padre che più non parla con loro e
non ritornerà più tra loro, perché se ne va altrove.
117. E guardandolo, piangendo e gemendo, con voce
accorata, espressero così il loro cordoglio trepidante e devoto: "O Padre,
che cosa faremo ora noi, misere? Perché ci abbandoni desolate? A chi ci affidi,
così desolate? Perché non ci hai dato la gioia di precederti nel Regno dei
beati e invece ci lasci qui nel dolore? Come potremo vivere nel nostro
monastero, ora che più non verrai, come un tempo a visitarci? Con te se ne va
per noi, sepolte al mondo, ogni nostro conforto! Chi ci soccorrerà in questa
povertà di beni spirituali e materiali? O padre dei poveri, amante della
povertà, chi ci aiuterà nelle tentazioni? Tu lo potevi, perché ne avevi provate
e superate tante! Chi ci sosterrà nel momento delle tribolazioni, o tu che sei
stato il nostro aiuto nelle molte tribolazioni che già sperimentammo? O
amarissimo distacco, tremenda partenza; o morte inesorabile che uccidi migliaia
di figli e di figlie, privandoli del loro santissimo padre, mentre ti affretti
a strapparci per sempre colui per merito del quale il nostro buon volere, se
pure ne abbiamo, raggiunse la sua migliore fioritura! ".
Ma
il verginale pudore poneva un freno al pianto, né sembrava conveniente piangere
a dirotto su colui, il cui transito aveva richiamato schiere di angeli e
allietava tutti gli eletti del cielo! Così, sospese tra l'afflizione e la gioia
insieme, baciavano quelle splendide mani, ornate dalle stimmate raggianti come
gemme preziose. E dopo che ebbero rimosso il sacro corpo, fu richiusa quella
porta che non s'aprirà mai più a sì grande ferita. O quanto più grande il
dolore di tutti alla vista dell'accorato e filiale lamento di quelle vergini!
Quanti, soprattutto, i gemiti dei figli in pianto! Tutti partecipavano al
dolore di ognuno di loro, così che non c'era nessuno che riuscisse a trattenere
le lacrime, al vedere quegli angeli di pace piangere così desolatamente
(Cfr Is 33,7).
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525
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118. Giunti finalmente in città, con gioiosa
esultanza tumularono il venerabile corpo in un luogo già sacro, ma ora più
sacro, perché santificato dalla presenza delle spoglie di Francesco. Qui egli,
a gloria dell'onnipotente e sommo Iddio, continua a illuminare il mondo con i
miracoli, come prima l'aveva illuminato con la sua santa predicazione. Siano
rese grazie a Dio. Amen.
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526
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Ecco, o padre santissimo e benedetto: ho cercato
di accompagnarti, come era doveroso, con lodi che fossero degne di te, benché
in una maniera veramente insufficiente, ed ho scritto narrando qualcosa della
tua vita.
Ricordati, o pietoso, dei tuoi poveri figli, ai quali
non resta quasi più alcun conforto ora che sei scomparso tu, che eri l'unico
loro sostegno. Poiché sebbene tu, che di loro sei la parte più nobile e
principale, sei ammesso tra i cori angelici e collocato sul trono glorioso
degli apostoli, essi invece giacciono ancora nel fango, come chiusi in un
carcere oscuro; essi ti supplicano gementi: "Mostra, o padre, al divin
Figlio del sommo Padre le venerande stimmate di lui che tu hai sul costato;
mostra i segni della croce nelle tue mani e nei tuoi piedi, perché egli stesso,
a sua volta, si degni misericordiosamente di mostrare le sue ferite al Padre,
il quale certamente a quella vista sarà sempre benigno con noi miseri! Amen.
Fiat! Fiat! ".
Qui finisce
la parte seconda
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PARTE TERZA
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Tratta della canonizzazione del beato padre Francesco e dei suoi miracoli
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527
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119. Il gloriosissimo padre Francesco, dunque,
nel ventesimo anno della sua conversione, concluse degnamente quella vita che
aveva così felicemente cominciato, e rese beatamente la sua anima a Dio. Nel
cielo, coronato di gloria e di onore e assiso tra i Cherubini, intercede con
amorosa premura davanti al trono di Dio per coloro che ha lasciato quaggiù. E
come potrebbe restare senza risposta la preghiera di questo eletto? Nelle sue
stimmate è raffigurato Cristo che, uguale al Padre, siede alla destra della
divina Maestà, ed è splendore della sua gloria e figura della sostanza di Dio,
dopo aver espiati i nostri peccati(Eb 1,3). Non sarà esaudito colui
che, reso simile a Cristo Gesù nella condivisione della sua passione e morte,
porta nelle mani, nei piedi e nel costato le stesse ferite di Lui?
E
veramente egli già allieta di nuovo gaudio il mondo e offre a tutti i mezzi
della vera salvezza. Irradia la terra con la luce fulgidissima dei miracoli, la
illumina come astro fulgente. Il mondo compiangeva se stesso quando fu privato
della sua presenza e per la sua morte gli pareva d'essere precipitato in un
abisso di tenebre. Ma ora, al sorgere di questa luce nuova, investito da raggi
più fulgenti, come nel meriggio, il mondo sente che tutta la tenebra si è
dileguata. Il pianto è cessato, rinasce la gioia, e le virtù tornano a fiorire
per suo merito. Sia ringraziato Iddio! Dai quattro punti cardinali stanno
arrivando coloro che, beneficati dal suo patrocinio, testimonieranno la verità
di questa affermazione.
