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LEGGENDA
PERUGINA
( COMPILAZIONE
DI ASSISI )
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QUESTA Leggenda
antica di san Francesco--già proposta sotto la denominazione di Leggenda
antica perugina (F. Delorme) e, più recentemente, sotto quelle di Fiori
dei tre compagni (J. Cambell-N. Vian), di Scritti di Leone, Rufino e
Angelo, compagni di san Francesco (R. Brooke), di Compilazione d'Assisi
degli scritti di frate Leone e compagni (M. Bigaroni) --, ci è stata
tramandata dal manoscritto 1046 della Biblioteca Comunale di Perugia. Si tratta
di una " compilazione " messa insieme, nel passaggio tra il secolo
XIII e il XIV, con materiali di provenienza e d'ispirazione diversa al fine di
ricostruire una Leggenda sulla vita di Francesco che fosse più "
antica " di quella " nuova " (Leggenda maggiore) di
Bonaventura, recuperando i ricordi e le memorie che si dicevano discendere
direttamente dai compagni del Poverello e che erano stati obliterati dal
decreto capitolare del 1266.
Così com'è pervenuta, tale Leggenda antica non può essere identificata "
tout court " con il " florilegio " di Greccio del 1246, ma ci
riporta sicuramente delle testimonianze di un gruppo di persone particolarmente
vicine a Francesco, e parte almeno del predetto " florilegio ". E, in
ogni caso, " un documento di sicura e straordinaria bellezza, d'indiscusso
e indiscutibile valore biografico, proprio perché è pieno di una comunicativa
semplice e suadente che lo costituisce, accanto allo Specchio di perfezione,
uno dei testi più immediati e significativi rispetto ai gesti, all'operato,
alle volontà di Francesco [...], sottolineati da una presenza e da una
partecipazione umana dei compagni, concretamente e intensamente vissuta "
(cfr. Introduzione, qui, p. 254). In questa Leggenda, " al
di là forse delle intenzioni stesse di chi ha messo insieme tanta dovizia di
ricordi, c'è il Francesco con la diffusione e il peso crescente del suo
movimento"
Il nostro volgarizzamento segue,
per il testo, l'edizione curata da M. Bigaroni, Compilatio Assisiensis, Porziuncola 1975, per la
numerazione, quella segnata dallo scopritore e primo editore F. Delorme, La
Legenda antiqua S. Francisci, nella sua seconda edizione, Parigi 1926. I
titoli premessi ai ricordi, sono del traduttore.
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PENITENZA E
DISCREZIONE
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1545
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1. Nei primordi dell'Ordine, quando Francesco cominciò
ad avere dei fratelli dimorava con essi presso Rivotorto. Una volta, sulla
mezzanotte, mentre tutti riposavano sui loro giacigli, un frate gridò
all'improvviso: " Muoio! muoio! ". Tutti gli altri si svegliarono
stupefatti e atterriti. Francesco si alzò e disse: " Levatevi, fratelli, e
accendete un lume ". Accesa la lucerna, il Santo interrogò: " Chi ha
gridato: Muoio? ". Quello rispose: " Sono io ". Riprese
Francesco: " Che hai, fratello? di cosa muori? ". E lui: " Muoio
di fame ".
Francesco, da uomo pieno di
bontà e gentilezza, fece subito preparare la mensa. E affinché quel fratello
non si vergognasse a mangiare da solo, si posero tutti a mangiare insieme con
lui. Sia quel frate sia gli altri si erano convertiti al Signore da poco tempo,
e affliggevano oltremisura il loro corpo.
Dopo la refezione, Francesco
parlò: " Cari fratelli, raccomando che ognuno tenga conto della propria
condizione fisica. Se uno di voi riesce a sostenersi con meno cibo di un altro,
non voglio che chi abbisogna di un nutrimento più abbondante si sforzi di
imitare l'altro su questo punto; ma, adeguandosi alla propria complessione, dia
quanto è necessario al suo corpo. Come ci dobbiamo trattenere dal soverchio
mangiare, nocivo al corpo e all'anima, così, e anche di più, dalla eccessiva
astinenza, poiché il Signore preferisce la misericordia al sacrificio
".
Disse ancora: " Carissimi
fratelli, ispirato dall'affetto io ho compiuto un gesto, quello cioè di
mangiare assieme al fratello, affinché non si vergognasse di cibarsi da solo.
Ebbene, vi sono stato sospinto da una grande necessità e dalla carità. Sappiate
però che, d'ora innanzi, non voglio ripetere questo gesto; non sarebbe conforme
alla vita religiosa né dignitoso. Voglio pertanto e ordino che ciascuno, nei
limiti della nostra povertà, accordi al suo corpo quanto gli è necessario
".
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DURO CON SE
STESSO, TENERO CON I
FRATELLI
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1546
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2. E veramente i primi frati e quanti vennero dopo di
loro, per molto tempo, erano soliti strapazzare il proprio corpo non solo con
una esagerata astinenza nel mangiare e nel bere, ma anche rinunciando a
dormire, non riparandosi dal freddo, lavorando con le loro mani. Portavano
direttamente sulla pelle, sotto i panni, cerchi di ferro e corazze, chi poteva
procurarsene, o anche i più ruvidi cilizi che riuscivano ad avere.
Ma il padre santo, considerando
che con tali asprezze i fratelli avrebbero finito per ammalarsi, -- e taluni in
breve tempo erano effettivamente caduti infermi,--durante un Capitolo proibì
loro di portare sulla carne null'altro che la tonaca.
Noi che siamo vissuti con lui,
siamo in grado di testimoniare a suo riguardo che, dal tempo che cominciò ad
avere dei fratelli e poi per tutta la durata della sua vita, usò discrezione
verso di loro bastandogli che nei cibi e in ogni altra cosa non uscissero dai
limiti della povertà e delI'equilibrio, cosa tradizionale tra i frati dei
primordi. Quanto a se stesso, invece, dal principio della conversione, prima di
avere dei fratelli, e ininterrottamente per tutto il tempo che visse, fu molto
duro, sebbene fin da ragazzo fosse fragile e debole di costituzione, e quando
era nel mondo non potesse vivere se non usandosi molti riguardi.
Una volta, notando come i frati
già debordavano dai limiti della povertà e della discrezione sia nei cibi che
nelle altre cose, disse ad alcuni, con l'intenzione di rivolgersi a tutti:
" Non pensano i fratelli che al mio corpo sarebbe necessario un vitto speciale?
Eppure, siccome devo essere modello ed esempio per tutti i fratelli, voglio che
mi bastino alimenti da povero e oggetti grossolani ed esserne contento ".
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ELOGIO DELLA
MENDICITA'
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1547
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3. Quando Francesco cominciò ad avere dei fratelli era talmente
felice per la loro conversione e per l'amabile compagnia donatagli dal Signore,
e li circondava di così grande amore e venerazione, che non li invitava ad
andare per elemosina, soprattutto perché pensava ne provassero vergogna. Così,
per riguardo al loro imbarazzo, ogni giorno usciva da solo a questuare.
Per lui era uno strapazzo, sia
perché debole di costituzione e abituato in casa sua a trattarsi con
delicatezza, sia perché, abbandonato il mondo, si era ancor più indebolito a
causa della eccessiva astinenza e penitenza
Considerando che non poteva
sopportare un lavoro così gravoso, e che i fratelli erano mendicanti per
vocazione benché ne provassero ripugnanza e non ne fossero pienamente
consapevoli, e che oltrettutto non erano tanto sensibili da dirgli: "
Vogliamo andare noi all'elemosina ", Francesco disse loro: "
Carissimi fratelli e figli miei, non arrossite di uscire alla questua, poiché
il Signore si fece povero per amor nostro in questo mondo. E' sull'esempio di
Lui e della sua Madre santissima che noi abbiamo scelto ]a via della vera
povertà: è la nostra eredità questa, acquistata e lasciata dal Signore Gesù
Cristo a noi e a tutti quelli che vogliono vivere come Lui nella santa povertà >>.