Proprio
per questo, Francesco, singolare amatore delle realtà celesti, finché visse
quaggiù non volle mai possedere nulla di proprio, per poter possedere
totalmente e più gioiosamente il sommo Bene; ed ora è divenuto partecipe del
tutto, lui che non volle attaccarsi ad alcuna parte, ed ha scambiato il tempo
con l'eternità. Ovunque e a tutti viene in aiuto, e a tutti è presente e, da
vero amante dell'unità, ignora i danni della parzialità.
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528
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120. Quando viveva ancora tra i peccatori,
percorreva predicando il mondo intero; ora che regna tra gli angeli in cielo,
vola più rapidamente del pensiero, come araldo dell'Altissimo, a portare
benefici salutari ai popoli. Perciò l'umanità intera lo onora, lo venera, lo
glorifica e lo loda, perché davvero tutti hanno parte a questo bene che è per
tutti.
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529
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Chi potrebbe narrare quanti e quali miracoli il
Signore si è degnato operare per mezzo suo in ogni parte del mondo?
Innumerevoli, per esempio, sono quelli compiuti nella sola Francia, dove il
sovrano, la regina e tutti gli altri magnati accorrono a baciare con riverenza
il guanciale usato da Francesco nella sua infermità. Là, anche i sapienti e i
maggiori letterati del mondo, più numerosi in Parigi che altrove, venerano,
ammirano e onorano con umiltà e devozione Francesco, l'illetterato, l'amico
della semplicità, dal cuore incomparabilmente sincero e nobile. E quanto gli si
addice questo nome di "Francesco", a lui che ebbe cuore franco e
nobile più di ogni altro!
E che dire
delle altre parti del mondo, dove, in virtù dei suoi poveri indumenti,
guariscono malattie e infermità, e moltitudini di uomini e di donne sono
liberati dai loro malanni alla sola invocazione del suo nome ?
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530
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121. Anche alla sua tomba è un continuo fiorire di
nuovi miracoli e con la preghiera insistente si ottengono meravigliosi benefici
spirituali e corporali: i ciechi ricuperano la vista, i sordi l'udito, i muti
la favella, gli storpi riprendono a camminare speditamente, il gottoso ritorna
agile, il lebbroso è mondato, l'idropico torna normale e altri sofferenti di
vari acciacchi riacquistano la salute desiderata Così quel corpo che è morto
risana i corpi vivi, come da vivo risuscitava le anime morte!
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531
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Queste meraviglie giungono all'orecchio del romano
Pontefice, primo di tutti i vescovi, guida dei cristiani capo del mondo,
pastore della Chiesa, Unto del Signore e Vicario di Cristo. Se ne rallegra
sommamente, tripudia ed esulta perché vede la Chiesa di Dio rinnovarsi nel suo
tempo mediante gli antichi miracoli in modi nuovi e proprio per opera del
figlio suo, che si era portato nel seno, riscaldato nel grembo, allattato con
la sua parola, educato con il cibo della salvezza. Le odono anche gli altri
prelati e pastori del gregge cristiano, difensori della fede, amici dello
Sposo, suoi collaboratori, sostegni del mondo i venerandi cardinali, e ne
godono con la Chiesa e con il sommo Pontefice e ne lodano il Signore, che nella
sua ineffabile provvidenza e divina grazia e bontà infinita, ha scelto
proprio le cose stolte e vili secondo il mondo (1Cor 1,26) per
attirare i grandi. Ascolta e applaude tutta la terra e l'intera cristianità
sovrabbonda di esultanza ed è pervasa di santa consolazione.
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532
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122. Ma all'improvviso l'orizzonte si oscura,
esplodono nuove perturbazioni sociali e religiose. Violente discordie e gelosie
lacerano la serenità e la pace e riaccendono la lotta all'interno della Chiesa.
Il popolo romano, solitamente sedizioso e altero, infuria contro la gente
confinante e osa pure profanare le cose sacre. Il magnanimo papa Gregorio si
adopera con tutte le forze per arginare il male, frenare l'odio e la violenza e
difendere la Chiesa, come una torre ben salda. Ma i pericoli aumentano, le
stragi si fanno più frequenti; anche nel resto del mondo i perversi insorgono
superbamente contro Dio. Che fare? Il Pontefice, ponderate saggiamente le
circostanze presenti e le possibilità future, decide di abbandonare Roma ai
rivoltosi, per liberare e difendere almeno le altre regioni.
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533
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Si reca, dunque, a Rieti, dove è accolto con
grande onore, quindi a Spoleto, sempre riverito e onorato da tutti. Qui si
trattiene alcuni giorni, e pur vigilando sempre su gli interessi della Chiesa,
si reca, in compagnia dei venerandi cardinali, a far visita amichevole a certe
ancelle di Cristo, sepolte per il mondo. La santa vita, l'altissima povertà e
la gloriosa istituzione di quelle sante vergini suscitano in lui e nei suoi
accompagnatori profonda commozione, li provocano al disprezzo del mondo e li
stimolano ad una vita più coerente con le esigenze del loro stato.
O
umiltà, amabile nutrice di ogni virtù! Il principe del mondo cattolico,
successore di san Pietro apostolo, si degna far visita alle Donne Povere, si
reca da quelle umili e nascoste prigioniere! Un gesto di degnazione papale
indubbiamente conforme al carattere cristiano, ma senza precedenti nella
storia.
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534
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123. Poi papa Gregorio si affretta a raggiungere
Assisi, dove è custodito per lui l'inclito tesoro che spazzerà via la dolorosa
tribolazione. Al suo arrivo tutta la regione è in giubilo, la città è pervasa
di gioia, una grande folla accorre festante, e quel giorno luminoso si riempie
di letizia sincera. Tutti vengono ad incontrare il Pastore supremo con solenne
corteo. Anche il pio gruppo dei poveri frati gli si fa incontro, e ciascuno
canta inni all'Unto del Signore.
Appena arrivato al convento, il Vicario di Cristo
subito si porta a salutare e a rendere omaggio riverente al sepolcro di san
Francesco. Sospira, si batte il petto, piange e, in atto di grande devozione,
piega il venerando capo su quella tomba.
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535
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Quindi dà apertura al solenne processo per la
canonizzazione, convocando a tale scopo spesse volte i venerandi cardinali. Or
ecco, da ogni parte accorrono molti che erano stati liberati dai loro mali per
intercessione di Francesco. Si testimoniano i suoi miracoli, si discutono si
verificano e si approvano! Per un breve intervallo il Papa deve correre a
Perugia per impegni d'ufficio improrogabili; poi con maggiore e speciale
benevolenza torna ad Assisi per continuare l'importantissima causa. Di nuovo a
Perugia, finalmente, il Papa convoca il sacro collegio dei cardinali nelle sue
camere e celebra il sacro concistoro. Sono tutti d'accordo e unanimi; leggono i
miracoli con venerazione e lodano con grandissimi elogi la vita e la santità
del beato padre.
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536
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124. "La santità di questo uomo -- essi
affermano -- non ha bisogno della verifica dei miracoli, noi stessi
l'abbiamo vista con i nostri occhi (Cfr 1Gv 1,1) e toccata
con le nostre mani e vagliata alla luce della verità". Tutti tripudiano,
gioiscono e piangono insieme, e quelle lacrime sono per loro pienezza di
benedizione. E senza più indugio si fissa il giorno di grazia che riempirà il
mondo di gaudio salutare.
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537
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È già spuntato quel giorno solenne che rimarrà
venerando in ogni tempo, e avvolse di allegrezza la terra e il cielo. Vescovi,
abati, prelati accorrono e si riuniscono giungendo dalle regioni più lontane
della terra; è presente anche un re e grande moltitudine di conti e magnati. Si
forma allora un pomposo corteo, e tutti, al seguito del Signore del mondo,
entrano solennemente nella città di Assisi.
Arrivati nel luogo preparato per quella solenne celebrazione, i
cardinali, i vescovi e gli abati si dispongono accanto al Papa, e dietro a loro
un folto stuolo di sacerdoti e di chierici, la sacra e gioiosa assemblea dei
religiosi e la schiera delle religiose avvolte di umiltà, e poi la folla
immensa dei fedeli. Accorrono da ogni parte persone di tutte le età, felici di
essere presenti a così grande raduno: il bimbo vicino all'uomo fatto, il
servo vicino al padrone (Gb 3,19).
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538
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125. Domina al centro il sommo Pontefice, lo sposo
della Chiesa di Cristo, attorniato da tanta varietà di figli, con la corona sul
capo in segno di gloria e di santità. Adorno delle infule papali e dei
paramenti sacri allacciati con fibbie d'oro scintillanti di pietre preziose,
l'Unto del Signore appare nello splendore della sua gloria, rilucente di oro e
di gemme istoriate, e attira gli sguardi di tutti. Lo circondano cardinali e
vescovi, similmente ornati di splendidi monili sulle vesti candide, tanto da
presentare quasi lo spettacolo celestiale e gioioso degli eletti.
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539
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Tutto il popolo attende una parola di gioia e di
letizia nuova (Ger 25,10), dolce e inneggiante, di perenne conforto e
benedizione. Parla per primo papa Gregorio, rivolto a tutta l'assemblea e
annuncia con voce vibrante e affettuosa commozione le meraviglie di Dio. Poi
tesse un nobilissimo elogio del padre Francesco, commovendosi fino alle lacrime
mentre rievoca la purità della sua vita. Tema del suo discorso è il passo del
Siracide: Come la stella del mattino tra le nubi e come splende la luna nel
plenilunio, e come sole raggiante, così egli rifulse nel tempio di Dio(Sir
50,6-7).