E soggiunse: " In verità vi
dico, che molti nobili e sapienti di questo mondo verranno nella nostra
fraternità e stimeranno grande onore l'andare per elemosina con la benedizione
del Signore. Ci dovete andare senza rispetto umano e con animo più lieto di
colui che barattasse una sola moneta con cento denari, poiché a coloro cui
chiedete l'elemosina voi offrite in cambio l'amore di Dio, quando dite: "
Per amore del Signore Dio, donateci l'elemosina! " Infatti, a paragone
dell'amore di Dio, cielo e terra sono un nulla ".
Siccome erano ancora pochi, non
li poteva mandare due a due; li inviò nei castelli e nei villaggi ognuno per
conto suo. Al ritorno, ciascuno mostrava a Francesco le elemosine che aveva
raccolto, e si dicevano l'un l'altro: " Io ho preso più di te! ".
Francesco, vedendoli così lieti e di buon umore, ne fu felice. E da allora
ognuno chiedeva più volentieri il permesso di uscire alla questua.
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NON VI PREOCCUPATE
PER IL DOMANI !
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1548
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4. In quello stesso periodo, quando Francesco viveva con
il primo gruppo di fratelli, il suo spirito era meravigliosamente duttile.
Infatti, dal giorno che il Signore gli ebbe rivelato di vivere, lui e i suoi
fratelli, in conformità al santo Vangelo, decise e si impegnò ad osservarlo
alla lettera, per tutto il tempo della sua vita. Quando, per esempio, il frate addetto
alla cucina voleva servire loro dei legumi gli proibiva di metterli a mollo
nell'acqua calda alla sera per l'indomani, come si usa fare, e questo per
osservare quella raccomandazione del Vangelo: " Non vi preoccupate per
il domani ". Così, quel frate aspettava che fosse terminata la recita
del mattutino per mettere a bagno le sue verdure.
Per lungo tempo molti frati, nei
luoghi dove dimoravano e soprattutto nelle città, continuarono ad essere ligi a
questo spirito; e non volevano chiedere o accettare elemosine se non nella
quantità che servisse al fabbisogno del giorno.
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DELICATEZZA VERSO
UN MALATO
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5. Una volta, dimorando Francesco in quello stesso
luogo, un frate, uomo di profonda spiritualità e già da parecchi anni vivente
nell'Ordine, si trovava molto deperito e infermo. Francesco, al vederlo, ne
ebbe compassione. Ma i frati, a quei tempi, malati o sani che fossero, erano
sempre lieti e pazienti: la povertà era la loro ricchezza. Nella malattia non
ricorrevano a medicine; anzi, volentieri sceglievano quanto contrariava il
corpo.
Francesco si disse: " Se
questo fratello mangiasse di buon mattino dell'uva matura, credo che ne
trarrebbe giovamento ". Un giorno si alzò all'albeggiare e chiamò di
nascosto quel fratello, lo condusse nella vigna vicina a quella chiesa e,
scelta una vite ricca di bei grappoli invitanti, vi sedette sotto assieme al
fratello e cominciò a mangiare l'uva, affinché il malato non si vergognasse di
piluccare da solo. Mentre faceva lo spuntino, quel frate lodava il Signore Dio.
E finché visse, egli ricordava
spesso ai fratelli, con devozione e piangendo di tenerezza, il gesto affettuoso
del padre santo verso di lui.
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INTIMITA'
INVIOLABILE
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6. Mentre Francesco soggiornava in quel luogo stesso, si
appartava a pregare in una celletta situata dietro la casa. Un giorno che si
trovava là, ecco arrivare a fargli visita il vescovo di Assisi. Entrato in casa,
bussò all'uscio per entrare dove stava il Santo. Come gli fu aperta la porta
della celletta, immediatamente vi penetrò: Francesco era in un piccolo rifugio
arrangiato con delle stuoie.
Sapendo il vescovo che il padre
santo gli mostrava confidenza e affetto, vi si diresse senza riguardi e sollevò
una stuoia per vederlo. Ma non appena vi ebbe messo la testa dentro, ne fu
respinto energicamente fuori per volontà del Signore, poiché non era degno di
guardare Francesco. Camminando a ritroso, uscì difilato dalla cella, tutto
tremante e allibito. E alla presenza dei frati confessò la sua colpa,
pentendosi della libertà che si era preso quel giorno.
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IL FRATELLO
TENTATO
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7. Un frate, uomo di viva spiritualità e anziano
nell'Ordine, era molto amico di Francesco. Gli avvenne, in un periodo della sua
vita, di essere torturato per lunghi giorni da gravi e crudeli suggestioni del
diavolo, così che stava per inabissarsi in una disperazione profonda. Ne era
assillato ogni giorno, e più si angosciava perché provava vergogna a
confessarsi ogni volta. E si accaniva a punirsi con astinenza, veglie, lacrime
e battiture.
Da molti giorni durava questo
supplizio, quando, per disposizione divina, Francesco giunse a quel luogo. E
mentre il Santo passeggiava non molto discosto dal convento insieme con un
fratello e con quel povero tribolato, allontanandosi a un certo punto dal
primo, si accostò al tentato e gli disse: " Carissimo fratello, voglio e
ordino che non ti angosci a confessare quelle suggestioni e irruzioni del
diavolo. Stai tranquillo: non hanno fatto alcun danno alla tua anima. Ogni
volta che ne sei assalito, ti suggerisco di recitare sette volte il Padre
nostro ".
Fu tutto esultante il frate al
sentire tali parole, che cioè non era tenuto a confessare le tentazioni,
soprattutto perché si vergognava di doverlo fare ogni giorno, cosa che
aggravava il suo tormento. Ammirò la santità di Francesco che, per mezzo dello
Spirito Santo, aveva conosciuto le sue tentazioni, che lui non aveva confidato
a nessuno, fuorché ai sacerdoti; e aveva mutato spesso confessore, per la
vergogna di far sapere sempre allo stesso tutta la sua infermità interiore.
E subito che Francesco gli ebbe
rivolto la parola, egli si sentì liberato, dentro e fuori, da quella terribile
prova, sofferta per lungo tempo. Con l'aiuto di Dio, grazie ai meriti del
Santo, egli ritrovò una gran serenità e pace d'anima e di corpo.
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OTTIENE LA CHIESA
DELLA PORZIUNCOLA
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8. Vedendo che Dio voleva moltiplicare il numero dei suoi
discepoli, Francesco disse loro: " Carissimi fratelli e figli miei, vedo
che il Signore vuole moltiplicarci. E perciò mi sembra cosa buona e conveniente
a dei religiosi, ottenere dal vescovo o dai canonici di San Rufino o dall'abate
del monastero di San Benedetto, una piccola chiesa poverella, dove possiamo
recitare le Ore liturgiche e accanto a questa, avere una dimora, piccola
anch'essa e povera, costruita con fango e vimini, dove riposare e attendere al
necessario lavoro. Invero, il luogo dove sostiamo ora non è quello adatto,
essendo l'abitazione troppo angusta per i fratelli che vi dimorano e che Dio si
appresta a rendere numerosi; soprattutto, non abbiamo a disposizione una
chiesa, dove recitare le Ore; di più, se alcuno venisse a morte, non sarebbe
dignitoso seppellirlo qui o in una chiesa del clero secolare ".
Tale proposta piacque agli altri
frati. Allora Francesco si alzò e andò dal vescovo di Assisi, e ripeté davanti
a lui Ie stesse parole esposte prima ai fratelli. Gli rispose il vescovo:
" Fratello, non ho alcuna chiesa da potervi dare ". Il Santo andò dai
canonici di San Rufino e ripropose la sua domanda; e quelli risposero come il
vescovo.
Si diresse perciò alla volta del
monastero di San Benedetto del monte Subasio, e rivolse all'abate la richiesta
espressa in antecedenza al vescovo e ai canonici, aggiungendo la risposta avuto
dall'uno e dagli altri. Preso da compassione, I'abate tenne consiglio con i
suoi confratelli sulI'argomento e, per volontà del Signore, concesse a
Francesco e ai suoi frati la chiesa di Santa Maria della Porziuncola, la più
poverella che avevano. Era anche la più misera che si potesse trovare nel
territorio di Assisi, proprio come Francesco desiderava.