Terminato quell'elogio, fedele e degno di fede,
uno dei suddiaconi del Pontefice, di nome Ottaviano, dà lettura davanti a tutti
i fedeli dei miracoli del Santo, e il cardinale diacono Ranieri, noto per
ingegno e virtù, ne fa il commento con eloquenza e viva emozione. Il Papa
esulta e traendo dal petto profondi sospiri e singhiozzi, lascia libero corso
alle lacrime; e così tutti i prelati presenti, tanto da bagnare di lacrime i
sacri paramenti. E tutto il popolo piange, in amorosa e impaziente attesa del
grande annuncio.
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540
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126. Ed ecco: le mani levate verso il cielo, il
beato Pontefice con voce tonante grida e dice: "A lode e gloria dell'onnipotente Iddio, Padre e Figlio e Spirito Santo,
e ad onore della Chiesa romana, mentre veneriamo sulla terra il beatissimo
padre Francesco che il Signore ha glorificato nei cieli, dopo aver raccolto il
parere dei nostri fratelli (i cardinali) e degli altri prelati, decretiamo che
il suo nome sia iscritto nel Catalogo dei Santi e se ne celebri la festa il
giorno della sua morte ".
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541
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Appena terminato il solenne annuncio, i cardinali
insieme col papa intonano ad alta voce il "Te Deum ". La folla
risponde cantando in coro le lodi del Signore. La terra echeggia di voci
immense, l'aria si riempie di inni di gioia, il suolo si bagna di lacrime. Si
elevano cantici nuovi, e nella melodia dello spirito esultano tutti i servi di
Dio. Si cantano con voci modulate inni spirituali, sostenuti dal dolce suono
degli strumenti. L'atmosfera è pregna di soavi profumi e la melodia rimbalza
più festosa, penetrando i cuori col suo incanto. Il giorno è radioso, illuminato
da più splendidi colori. Ondeggiano verdeggianti rami d'ulivo misti a fresche
chiome d'altri alberi; l'apparato di festa riverbera luminosità su tutti, e la
benedizione di pace inonda di gioia tutti i cuori.
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542
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Finalmente il beato papa Gregorio lascia il trono
e attraverso gradini più umili discende nel santuario per offrire doni e
sacrifici, e bacia con gioioso trasporto la tomba del Santo e consacrato a Dio;
innalza molteplici preghiere e celebra i sacri misteri. Lo circondano i frati,
lodando, adorando e benedicendo Iddio che ha fatto cose grandi sulla terra.
Alle divine lodi si unisce il popolo che, in onore della altissima Trinità,
canta il suo ringraziamento a san Francesco. Amen.
Queste
cose avvennero in Assisi, nel secondo anno del pontificato di Gregorio IX, il
16 luglio (1228).
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I MIRACOLI DI
SAN FRANCESCO
Nel nome di Cristo iniziano i
miracoli del santissimo padre nostro Francesco
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543
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127. Invocando umilmente la grazia del Signor
nostro Gesù Cristo, nell'intento di eccitare la doverosa devozione dei
contemporanei e corroborare la fede dei posteri, prendiamo a narrare
brevemente, ma secondo verità, i miracoli che, come abbiamo sopra ricordato,
furono letti e annunziati al popolo, presente il Signor papa Gregorio.
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I
PARALITICI GUARITI
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544
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Il giorno medesimo in cui il santo corpo di
Francesco, come un preziosissimo tesoro, fu sepolto cosparso di aromi celesti
più che terrestri, venne condotta sulla sua tomba una fanciulla, che già da un
anno aveva il collo orribilmente piegato da una parte e il capo aderente alla
spalla, così che non poteva guardare in alto se non di traverso e a gran
fatica. Le misero per qualche istante il capo sotto l'urna in cui riposava il
corpo del Santo, immediatamente, per i meriti di lui, la fanciulla eresse il
collo e il capo riprese la sua posizione normale, tanto che essa, colta da
spavento per l'improvvisa trasformazione, cominciò a fuggire e a piangere.
Sulla spalla si vedeva come una fossa dovuta evidentemente alla posizione
innaturale del capo durante la lunga infermità
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545
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128. Nel territorio di Narni viveva un fanciullo
con una tibia talmente deformata che non poteva muoversi se non appoggiandosi
su due stampelle. Era povero e viveva di elemosine, poiché era ammalato da
molti anni e non conosceva neppure suo padre e sua madre. Per i meriti del
beatissimo padre nostro Francesco riacquistò piena salute, e camminava
liberamente, senza bastone, lodando e benedicendo Iddio e il suo servo fedele.
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546
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129. Un abitante di Foligno, di nome Nicolò, era
paralizzato alla gamba sinistra. Straziato dal dolore, aveva speso più di
quanto potesse in medici, fino a indebitarsi, nella speranza di ricuperare la
salute. Vedendo che tutte le cure non approdavano a nulla e rincrudendosi il
dolore al punto che con i suoi ripetuti urli nella notte impediva il sonno
anche ai vicini, decise finalmente di votarsi a Dio e a san Francesco, e si
fece condurre sul sepolcro di lui. Vi rimase una notte intera in preghiera. Ed
ecco, poté tornare a casa con le proprie gambe, senza bastone, il cuore pieno
di gioia.
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547
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130. Un altro fanciullo aveva una gamba contorta in
maniera tale che il ginocchio aderiva al petto e il calcagno alla coscia. I
genitori lo portarono al sepolcro del Santo, e intanto il padre si era
rivestito di un aspro cilicio, mentre la madre si impegnava in una dolorosa
penitenza per lui. Guarì così rapidamente e completamente, che poteva correre
tutto sano e lieto per la piazza, rendendo grazie a Dio e al beato Francesco.
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548
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131. Nella città di Fano c'era un rattrappito, che aveva
le tibie ulcerate, ripiegate all'indietro e appiccicate al corpo e talmente
maleodoranti che nessuno si sentiva disposto ad accoglierlo in ospedale. Egli
implorò la misericordia del beatissimo padre Francesco, e poco dopo ebbe la
gioia di vedersi completamente ristabilito.
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549
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132. Una bambina di Gubbio dalle mani rattrappite,
già da un anno aveva perduto l'uso di tutte le membra. La balia, fiduciosa di
ottenerne la guarigione, la porta alla tomba di san Francesco, recando con sé
anche una figura di cera della misura della bimba. Dopo otto giorni di attesa,
ecco avverarsi il miracolo: la piccola inferma ricupera l'uso delle sue membra,
così da essere ritenuta idonea alle faccende di prima.
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550
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133. Un ragazzo di Montenero, incapace di
camminare e di star seduto perché paralizzato dalla cintola in giù, giaceva da
più giorni privo di forze davanti alla chiesa che custodiva il corpo del Santo.
Ma un giorno riuscì ad entrare in chiesa e si trascinò fino a toccare il
sepolcro, e subito si sentì guarito e uscì fuori sano e salvo. Raccontava
questo ragazzo che, mentre se ne stava presso la tomba del glorioso Santo, gli
si parò innanzi, proprio sopra il sepolcro, un giovane vestito da frate, con
delle pere in mano, il quale offrendogli una pera, lo incoraggiò ad alzarsi.
Lui, prendendo la pera, aveva risposto: "Come vedi, sono rattrappito e non
posso alzarmi ". Intanto mangiò la pera e stese la mano per prendere una
seconda pera che il giovane gli offriva incoraggiandolo ancora una volta ad
alzarsi. Ma l'infermo, ancora appesantito dal male non riusciva a mettersi in
piedi. Mentre però stendeva la mano, il giovane frate gli lasciò prendere la
pera, intanto gli prese la mano, lo condusse fuori e sparì. Ed egli, vedendosi
sano e guarito aveva incominciato subito a gridare con tutta la voce,
raccontando a tutti quello che gli era accaduto.
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551
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134. Una donna di Coccorano che era priva dell'uso
di tutte le membra, ad eccezione della lingua, venne trasportata su barella di
stuoie al sepolcro del Santo. Dopo una breve sosta, si rialzò completamente
guarita. Anche un altro cittadino di Gubbio portò, dentro una cesta, un suo
figlioletto davanti al sepolcro del Santo. Era talmente deformato, che aveva le
tibie del tutto atrofizzate e ripiegate sui femori. Lo riebbe completamente
guarito.
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135. C'era a Narni un povero mendicante, di nome
Bartolomeo. Una volta si era addormentato sotto un noce; al risveglio ebbe la
dolorosa sorpresa di trovarsi paralizzato e di non poter più camminare.
Crescendo il male di giorno in giorno, la gamba e il piede colpiti si
assottigliarono, si piegarono e si inaridirono in modo tale, che il poveretto
non avvertiva più né tagli né ustioni. Ma una notte gli appare in sogno il
beato Francesco, vero amico dei poveri e padre dei miseri, invitandolo a
recarsi a un bagno campestre, perché, commosso da tanta miseria, aveva deciso
di guarirlo. L'infermo, destatosi, non sapendo cosa fare racconta per filo e
per segno la visione al vescovo della città, il quale lo consiglia di fare come
gli era stato detto in sogno e lo benedice. Così, aiutandosi col suo bastone,
si avvia barcollante, come meglio può verso il luogo indicato dal Santo. Mentre
se ne va, triste e stremato per lo sforzo, ode una voce: "La pace del
Signore sia con te! Coraggio, io sono colui al quale ti sei votato!". Il
bagno è ormai vicino, ma è notte ed egli sbaglia strada; e la solita voce lo
avverte e gli indica la direzione giusta. Ed ecco appena arriva e si immerge
nel bagno, una mano gli tocca il piede e un'altra mano la gamba riportandoli
dolcemente alla posizione normale. Sentendosi guarito, balza fuori dall'acqua
lodando e benedicendo l'onnipotenza del Creatore e il beatissimo suo servo
Francesco, che gli aveva fatto una grazia così grande. Infatti erano sei anni
che viveva in quello stato miserando, ed era molto anziano.
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II
I CIECHI RICUPERANO LA VISTA
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553
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136. Una donna di nome Sibilla, da molti anni
cieca, viene un giorno condotta, cieca e triste, sulla tomba del Santo.
Ricupera istantaneamente la vista e se ne torna a casa lieta e giuliva.
Così
anche un uomo di Spello ricupera la vista, da tempo perduta, davanti al
sepolcro del Santo.
C'è
a Camerino, una donna cieca all'occhio destro. I parenti le applicano
sull'occhio leso un panno toccato dal beato Francesco, facendo un voto; subito
esauditi, cantano a Dio e al Santo il loro gioioso ringraziamento.