E gli disse l'abate: "
Fratello, abbiamo esaudito la tua domanda. Ma vogliamo che, se il Signore
moltiplicherà la vostra congregazione, questo luogo sia il capo di tutti quelli
che fonderete ". La condizione piacque a Francesco e agli altri suoi
fratelli.
Fu molto felice il Santo che ai
frati fosse donato quel luogo, soprattutto perché la chiesa portava il nome
della Madre di Dio, perché era così povera e perché era denominata " della
Porziuncola ", quasi a presagio che sarebbe divenuta madre e capo dei
poveri frati minori. Tale nome derivava dalla contrada in cui la chiesetta sorgeva,
zona anticamente detta appunto Porziuncola.
Francesco era solito dire:
" Per questo motivo il Signore ha stabilito che non fosse concessa ai
frati altra chiesa, e che in quella circostanza i primi frati non ne
costruissero una nuova, e non avessero che quella: perché essa fu come una
profezia, compiutasi con la fondazione dei frati minori ".
E sebbene fosse tanto povera e
quasi in rovina, per lungo tempo gli uomini della città di Assisi e di quella
contrada sempre ebbero gran devozione (accresciutasi poi ai nostri giorni)
verso quella chiesa.
Non appena i frati vi si
stabilirono, il Signore accresceva quasi ogni giorno il loro numero. La loro
fama e rinomanza si sparse per tutta la valle di Spoleto. In antico, la chiesa
era chiamata Santa Maria degli Angeli, ma il popolo la chiamava Santa Maria
della Porziuncola. Però, dopo che i frati la restaurarono, uomini e donne della
zona presero a dire: " Andiamo a Santa Maria degli Angeli! ".
Sebbene l'abate e i monaci
avessero concesso in dono a Francesco e ai suoi frati la chiesa senza volerne
contraccambio o tributo annuo, tuttavia il Santo, da abile e provetto muratore
che intese fondare la sua casa sulla salda roccia, e cioè fondare il suo Ordine
sulla vera povertà, ogni anno mandava al monastero una corba piena di pesciolini
chiamati lasche. E ciò in segno di sincera umiltà e povertà, affinché i frati
non avessero in proprietà nessun luogo, e nemmeno vi abitassero, se non era
sotto il dominio altrui, così che essi non avessero il potere di vendere o
alienare in alcun modo.
E ogni anno, quando i frati
portavano i pesciolini ai monaci, questi, in grazia dell'umiltà, donavano a lui
e ai suoi fratelli una giara piena di olio.
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LA PORZIUNCOLA,
MODELLO DELL' ORDINE
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9. Noi che siamo vissuti col beato Francesco attestiamo
quello che egli disse di questa chiesa, impegnando la sua parola, a motivo
della grande grazia che lì gli era stata fatta e come gli era stato rivelato:
" La beata Vergine predilige questa tra tutte le chiese del mondo che le
sono care ". Per tali motivi egli nutrì, finché visse, la massima
reverenza e devozione per la Porziuncola.
E affinché i frati la tenessero
sempre nel cuore egli volle, in prossimità della morte, scrivere nel suo
Testamento che essi nutrissero gli stessi sentimenti. Prima di morire, presenti
il ministro generale e altri fratelli, dichiarò: " Voglio disporre del
luogo di Santa Maria della Porziuncola, lasciando per testamento ai fratelli
che sia sempre tenuto da loro nella più grande reverenza e devozione.
Cosi hanno fatto i nostri
fratelli nei primi tempi. Quel luogo è santo, ed essi ne conservavano la
santità con l'orazione ininterrotta giorno e notte, osservando un costante
silenzio. Se talora parlavano dopo l'intervallo stabilito per il silenzio,
conversavano con la massima devozione ed elevatezza su quanto si addice alla
lode di Dio e alla salvezza delle anime. Se capitava, caso raro, che taluno
prendesse a dire parole frivole o disdicevoli, subito veniva rimproverato da un
altro.
Affliggevano il corpo non solo
con il digiuno, ma con molte veglie, patendo freddo e nudità e lavorando con le
loro mani. Assai spesso, per non restare senza far nulla, andavano ad aiutare
la povera gente nei campi, ricevendone talvolta del pane per amore di Dio. Con
queste ed altre virtù santificavano se stessi e il luogo della Porziuncola.
Altri fratelli venuti dopo si comportarono per lungo tempo allo stesso modo,
sia pure con minore austerità.
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1554
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Ma più tardi, il
numero dei frati e delle persone che si riunivano in questo luogo si accrebbe
più che non convenisse, soprattutto perché tutti i frati dell'Ordine erano
obbligati a convenirvi, unitamente a quanti intendevano farsi religiosi.
Inoltre, i frati sono oggi più freddi nella preghiera e nelle altre opere
buone, più inclini a conversazioni futili e inconcludenti, e facili a ciarlare
di novità mondane. Ecco perché quel luogo non è più trattato dai frati che vi
dimorano e dagli altri religiosi con quella reverenza e devozione che conviene
e che mi sta a cuore ".
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10 " Voglio dunque che Santa Maria della Porziuncola
sia sempre sotto la diretta autorità del ministro generale, affinché egli vi
provveda con maggior cura e sollecitudine, particolarmente nello stabilirvi una
comunità buona e santa. I chierici siano scelti tra i più virtuosi ed esemplari
che conti l'Ordine, e che sappiano meglio dire l'ufficio in modo che non solo
la gente ma anche i frati li ascoltino con gioiosa e viva devozione. Abbiano a
collaboratori dei fratelli non chierici, scelti fra i più santi, equilibrati e
virtuosi.
Voglio inoltre che nessun frate
né chicchessia entri in quel luogo, eccettuati il ministro generale e i frati
che sono a loro servizio. I frati qui dimoranti non parlino con nessuno, se non
con i confratelli dati loro in aiuto e con il ministro quando viene a
visitarli.
Voglio ancora che i fratelli non
chierici siano tenuti a non riferire loro discorsi e novità mondane che
riescano inutili al bene dell'anima. Proprio per questo voglio che nessuno
entri in quel luogo, affinché conservino più agevolmente la loro purità e
santità, e non si proferiscano in quel luogo parole vane e nocive all'anima, ma
sia esso serbato interamente puro e santo, allietato da inni e lodi al Signore.
E quando qualche frate passerà
da questa vita, il ministro generale faccia venire un altro santo frate in
sostituzione del defunto, prendendolo dovunque si trovi. Poiché, se accadesse
che i frati e i luoghi dove dimorano scadessero con il tempo dalla necessaria
purità ed esemplarità, voglio che Santa Maria della Porziuncola resti lo
specchio e il bene di tutto l'Ordine, e come un candelabro dinanzi al trono di
Dio e alla beata Vergine. E grazie ad esso, il Signore abbia pietà dei difetti
e colpe dei frati, e conservi sempre e protegga il nostro Ordine, sua
pianticella ".
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UNA CASA COSTRUITA
DAL COMUNE
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11. Quanto segue, accadde all'avvicinarsi di un Capitolo;
a quei tempi ne veniva celebrato uno all'anno, presso Santa Maria della
Porziuncola. Il popolo di Assisi, considerando che i frati per grazia di Dio si
erano moltiplicati e crescevano di giorno in giorno, notò che specialmente
quando si riunivano tutti per l'assemblea capitolare, non avevano colà che una
angusta misera casetta, coperta di paglia e dalle pareti fatte con vimini e
fango: era la capanna che i frati si erano approntata quando erano venuti a
stabilirsi in quel luogo.
Allora gli assisani, per
delibera dell'arengo, in pochi giorni, con gran fretta e devozione murarono ivi
una grande casa in pietra e calce, senza però il consenso di Francesco, che era
assente. Quando egli fu di ritorno da una provincia per partecipare al
Capitolo, nel vedere quella casa rimase attonito. Pensando che con il pretesto
di quella costruzione, i frati avrebbero eretto o avrebbero fatto edificare
case del genere nei luoghi dove già dimoravano o dove si sarebbero stabiliti
più tardi,--poiché era sua volontà che la Porziuncola fosse sempre il modello e
l'esempio di tutta la fraternità--, un giorno, prima che il Capitolo avesse
fine, salì sul tetto di quella casa e ordinò ai frati di raggiungerlo poi
cominciò insieme con loro a buttare giù le tegole, nelI'intento di demolirla
Alcuni cavalieri di Assisi e
altri cittadini erano presenti in rappresentanza del comune per il servizio
d'ordine, al fine di proteggere quel luogo da secolari e forestieri affluiti da
ogni parte e che si assiepavano fuori per vedere l'assemblea dei frati. Notando
che Francesco con altri frati avevano l'intenzione di diroccare l'edificio,
subito si fecero avanti e dissero al Santo: " Fratello, questa casa è
proprietà del comune di Assisi, e noi siamo qui in rappresentanza del comune.