Un
caso analogo capita ad una donna di Gubbio, che non finisce di rallegrarsi per
avere riavuta la vista in seguito a un voto fatto.
Un
assisano cieco da cinque anni, che era stato amico di Francesco in vita, e
continuava a pregarlo, ricordandogli la passata amicizia, si ritrovò guarito al
solo contatto col sepolcro di lui.
Un
certo Albertino di Narni aveva perduto completamente la vista e le palpebre gli
scendevano fino agli zigomi. Appena fece voto al beato Francesco, fu
prontamente guarito; allora fece i suoi preparativi e venne a visitare il
sepolcro di lui.
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III
GLI INDEMONIATI LIBERATI
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137. Viveva a Foligno un uomo di nome Pietro.
Postosi in cammino per visitare il santuario di San Michele arcangelo, non si
sa se per adempiere un voto o per soddisfare una penitenza
impostagli,--arrivato ad una fonte, stanco e assetato, prese a bere dell'acqua;
e gli sembrò d'avere ingoiato dei demoni. Ed effettivamente da quell'istante
rimase ossesso per tre anni, dicendo e compiendo cose orrende. Si portò alla
tomba del santissimo padre Francesco, e vi giunse ancora strapazzato dai
demoni, più che mai furiosi contro di lui; appena toccò il sepolcro, fu, con
evidente e chiaro miracolo, liberato del tutto e per sempre.
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555
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138. Una volta il Santo apparve a una donna di
Narni che era furiosa e talmente fuori di sé che faceva e diceva cose
spaventose e sconce, e le disse: "Fatti un segno di croce". Quella
rispose di esserne impedita. Allora Francesco stesso glielo impresse sulla
fronte, e all'istante fu liberata dalla pazzia e da ogni influsso demoniaco.
Innumerevoli
sono stati gli infelici, uomini e donne che, tormentati in vari modi e con
molteplici inganni dai demoni, furono liberati in virtù dei meriti del glorioso
padre. Ma siccome tali persone possono essere sovente vittime piuttosto di
illusioni, ne abbiano fatto soltanto un rapido accenno, per passare al racconto
di fatti più importanti e mirabili.
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IV.
MALATI STRAPPATI ALLA MORTE E ALTRI
INFERMI GUARITI
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139. Matteo, un bambino di Todi, da otto giorni
giaceva in un letto più morto che vivo: bocca ermeticamente chiusa, occhi
serrati, volto, mani e piedi anneriti come un paiolo al fuoco. Tutti pensavano
che non c'era più nulla da sperare. Vomitava inoltre sangue marcio e con tali
convulsioni che sembrava dovesse rovesciare gli intestini. Un giorno la madre
si prostra in preghiera, invocando il nome e l'aiuto di san Francesco. Quando
si alza, il bambino comincia ad aprire gli occhi, a vederci e a succhiare il
latte. Poco dopo, caduta quella pelle nera, la carne ritorna al suo colorito
normale e riprende vigore e sanità.
Appena
lo vede fuori pericolo, la madre lo interroga: "Chi ti ha guarito, figlio
mio?". Il fanciullo balbettando risponde: "Ciccu, Ciccu". Di
nuovo lo interrogano: "A chi devi questa grazia?". E il bimbo
replica: " Ciccu, Ciccu! " dimezzando in questo modo il nome di
Francesco, poiché era ancora piccino e incapace di parlare bene.
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140. Un giovane, precipitando al suolo da grande
altezza, perdette la favella e rimase totalmente paralizzato. Per tre giorni
non mangiò né bevve; e poiché non dava più segni di vita, tutti lo credevano
morto. Sua madre non ricorse ai medici, ma ne implorò la guarigione dal beato Francesco,
facendo anche un voto. Riebbe il figlio guarito. e subito cominciò a innalzare
lodi all'onnipotente e misericordioso Salvatore.
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558
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Mancino, un altro giovane, colpito da malattia
mortale e ritenuto inguaribile da tutti, invoca il nome di Francesco, così come
può, e istantaneamente guarisce in modo perfetto.
Gualtiero,
un fanciullo di Arezzo, sempre febbricitante e tormentato da due ascessi,
dichiarato inguaribile dai medici, per un voto fatto a san Francesco dai
genitori. ricupera l'auspicata salute.
Un
altro giovane è moribondo. Si decide di fare una figura di cera in onore di san
Francesco per impetrare la grazia della vita; non è ancora finito il lavoro,
che quel giovanetto viene liberato da ogni male.
141.
Una donna, inferma da molti anni e completamente immobilizzata nel suo letto,
appena ebbe fatto un voto a Dio e al beato Francesco, si rialzò guarita e in
grado di attendere a tutte le sue occupazioni.
Nella
città di Narni viveva una donna che da otto anni aveva una mano inaridita, del tutto
inutilizzabile. Un giorno le apparve il beato padre e, toccandole la mano
malata, gliela rese atta al lavoro come l'altra.
Un
giovane della stessa città, infermo da dieci anni, s'era talmente gonfiato che
era ormai inutile qualsiasi farmaco. La madre fece un voto al beato Francesco,
e subito riacquistò piena salute.