Ti ordiniamo quindi di non distruggere la nostra casa ".
Rispose Francesco: " Va
bene, se la casa è di vostra proprietà non voglio abbatterla ". E subito
scese dal tetto, seguito dai frati che vi erano saliti con lui.
Per questo motivo, il popolo di
Assisi stabilì, e mantenne per lungo tempo tale decisione, che ogni anno il
podestà in carica fosse obbligato alla manutenzione ed eventualmente ad
eseguire lavori di riparazione di quell'edificio.
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LA CASA FATTA
COSTRUIRE DAL MINISTRO
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12. In altra occasione, il ministro generale volle fosse
costruita alla Porziuncola una piccola casa per i frati del luogo, dove
potessero riposare e dire le Ore. A quei tempi infatti tutti i frati e le nuove
reclute dell'Ordine si dirigevano colà, e per questo i frati residenti nel
posto erano molto disturbati quasi ogni giorno. E per la moltitudine che vi
affluiva non avevano un rifugio in cui riposare e dire le Ore, poiché dovevano
cedere il posto agli ospiti. Da ciò derivavano loro molti e continui disagi,
giacché, dopo aver duramente lavorato, era loro quasi impossibile provvedere
alle necessità del corpo e alla vita spirituale.
La casa era pressoché ultimata,
quando Francesco fu di ritorno alla Porziuncola. Al mattino egli udì, dalla
celletta dove aveva riposato la notte, il chiasso dei frati intenti al lavoro,
e ne restò stupito. Interrogò il suo compagno: " Ma cos'è questo
tramestìo? Cosa stanno facendo quei fratelli? ". Il compagno gli riferì
ogni cosa con esattezza.
Francesco fece chiamare
immediatamente il ministro e gli disse: " Fratello, questo luogo è il
modello e l'esempio di tutto l'Ordine. Per tale ragione io voglio che i frati
della Porziuncola sopportino per amore del Signore Dio disturbi e privazioni,
piuttosto che godere tranquillità e consolazioni, affinché i frati che
convengono qui da ogni parte riportino nei loro luoghi il buon esempio di
povertà. Altrimenti gli altri sarebbero incitati a costruire nei loro luoghi,
scusandosi: " A Santa Maria della Porziuncola, che è il primo convento, si
erigono abitazioni così. Possiamo costruire anche noi, poiché non disponiamo di
una dimora conveniente " .
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NON ESISTE UNA
CELLA " MIA! "
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13. Soggiornava in un eremo un frate, uomo di grande
spiritualità, al quale Francesco era intimo amico. Considerando che, se il
Santo fosse venuto nel romitaggio, non avrebbe trovato un ambiente adatto ove
raccogliersi in orazione, egli fece apprestare, in un angolo solitario, ma non
lontano dal luogo dei frati, una celletta, dove il Santo potesse pregare a suo
agio quando capitasse colà.
E accadde, che, dopo non molti
giorni, giunse Francesco, e quel frate lo condusse a vedere la cella. Disse il
Santo: " Mi pare troppo bella! Se vuoi che ci passi alcuni giorni,
rivestila dentro e fuori con pietrame e rami d'albero ". Di fatto, la
celletta non era costruita in muratura ma in legno. Siccome però il legname era
spianato con la scure e l'ascia, appariva troppo elegante a Francesco. Quel
frate la fece dunque arrangiare secondo aveva detto il Santo.
Quanto più misere e conformi
all'austerità religiosa erano le celle e le dimore dei frati, tanto più
volentieri Francesco le guardava, e accettava di venirvi ospitato.
Vi dimorava e pregava da alcuni
giorni, quando, una volta che era uscito e si trovava presso il luogo dei
frati, uno di questi, appartenente a quella comunità, venne da Francesco.
Questi gli chiese: " Donde vieni, fratello? ". Rispose: " Vengo
dalla tua cella". E Francesco: " Poiché hai detto che è mia, d'ora
innanzi ci abiterà un altro, e non io ".
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Noi che siamo
vissuti con lui, lo abbiamo udito dire a più riprese quella parola del Vangelo:
Le volpi hanno la tana e gli uccelli del cielo il nido, ma il figlio
dell'uomo non ha dove posare il capo.
E seguitava:
" Il Signore, quando stava in disparte a pregare e digiunò quaranta
giorni e quaranta notti, non si fece apprestare una cella o una casa, ma si
riparò sotto le rocce della montagna ". Così, sull'esempio del Signore,
non volle avere in questo mondo né casa né cella, e neanche voleva gli fossero
edificate. Anzi, se gli sfuggiva la raccomandazione: " Preparatemi questa
cella così ", dopo non ci voleva dimorare, in ossequio alla parola del
Vangelo: Non vi preoccupate.
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Vicino a morte,
volle fosse scritto nel suo Testamento che tutte le celle e case dei frati
dovevano essere costruite con fango e legname, per meglio conservare la povertà
e l'umiltà.
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ISTRUZIONI PER LE
DIMORE DEI FRATI
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14. In altro tempo, trovandosi presso Siena per farsi
curare gli occhi, sostava in una cella, dove, dopo la sua morte, fu edificato
in sua venerazione un oratorio. Messer Bonaventura, che aveva donato ai frati
il terreno su cui era stato costruito il convento, disse al Santo: " Cosa
ti sembra di questo luogo? ". Rispose Francesco: " Vuoi che ti dica
come devono essere fatti i luoghi dei frati? ". E Bonaventura: "
Volentieri, padre ". Il
Santo prese a dire: " Quando i frati arrivano in una città dove non hanno
un luogo per loro, trovando un benefattore disposto ad assegnare ad essi un
terreno sufficiente per costruirvi il convento con l'orto e le altre cose
indispensabili, i frati devono innanzi tutto determinare quanta terra basterà,
senza mai perdere di vista la santa povertà che abbiamo promesso di osservare e
il buon esempio che siamo tenuti a dare al prossimo in ogni cosa ".
Parlava così il padre santo, perché era sua
volontà che sotto nessun pretesto i frati violassero la povertà nelle case e
chiese, negli orti e altre cose a loro uso. Non voleva che possedessero luogo
alcuno con diritto di proprietà, e anzi vi abitassero sempre come pellegrini
e forestieri.
A tal fine, voleva che nei vari
luoghi i frati non fossero numerosi, poiché gli sembrava difficile osservare la
povertà quando si è in tanti. Fu questa la sua volontà, dal momento della
conversione fino al giorno della morte che la santa povertà fosse osservata
perfettamente.
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1562
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15. Il Santo proseguì: " Poi, si rechino dal vescovo
della città e gli dicano: " Messere, un benefattore, per amore di Dio e
per la salvezza della sua anima, ha intenzione di offrirci il terreno bastante
per costruire un luogo. Ricorriamo a voi per primo, poiché siete padre e
signore delle anime di tutto il gregge affidato a voi, e anche nostro e degli
altri frati che risiederanno in questo luogo. Vorremmo edificare una casa con
la benedizione del Signore Dio e vostra ".
Francesco diceva questo perché
il bene delle anime, che i frati vogliono realizzare tra il popolo, sarà
maggiore se, vivendo in concordia con i prelati e il clero, essi guadagnano a
Dio e popolo e clero, che se convertissero solo il popolo scandalizzando
prelati e chierici. Diceva: " Il Signore ci ha chiamati a rianimare la
fede, inviandoci in aiuto ai prelati e chierici della santa madre Chiesa. Siamo
quindi tenuti ad amarli, onorarli e venerarli sempre, in quanto ci è possibile.
Per questo motivo sono detti a frati minori ", perché devono essere i più
piccoli di tutti gli uomini del mondo, sia nel nome, sia nell'esempio e nel
comportamento .
Agli inizi della mia nuova vita,
quando mi separai dal mondo e dal mio padre terreno, il Signore pose la sua
parola sulle labbra del vescovo di Assisi, affinché mi consigliasse saggiamente
nel servizio del Cristo e mi donasse conforto Per questa ragione e per le altre
eminenti qualità che riconosco nei prelati, io voglio amare, venerare e
considerare miei signori non soltanto i vescovi, ma anche gli umili sacerdoti
".
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1563
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16. " E dopo aver ricevuto la benedizione del
vescovo, vadano e facciano scavare un gran fossato tutto intorno al terreno
ricevuto, e vi piantino a guisa di muraglia una spessa siepe, in segno di santa
povertà e umiltà. Poi si facciano apprestare delle case poverelle, costruite
con fango e legname, e alcune cellette separate, dove i frati possano
raccogliersi a pregare e lavorare con più devozione e lontano da discorsi
oziosi.
Facciano costruire anche la
chiesa. Però i frati non devono far erigere grandi chiese, al fine di predicare
al popolo o sotto altro pretesto. C'è maggiore umiltà e migliore esempio quando
vanno a predicare in altre chiese, osservando la santa povertà e mantenendosi
umili e rispettosi. Se talora venissero da loro prelati o chierici, religiosi o
secolari, le povere case, le cellette e le chiese dei frati dimoranti nel luogo
saranno per gli ospiti una predica, e ne trarranno edificazione ".
Aggiunse: " Molto spesso i
fratelli si fanno fabbricare grandi costruzioni, violando la nostra santa
povertà, provocando nel prossimo malesempio e mormorazione. Poi, sotto pretesto
di un luogo più comodo o più santo abbandonano il luogo primitivo e i suoi
edifici. Allora quelli che diedero elemosine e la gente, vedendo e udendo ciò,
ne restano molto scandalizzati e urtati.
E' più conveniente che i frati
abbiano luoghi e edifici poveri, restando fedeli al loro ideale e dando buon
esempio al prossimo, anziché fare del bene in contrasto con la loro professione
religiosa e dando malesempio al popolo. Allora sì, se accadesse ai frati di
abbandonare i luoghi modesti e le abitazioni poverelle in vista di
un'abitazione più adatta, il malesempio e lo scandalo sarebbero meno grandi
".
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ULTIME VOLONTA'
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1564
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17. In quei giorni stessi e proprio nella celletta dove
aveva così parlato a messer Bonaventura, una sera fu preso da conati di vomito,
a causa della sua malattia di stomaco. E nel violento sforzo che fece per
rigettare, mandò fuori sangue, e ciò per tutto il corso della notte, fino al
mattino.
I suoi compagni, vedendolo in
procinto di morire per lo sfinimento e i dolori della malattia, con molta
angoscia e piangendo gli dissero: " Padre, che facciamo? Dona la tua
benedizione a noi e agli altri tuoi fratelli. E lascia ai tuoi fratelli un
memoriale della tua volontà, affinché, se il Signore ti vorrà chiamare da
questo mondo, possano sempre tenere in mente e ripetere: " Il nostro
padre, sul punto di morire, ha lasciato queste parole ai suoi fratelli e figli!
" ".
Francesco disse: "
Chiamatemi frate Benedetto da Piratro ". Era questi sacerdote, uomo
equilibrato e santo, ascritto all'Ordine fino dai primordi, e talvolta
celebrava per Francesco in quella stessa cella. Infatti il Santo, sebbene
infermo, sempre e volentieri, quando gli era possibile, voleva ascoltare
devotamente la Messa.
Arrivato Benedetto, gli disse
Francesco: " Scrivi che io benedico tutti i miei frati che attualmente
sono nell'Ordine e quelli che vi entreranno sino alla fine del mondo ". Era abitudine di Francesco alla fine
di tutti i Capitoli, quando i frati erano riuniti, di dare la benedizione a
tutti i presenti e agli altri che facevano parte dell'Ordine, e benediceva
altresì tutti coloro che vi sarebbero entrati in futuro. E non solo in
occasione dei Capitoli, ma molto di frequente benediceva tutti i frati, sia
quelli già nell'Ordine, sia quanti vi sarebbero venuti in seguito.
Francesco riprese: "
Siccome per lo sfinimento e le sofferenze della malattia non posso parlare,
esprimo brevemente ai miei fratelli la mia volontà in questi tre ricordi. In
memoria della mia benedizione e della mia ultima volontà, i frati sempre si
amino e rispettino l'un l'altro; amino e rispettino sempre la santa povertà,
nostra signora; sempre siano lealmente sottomessi ai prelati e a tutti i
chierici della santa madre Chiesa ".
Era solito ammonire i frati a
temere ed evitare il malesempio. E malediceva tutti quelli che, a causa dei
loro pravi e malvagi esempi, provocavano la gente a imprecare contro l'Ordine e
i frati, anche quelli santi e pieni di bontà, che così ne soffrivano vergogna e
afflizione.
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PULIZIA DELLE
CHIESE
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1565
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18. In altro tempo, quando Francesco abitava presso Santa
Maria della Porziuncola, e i frati erano ancora pochi, andava talora per i
villaggi e le chiese dei dintorni di Assisi, annunziando e predicando al popolo
di fare penitenza E in questi suoi giri portava una scopa per pulire le chiese.
Molto soffriva Francesco
nell'entrare in una chiesa e vederla sporca. Così, dopo aver predicato al
popolo, faceva riunire in un posto fuori mano tutti i sacerdoti che si
trovavano presenti, per non essere udito dalla gente. E parlava della salvezza
delle anime, e specialmente inculcava loro di avere la massima cura nel
mantenere pulite le chiese, gli altari e tutta la suppellettile che serve per
la celebrazione dei divini misteri.
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GIOVANNI IL
SEMPLICE
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1566
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19. Un giorno Francesco si recò nella chiesa di una
borgata del territorio di Assisi e si mise a fare le pulizie. Immediatamente si
sparse nel villaggio la voce del suo arrivo, poiché quella gente lo vedeva e
ascoltava volentieri .
Sentì la notizia anche un certo
Giovanni, uomo di meravigliosa semplicità, che stava arando un suo campo vicino
a quella chiesa. E subito andò da lui, e lo trovò intento a pulire. Gli disse:
" Fratello, da' la scopa a me, voglio aiutarti ". Prese lui la scopa
e finì di fare pulizia.
Poi si misero a sedere, e
Giovanni prese a dire: " Da molto tempo ho intenzione di servire a Dio,
soprattutto da quando ho inteso parlare di te e dei tuoi fratelli. Ma non
sapevo come unirmi a te. Ma dal momento che è piaciuto al Signore ch'io ti
vedessi, sono disposto a fare tutto quello che ti piace ".
Osservando il fervore di lui,
Francesco esultò nel Signore, anche perché allora aveva pochi fratelli e perché
quelI'uomo, con la sua pura semplicità, gli dava affidamento che sarebbe un
buon religioso. Gli rispose: " Fratello, se vuoi condividere la nostra
vita e stare con noi, è necessario che tu doni ai poveri, secondo il consiglio
del santo Vangelo tutti i beni che possiedi legittimamente. Così hanno fatto i
miei fratelli cui è stato possibile ".
Sentendo ciò, subito Giovanni si
diresse verso il campo dove aveva lasciato i buoi, li sciolse e ne portò uno
davanti a Francesco, dicendogli: " Fratello, per tanti anni ho lavorato
per mio padre e gli altri della famiglia. Sebbene questa parte della mia
eredità sia scarsa, voglio prendere questo bue e darlo ai poveri nel modo che
ti sembrerà più opportuno secondo Dio ".
Vedendo che voleva abbandonarli,
i genitori, i fratelli che erano ancora piccoli, e tutti quelli di casa
cominciarono a lacrimare e piangere forte. Francesco si sentì mosso a
compassione, massime perché la famiglia era numerosa e senza risorse. Disse
loro: " Preparate un pranzo, mangeremo insieme. E non piangete, poiché vi
farò lieti ". Quelli si misero all'opera, e pranzarono tutti con molta
allegria.