Analogamente
un idropico di Fano, col corpo paurosamente tumefatto, fu guarito in maniera
perfetta per i meriti del glorioso servo di Dio.
Un
abitante di Todi soffriva di gotta artritica talmente brutta, che non poteva
neppure sedersi né starsene disteso su di un letto. La veemenza della malattia
lo gettava in preda a continui brividi, così da sembrare prossimo alla morte.
Chiamò medici, moltiplicò bagni e farmaci; ma tutto era inutile. Un giorno
però, alla presenza di un sacerdote, fece un voto a san Francesco implorando la
grazia della guarigione. E subito si vide guarito.
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559
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142. A Gubbio, una donna paralitica ripete per
tre volte il nome del beato Francesco, e subito è guarita.
Un certo Bonifacio, colpito alle
mani e ai piedi da strazianti dolori, non può muoversi né camminare, e perde
del tutto sonno e appetito. Viene un giorno da lui una donna e lo consiglia ed
esorta a votarsi al beato Francesco, se vuole essere subito liberato.
Quell'uomo, dapprima quasi impazzito a causa degli spasimi, si rifiuta dicendo:
"Non lo credo un Santo". Poi cedendo all'insistenza della donna,
formula un voto così: "Mi affido all'intercessione di Francesco e lo
considero Santo, se entro tre giorni mi libererà dalla mia malattia". E
viene subito esaudito, ricuperando la possibilità di camminare, l'appetito e il
sonno, e rende gloria a Dio onnipotente.
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143. I sanitari si dichiaravano impotenti davanti
ad un uomo che era stato trafitto al capo da una freccia la cui punta di ferro
era penetrata nel cranio attraverso la cavità dell'occhio. L'infelice con umile
devozione si vota al santo di Dio, Francesco, con viva speranza d'essere
liberato per sua intercessione. Mentre dorme per un poco, viene Francesco nel
sonno e gli dice di farsi strappare quella punta di ferro dalla nuca.
All'indomani, operando nella maniera indicata dal Santo, si riesce a liberarlo
con facilità.
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144. A Spello, un uomo, di nome Imperatore, è
affetto da un'ernia così grave che gli escono gli intestini dal ventre e,
nell'impossibilità di farli rientrare, l'infelice è costretto per molto tempo a
sostenerli con un guanciale. Ricorre ai medici, ma di fronte al prezzo
richiesto, lui che aveva denaro appena sufficiente per il vitto di un solo
giorno, perde ogni fiducia nel loro aiuto. Finalmente ricorre all'aiuto
celeste, e incomincia a supplicare per strada, in casa e ovunque il beato
Francesco. In brevissimo tempo, per grazia di Dio e per i meriti del beato
Francesco, guarisce pienamente.
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145. Un frate del nostro Ordine, della Marca di
Ancona, aveva una fistola al bacino e ai fianchi. Per la gravità della
situazione non c'era più speranza che potesse guarire ad opera di nessun
medico. Allora egli domandò il permesso di recarsi a visitare la tomba del
beato padre, con filiale fiducia che, per i meriti di lui, avrebbe ottenuto la
guarigione. Ma il ministro provinciale non gli permise di partire, temendo che
lo strapazzo del viaggio, a causa della neve e della pioggia caduta abbondantemente
in quella regione, gli portasse maggior danno. L'infermo ne rimase angosciato.
Ma ecco che una notte gli apparve lo stesso santo padre Francesco, che gli
disse: " Figliuolo, non rattristarti; togliti la pelliccia che indossi,
butta via l'impiastro e le fasciature, osserva la tua Regola e sarai
sanato!". Il frate, appena si levò al mattino, eseguì tutto questo; e poté
ringraziare Iddio per l'immediata guarigione ottenuta.
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V
LEBBROSI MONDATI
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146. A San Severino, nella Marca d'Ancona,
abitava un giovane di nome Atto. Era talmente coperto da ulcere che, per
giudizio dei medici era ritenuto da tutti un vero lebbroso. Le membra erano
tutte tumefatte e ingrossate, e a causa della dilatazione e del rigonfiamento
delle vene, tutto gli appariva deformato. Camminare gli era impossibile, e
doveva starsene sempre inchiodato nel giaciglio del suo dolore, con disperata
afflizione dei genitori. Specialmente il padre suo, straziato da quel diuturno
eccessivo dolore, non sapeva più che cosa fare. Ma finalmente gli venne in
mente di raccomandarlo e votarlo al beato Francesco, e gli fece questa
proposta: "Figlio mio, vuoi fare un voto al glorioso Francesco, che
rifulge per molti miracoli, perché voglia liberarti dal tuo male?".
Rispose: "Sì, babbo!". Il padre si fece subito portare un foglio di
papiro, prese le misure dell'altezza e grossezza del figlio, e poi gli disse:
"Alzati, fai voto al beato Francesco che, se guarirai, ogni anno e per
tutta la tua vita, andrai pellegrino alla sua tomba, recandogli un cero alto
come te". Il giovane obbedì alla richiesta paterna, si alzò come poté e a
mani giunte incominciò a invocare la misericordia dei beato Francesco. Presa la
misura del papiro, si alzò appena finita la preghiera, ed era completamente
guarito dalla lebbra. Cominciò a camminare, dando lode a Dio e al beato
Francesco.