Finito il desinare, Francesco
parlò: " Questo vostro figlio vuole servire a Dio. Non dovete contristarvi
di ciò, ma essere contenti. E un onore per voi, non solo davanti a Dio ma anche
agli occhi della gente; e ne avrete vantaggio per l'anima e per il corpo. Di
fatti, è uno del vostro sangue che dà onore a Dio, e d'ora innanzi tutti i
nostri frati saranno vostri figli e fratelli. Una creatura di Dio si propone di
servire al suo Creatore--ed essere suo servo vuol dire essere re,--voi capite
quindi che non posso e non debbo ridarvi vostro figlio. Tuttavia, affinché
riceviate da lui un po' di conforto, io dispongo ch'egli rinunci per voi, che
siete poveri alla proprietà di questo bue, benché secondo il consiglio dei
santo Vangelo dovesse darlo agli altri poveri ".
Furono tutti confortati dal
discorso di Francesco, e soprattutto furono felici che fosse loro reso il bue,
poiché erano veramente poveri.
Francesco, cui piacque sempre la
pura e santa semplicità in se stesso e negli altri, ebbe grande affetto per
Giovanni. E appena lo ebbe vestito del saio, prese lui come suo compagno. Era
questi talmente semplice, che si riteneva obbligato a fare qualunque cosa
facesse Francesco. Quando il Santo stava a pregare in una chiesa o in un luogo
appartato, Giovanni voleva vederlo e fissarlo, per ripetere tutti i gesti di
lui: se Francesco piegava le ginocchia, se alzava al cielo le mani giunte, se
sputava o tossiva, anche lui faceva altrettanto.
Pur essendo incantato da tale
semplicità di cuore, Francesco cominciò a rimproverarlo. Ma Giovanni rispose:
" Fratello, ho promesso di fare tutto quello che fai tu; e perciò intendo
fare tutto quello che tu fai ". Il Santo era meravigliato e felice davanti
a tanta purità e semplicità. Giovanni fece tali progressi in tutte le virtù,
che Francesco e gli altri frati restavano stupefatti della sua santità.
E dopo non molto tempo egli morì
in questa santa perfezione. Francesco, colmo di letizia nell'intimo ed
esteriormente, raccontava ai frati la vita di lui, e lo chiamava " san
Giovanni " in luogo di " frate Giovanni ".
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UNA FALSA
VOCAZIONE
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1567
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20. Francesco percorreva una volta la provincia della
Marca predicando. Un giorno, dopo la predica alla gente di un villaggio, un
uomo venne da lui e gli disse: "Fratello voglio lasciare il mondo ed
entrare nella tua fraternità ". Rispose Francesco: " Fratello, se
vuoi entrare nella nostra famiglia, è necessario per prima cosa che tu
distribuisca ai poveri tutti i tuoi beni, secondo la perfezione consigliata dal
santo Vangelo, e poi che tu rinunzi completamente alla tua volontà ".
A queste parole, colui partì in
fretta, ma ispirato da amore carnale e non spirituale, donò i suoi beni ai
consanguinei. Tornò poi da Francesco e gli disse: " Fratello, ecco, mi
sono privato di tutti i miei averi! ". E Francesco: " Come hai fatto?
". Rispose quello: " Fratello, ho donato tutto il mio ad alcuni
parenti, che erano nella necessità ".
Conobbe Francesco, per mezzo
dello Spirito Santo, che quello era un uomo carnale, e subito lo accomiatò:
" Vai per la tua strada, frate Mosca, poiché hai dato il tuo ai
consanguinei, e ora vorresti vivere di elemosine tra i frati ". E colui se
ne andò per la sua strada, ricusando di distribuire i suoi averi ad altri
poveri.
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TENTAZIONE E
SERENITA'
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1568
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21. In quello stesso torno di tempo, mentre Francesco
dimorava nel luogo della Porziuncola, fu assalito per il bene del suo spirito
da una gravissima tentazione. Interiormente ed esteriormente ne era duramente
turbato, tanto che alle volte sfuggiva la compagnia dei fratelli perché,
sopraffatto da quella tortura, non riusciva a mostrarsi loro nella sua abituale
serenità.
Si mortificava, si asteneva dal
cibo e dalla conversazione. Spesso si internava a pregare nella selva che si
stendeva vicino alla chiesa, per dare liberamente sfogo all'angoscia e al
pianto in presenza del Signore, affinché Dio, che può tutto, si degnasse
d'inviargli dal cielo la sua medicina in quella così violenta tribolazione. E
per oltre due anni fu tormentato giorno e notte dalla tentazione.
Accadde che un giorno, mentre
stava pregando nella chiesa di Santa Maria, gli fu detta in spirito quella
parola del Vangelo: " Se tu avessi una fede grande come un granello di
senape, e dicessi a quel monte di trasportarsi da quello a un altro posto,
avverrebbe così.
Francesco domandò: " E
quale è quel monte? ". Gli fu risposto: " Il monte è la tua
tentazione ". Rispose Francesco " Allora, Signore, sia fatto a me
secondo che hai detto ". E all'istante fu liberato, così che gli parve di
non avere mai sofferto quella tentazione".
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A MENSA CON IL
LEBBROSO
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1569
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22. Altra volta, essendo tornato un giorno Francesco alla
Porziuncola, vi incontrò frate Giacomo il semplice, in compagnia di un lebbroso
sfigurato dalle ulceri, capitato colà lo stesso giorno. Il Santo aveva
raccomandato a frate Giacomo con insistenza quel lebbroso e tutti quelli che
erano più corrosi dal male. A quei tempi, infatti, i frati abitavano nei
lazzaretti. Giacomo faceva da medico ai più colpiti, e di buon grado toccava le
loro piaghe, le curava, ne mutava le bende.
Francesco si rivolse a frate
Giacomo con tono di rimprovero: " Non dovresti condurre qui i fratelli
cristiani, poiché non è conveniente per te né per loro ". Il Santo
chiamava " fratelli cristiani " i lebbrosi. Fece questa osservazione
perché, pur essendo felice che frate Giacomo aiutasse e servisse i lebbrosi,
non voleva però che facesse uscire dal lazzaretto i più gravemente piagati. In
più, frate Giacomo era molto semplice, e spesso andava alla chiesa di Santa
Maria con qualche lebbroso. Oltre tutto, la gente ha orrore dei lebbrosi sfatti
dalle ulceri.
Non aveva finito di parlare, che
subito Francesco si pentì di quello che aveva detto e andò a confessare la sua
colpa a Pietro di Catanio, ministro generale in carica: aveva rimorso di aver
contristato il lebbroso, rimproverando frate Giacomo. Per questo confessò la
sua colpa, con l'idea di rendere soddisfazione a Dio e a quello sventurato.
Disse quindi a frate Pietro:
" Ti chiedo di approvare, senza contraddirmi, la penitenza che voglio fare
". Rispose frate Pietro: " Fratello, sia come ti piace ".
Talmente egli venerava e temeva Francesco, gli era così obbediente, che non
osava mutare i suoi ordini, benché in questa e in molte altre circostanze ne
restasse afflitto in cuore e anche esteriormente.
Seguitò Francesco: " Sia
questa la mia penitenza; mangiare nello stesso piatto con il fratello cristiano
". E così fu.
Francesco sedette
a mensa con il lebbroso e gli altri frati, e fu posta una scodella tra loro
due. Ora, il lebbroso era tutto una piaga; le dita con le quali prendeva il
cibo erano contratte e sanguinolente, così che ogni volta che le immergeva
nella scodella, vi colava dentro il sangue.
Al vedere simile spettacolo,
frate Pietro e gli altri frati furono sgomenti, ma non osavano dir nulla, per
timore del padre santo. Colui che ora scrive, ha visto quella scena e ne rende
testimonianza.
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VISIONE DI FRATE
PACIFICO
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1570
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23. Un'altra volta, Francesco andava per la valle di
Spoleto ed era con lui frate Pacifico, oriundo della Marca di Ancona e che nel
secolo era chiamato " il re dei versi", uomo nobile e cortese,
maestro di canto. Furono ospitati in un lebbrosario di Trevi.
E disse Francesco al compagno:
" Andiamo alla chiesa di San Pietro di Bovara, perché questa notte voglio
rimanere là ". La chiesa, non molto lontana dal lebbrosario, non era
officiata, giacché in quegli anni il paese di Trevi era distrutto e non ci
abitava più nessuno.
Mentre camminavano, Francesco
disse a Pacifico: " Ritorna al lazzaretto, poiché voglio restare solo,
qui, stanotte. Verrai da me domani, all'alba ". Rimasto solo in chiesa, il
Santo recitò la compieta e altre orazioni, poi volle riposare e dormire. Ma non
poté, poiché il suo spirito fu assalito da paura e sconvolto da suggestioni
diaboliche. Subito si alzò, uscì all'aperto e si fece il segno della croce,
dicendo " Da parte di Dio onnipotente, vi ingiungo, o demoni, di scatenare
contro il mio corpo la violenza concessa a voi dal Signore Gesù Cristo. Sono
pronto a sopportare ogni travaglio. Il peggior nemico che io abbia è il mio
corpo, e voi quindi farete vendetta del mio avversario ". Le suggestioni
disparvero immediatamente. E il Santo, facendo ritorno al luogo dove prima si
era messo a giacere, riposò e dormì in pace.
Allo spuntare del giorno, ritornò
da lui Pacifico. Il Santo era in orazione davanti all'altare, entro il coro.
Pacifico stava ad aspettarlo fuori del coro, dinanzi al crocifisso, pregando
anche lui il Signore. Appena cominciata la preghiera, fu elevato in estasi (se
nel corpo o fuori del corpo, Dio lo sa), e vide molti troni in cielo, tra i
quali uno più alto, glorioso e raggiante, adorno d'ogni sorta di pietre
preziose. Mentre ammirava quel]o splendore, prese a riflettere fra sé cosa
fosse quel trono e a chi appartenesse. E subito udì una voce: " Questo
trono fu di Lucifero, e al suo posto vi si assiderà Francesco ".
Tornato in sé, ecco Francesco
venirgli incontro. Pacifico si prostrò ai suoi piedi con le braccia in croce,
considerandolo, in seguito alla visione, come già fosse in cielo. E gli disse: " Padre,
perdonami i miei peccati, e prega il Signore che mi perdoni e abbia
misericordia di me ". Francesco stese la mano e lo rialzò, e comprese che
il compagno aveva avuto una visione durante la preghiera. Appariva tutto
trasfigurato e parlava a Francesco non come a una persona in carne e ossa, ma
come a un santo già regnante in cielo.
Poi, come facendo lo gnorri,
perché non voleva rivelare la visione a Francesco, Pacifico lo interrogò:
" Cosa pensi di te stesso, fratello? ". Rispose Francesco: "
Sono convinto di essere l'uomo più peccatore che esista al mondo ". F.
subito una voce parlò in cuore a Pacifico: " Da questo puoi conoscere che
la visione che hai avuto è vera. Come Lucifero per la sua superbia fu precipitato
da quel trono, così Francesco per la sua umiltà meriterà di esservi esaltato e
di assidervisi ".
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LA CETRA ANGELICA
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1571
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24. All'epoca in cui Francesco era presso Rieti,
alloggiando per alcuni giorni in una camera dl Tebaldo Saraceno per motivo del
suo male d'occhi, disse una volta a uno dei compagni che nel mondo aveva
imparato a suonare la cetra: " Fratello, i figli di questo secolo non sono
sensibili alle cose divine. Usano gli strumenti musicali, come cetre, arpe a
dieci corde e altri, per la vanità e il peccato, contro il volere di Dio,
mentre nei tempi antichi gli uomini li utilizzavano per la lode di Dio e il
sollievo dello spirito. Io vorrei che tu acquistassi di nascosto una cetra da
qualche onesto uomo, e facessi per me una canzone devota. Ne approfitteremmo
per accompagnare le parole e le lodi del Signore. Il mio corpo è afflitto da
una grande infermità e sofferenza; così, per mezzo della cetra bramerei
alleviare il dolore fisico, trasformandolo in letizia e consolazione dello
spirito ".
Francesco di fatti aveva
composto alcune laudi al Signore durante la sua malattia e le faceva talora
cantare dai compagni a gloria di Dio e a conforto della sua anima, nonché allo
scopo di edificare il prossimo
Il fratello gli rispose: "
Padre, mi vergogno di andare a chiedere una cetra, perché la gente di questa
città sa che io nel secolo sonavo la cetra, e temo che mi sospettino ripreso
dalla tentazione di suonare >>. Francesco concluse: " Bene, fratello, lasciamo
andare ".
La notte seguente il Santo stava
sveglio. Ed ecco sulla mezzanotte, fremere intorno alla casa dove giaceva il
suono di una cetra: era il canto più bello e dilettoso che avesse udito in vita
sua. L'ignoto musicista si scostava tanto lontano, quanto potesse farsi
sentire, e poi si riavvicinava, sempre pizzicando lo strumento. Per una grande
ora durò quella musica. Francesco, intuendo che quella era opera di Dio e non
di un uomo, fu ricolmo di intensa gioia, e con il cuore esultante e traboccante
di affetto lodò il Signore che lo aveva voluto deliziare con una consolazione
così soave e grande.
Al mattino, alzandosi, disse al
compagno: " Ti avevo pregato, fratello, e tu non mi hai esaudito. Ma il
Signore che consola i suoi amici posti nella tribolazione, questa notte si è
degnato di consolarmi ". E narrò l'esperienza avuta. Stupirono i fratelli,
comprendendo che si trattava di un grande miracolo, e conclusero che Dio stesso
era intervenuto a portare gioia a Francesco.
In effetti, non solo a
mezzanotte, ma anche al terzo rintocco della campana, per ordine del podestà,
nessuno poteva circolare per la città. D'altronde, come Francesco riferì, la
cetra sonante andava e tornava nel silenzio, senza parole di bocca umana, e ciò
per una grande ora, a sollievo del suo spirito .
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LA VIGNA DEL PRETE
Dl RIETI
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1572
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25. In quello stesso periodo, Francesco a causa della sua
malattia d'occhi soggiornò presso la chiesa di San Fabiano, non lontano da
quella città, ospite di un povero prete secolare. Aveva allora residenza in
Rieti il signore papa Onorio III con i cardinali. E molti di costoro e altri
ecclesiastici, per riverenza e devozione verso Francesco, venivano a fargli
visita quasi ogni giorno.
Possedeva quella chiesa una
piccola vigna, che si estendeva vicino alla casa dove dimorava Francesco. Da
una porta di questa quasi tutti i visitatori passavano nella vigna contigua,
attirati sia dalla stagione delle uve mature, sia dall'amenità del luogo che
invitava a sostarvi. Successe quindi che, a motivo di quel viavai, la vigna fu
pressoché tutta messa a soqquadro: chi coglieva i grappoli e se li piluccava
sul posto, chi li pigliava per portarseli via, altri calpestavano il terreno.
Il prete cominciò ad agitarsi e protestare, dicendo: " Quest'anno il
raccolto è perduto. Per quanto piccola, la vigna mi dava il vino sufficiente al
mio bisogno ".
Sentito questo lamento,
Francesco lo fece chiamare e gli disse: " Non star male e non agitarti!
Ormai non possiamo farci niente. Ma confida nel Signore, che può riparare al
danno per amore di me, suo piccolo servo. Dimmi: quante some hai fatto, negli
anni di migliore raccolto? ". Il sacerdote gli rispose: " Fino a
tredici some, padre ". E Francesco: " Coraggio, non contristarti più,
non ingiuriare nessuno, non fare lamentele in giro, abbi fede nel Signore e nelle
mie parole. Se raccoglierai meno di venti some, prometto di rifondertene io
". Il sacerdote si calmò e stette tranquillo.
E accadde per intervento di Dio
che raccolse effettivamente non meno di venti some, come Francesco gli aveva
promesso. Quel sacerdote ne rimase attonito, e con lui tutti gli altri che
riseppero la cosa, e attribuirono il prodigio ai meriti del beato Francesco. In
verità, la vigna era stata devastata; ma anche fosse grondante di grappoli,
sembrava impossibile ricavarne venti some di vino.