Nella
città di Fano, un giovane di nome Bonomo, ritenuto da tutti i medici lebbroso e
paralitico, appena viene offerto molto devotamente dai genitori al beato
Francesco è liberato dalla lebbra e dalla paralisi e riacquista piena salute .
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VI
MUTI E SORDI SANATI
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147. A Città della Pieve c'è un fanciullo, povero
e mendicante, sordomuto dalla nascita; ha la lingua tanto corta che tutti la
ritengono addirittura mozza. Una sera si reca a casa di un concittadino, di
nome Marco, e con gesti, come sogliono fare i muti, gli indica che vorrebbe
essere suo ospite: piega il capo da una parte accostando la guancia alla mano,
indicando chiaramente che vorrebbe dormire in casa di lui. Quell'uomo è felice
di accoglierlo nella sua casa e volentieri lo prende con sé, perché lo sa abile
al servizio, di buon carattere e, benché sordo e muto dalla nascita, in grado
di comprendere gli ordini dai cenni. Una sera quell'uomo, alla presenza del
fanciullo, dice alla moglie: "Questo sì che sarebbe un grande miracolo, se
il beato Francesco gli rendesse udito e favella!".
148. E aggiunge: "Prometto a Dio che se il
beato Francesco compirà questo miracolo, io, per amor suo, avrò carissimo
questo giovinetto e provvederò a mantenerlo per tutto il tempo della sua
vita".
Cosa
meravigliosa! Appena finita quella preghiera, il fanciullo si mette a parlare,
esclamando: "Viva san Francesco!", e con lo sguardo elevato al cielo,
soggiunge: "Vedo Francesco qui sopra, che è venuto a donarmi la
guarigione!". Ma, aggiunge ancora: "Che cosa dirò io ora alla
gente?". E quell'uomo gli risponde: "Loderai Iddio e salverai molti
". Allora si alza e corre pieno di esultanza a gridare a tutti il grande
miracolo. Accorrono in massa quelli che avevano veduto prima il piccolo
sordomuto e, pieni di ammirazione e di stupore, elevano lodi al Signore e al
beato Francesco. Intanto la lingua del fanciullo si snoda e cresce, tornando
alla misura normale, e comincia a parlare così speditamente e chiaramente come se
avesse da sempre l'uso della parola.
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566
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149. Un altro fanciullo, chiamato Villa, è muto e
incapace di camminare. Sua madre ricorre all'aiuto divino portando sul sepolcro
di san Francesco una immagine votiva di cera. Al suo ritorno a casa, trova il
figlioletto in perfetta salute, che cammina e parla.
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567
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Un uomo della diocesi di Perugia, muto e
costretto a tenere la bocca sempre spalancata e spaventosamente ansimante, a
causa della gola enormemente gonfiata, arriva un giorno alla tomba di san
Francesco e, nell'atto di salire i gradini a toccarla, vomita sangue. Ed ecco,
subito liberato completamente, comincia a parlare, ed apre e chiude la bocca in
maniera normale: è guarito!
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568
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150. Anche una donna, colpita da gravissimo dolore
alla gola, così da avere la lingua inaridita e attaccata al palato per
l'arsura, non è in grado di parlare, né di bere, né di mangiare, e qualsiasi
medicamento si rivela perfettamente inutile. Allora, dall'intimo del suo cuore,
poiché non può parlare, si vota fiduciosa a san Francesco. Immediatamente
l'apparato palatale si spezza e le esce dalla gola un sasso rotondo, che mostra
a tutti, ed è interamente liberata dal suo male.
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569
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A Greccio, un giovane, avendo perso l'udito, la
memoria e la favella insieme, non può intendere né sentire nulla. I genitori,
che hanno una grande fiducia in san Francesco, fanno voto a lui con suppliche
sincere. Quasi subito il loro figlio, per grazia singolarissima del padre
santo, ricupera l'uso di tutti i suoi sensi.
A
lode, gloria e onore del Signor nostro Gesù Cristo, il cui regno e l'impero
rimane stabile e imperituro nei secoli dei secoli. Amen.
Fine
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EPILOGO
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570
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151. Abbiamo narrato qualcuno dei miracoli del
beatissimo padre nostro Francesco, e molti ne abbiamo omessi. Lasciamo ad altri
che vorranno seguire i suoi passi, di meritarsi con la loro ricerca la grazia
di nuove benedizioni.
Egli,
che ha mirabilmente rinnovato il mondo con la parola e l'esempio, con la vita e
la dottrina, si degni di beneficare con altri carismi i cuori di coloro che
amano sinceramente Iddio.
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571
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Ed io, per amore del Crocifisso povero e delle
sue sacre stimmate, che il beato padre Francesco portò nel suo corpo, prego
tutti quelli che leggeranno, vedranno e udranno la mia narrazione, di
ricordarsi presso Dio di me peccatore Amen.
Benedizione,
onore e ogni lode al solo sapiente Iddio, che tutto compie con sapienza in
tutti e sempre a sua gloria. Amen. Amen. Amen!
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