Noi che siamo vissuti con lui,
siamo in grado di testimoniare che quando diceva: " E' così ",
oppure: " Così sarà ", avveniva sempre come aveva predetto. E noi
molte cose vedemmo realizzarsi mentre era in vita e anche dopo la sua morte.
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IL PRANZO OFFERTO
AL MEDICO
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26. Sempre in quel periodo, Francesco soggiornò per curare
il suo male d'occhi nel romitorio dei frati di Fonte Colombo, presso Rieti.
Un giorno l'oculista della città
era venuto a visitarlo. Si era trattenuto con lui, come d'abitudine, per
qualche ora. Mentre si disponeva a partire, Francesco disse a uno dei compagni:
" Andate, e servite al medico un buon pranzo ". Il compagno rispose:
" Padre, te lo confessiamo con vergogna: siamo così poveri adesso, che non
osiamo invitarlo e offrirgli da mangiare ". Francesco si rivolse ai
compagni: " Uomini di poca fede, non mi fate ripetere l'ordine ".
Intervenne il medico e disse a Francesco e ai compagni: " Fratello,
proprio perché sono tanto poveri, più volentieri mangerò insieme a loro ".
Quel sanitario era molto ricco, e, sebbene il Santo e i compagni lo avessero
invitato a mensa sovente, mai aveva accettato .
Andarono dunque i frati a
preparare la tavola, e con vergogna vi disposero quel poco di pane e di vino
che avevano e gli scarsi legumi che si erano cucinati. Sedutisi a mensa,
avevano appena cominciato a mangiare, quando qualcuno bussò alla porta. Un
frate si alzò e corse ad aprire: c'era una donna che recava un gran canestro
pieno di bel pane, pesci, pasticcio di gamberi, miele e grappoli di uva colti di
fresco. Era un dono inviato a Francesco dalla signora di un castello che
distava dal romitaggio quasi sette miglia.
A quella sorpresa, i frati e il
medico rimasero trasecolati, riflettendo alla santità di Francesco. E disse il
medico agli ospiti: " Fratelli miei, né voi, come dovreste, né noi
conosciamo la santità di quest'uomo ".
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PREDICE LA
CONVERSIONE DI UN MARITO
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27. Andava un giorno Francesco alle Celle di Cortona,
seguendo la strada che scorre ai piedi della cittadina di Lisciano, presso il
luogo dei frati di Preggio. E accadde che una nobildonna di quella città scese
in fretta per parlare al Santo. Uno dei frati, vedendo la signora che si
avvicinava, stanca per il viaggio, disse a Francesco: " Padre, per amore
di Dio, aspettiamo quella signora che ci segue per parlare con te, ed è così
affaticata ".
Francesco, da uomo pieno di
carità e di compassione, si fermò ad attenderla. E nel vederla appressarsi
trafelata e animata da fervore e devozione grande, le disse: " Cosa posso
fare per te, signora? ". Rispose la donna: " Padre, ti prego di darmi
la tua benedizione ". Riprese Francesco: " Sei maritata o sei nubile?
". E lei: " Padre, è molto tempo che il Signore mi ha dato la volontà
di servirgli, ho avuto e ho ancora un desiderio grande di salvare l'anima mia.
Ma ho un marito assai crudele e nemico a se stesso e a me per quanto riguarda
il servizio di Cristo. Così un vivo dolore e un'angoscia mi affliggono l'anima
fino a morirne ".
Francesco, considerando lo
spirito fervoroso di lei, soprattutto vedendola così giovane e di fisico
fragile, fu mosso a pietà di lei, la benedisse e l'accomiatò con queste parole:
" Va' pure; troverai tuo marito in casa, e gli dirai da parte mia che
prego lui e te, per amore di quel Signore che soffrì la passione di croce per
noi, di salvare le vostre anime vivendo a casa vostra ".
La donna se ne andò. Entrata in
casa, vi trovò il marito, come le aveva detto Francesco. Questi le domandò:
" Da dove vieni? ". E lei: " Vengo da un incontro con Francesco.
Mi ha benedetta, e le sue parole mi hanno consolata e allietata nel Signore.
Inoltre mi incarica di esortarti e pregarti a suo nome che ci salviamo l'anima
rimanendo in casa nostra ".
A quelle parole, per i meriti di
Francesco, la grazia di Dio scese subito in cuore a quell'uomo. Rispose egli
con molta delicatezza e bontà, completamente trasformato da Dio: "
Signora, d'ora in poi, nel modo che vorrai, mettiamoci a servire Cristo e
salviamoci l'anima, come ha raccomandato Francesco ". La moglie soggiunse:
" Signore, mi sembra bene che viviamo in castità, virtù che molto piace a
Dio e procura una grande ricompensa ". Concluse l'uomo: " Se piace a
te, piace anche a me. In questo e in ogni altra opera buona, voglio unire la
mia volontà alla tua ".
Da quel giorno per lunghi anni i
due vissero in castità, facendo generose elemosine ai frati e agli altri
poveri. Non solo i secolari, ma anche i religiosi si stupivano della santità di
quei coniugi, soprattutto perché l'uomo, da mondano che era prima, d'un tratto
era divenuto così spirituale.
Perseverando in queste e in ogni
altra opera buona sino alla fine, morirono a pochi giorni di distanza l'uno
dall'altra. E si fece un gran compianto su di essi, per il profumo emanato
dalla loro vita di bontà, lodando e benedicendo il Signore, che aveva largito
loro, fra molte altre grazie, quella di servirlo in intima concordia. Non
furono separati nemmeno nella morte, poiché si spensero l'uno appresso
all'altro. E fino ai nostri giorni quelli che li conobbero li ricordano come
dei santi .
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UN POSTULANTE
IMMATURO
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1575
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28. Quando ancora nessuno veniva ricevuto nella
fraternità senza il consenso di Francesco, si presentò con altri che aspiravano
a questa vita il figlio di un nobile di Lucca. Francesco allora stava poco
bene, e abitava nel palazzo del vescovi di Assisi. Mentre i frati presentavano
i nuovi venuti, quel giovane si inchinò davanti a Francesco e scoppiò a
piangere forte, supplicando di essere accettato.
Il Santo lo fissò e gli disse:
" Misero e carnale uomo, perché stai mentendo allo Spirito Santo e a me?
Carnale e non spirituale è questo tuo pianto ".
Non aveva finito di parlare che
irruppero in piazza, a cavallo, i parenti di lui con il proposito di prendere
il giovane e riportarlo a casa. Sentendo egli lo strepito dei cavalli e
guardando i sopravvenuti da una finestra del palazzo, scorse i suoi parenti e
subito si precipitò fuori incontro ad essi. In loro compagnia tornò nel mondo,
come aveva previsto Francesco, illuminato dallo Spirito Santo.
I frati e gli altri presenti ne furono
sbalorditi, e magnificarono e lodarono Dio nel suo Santo.
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UN PESCE PRELIBATO
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1576
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29. Mentre Francesco gravemente malato era ospite nel
palazzo del vescovo di Assisi, veniva insistentemente pregato di nutrirsi. Egli
rispose: " Fratelli, non ho nessuna voglia di mangiare. Però, se avessi
del pesce squalo, forse ne prenderei ".
Com'ebbe espresso il desiderio,
ecco appressarsi un tale che portava un canestro contenente tre bellissimi
squali, ben preparati, e piatti di gamberi, che il Santo mangiava volentieri.
Il tutto gli veniva offerto da frate Gerardo, ministro a Rieti.
Molto stupiti
rimasero i frati, considerando la cosa una prova della santità di Francesco. E
lodarono Dio, che procurava al suo servo quanto non gli si poteva offrire,
perché era inverno e in quella città non si sarebbe riusciti ad avere vivande
simili.
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LA MORMORAZIONE Dl
FRATE LEONARDO
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1577
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30. Una volta Francesco era in cammino in compagnia di un
frate molto spirituale, discendente da una grande e potente famiglia di Assisi.
Il Santo, debole e malato, stava in groppa a un asino. Il compagno, stanco del
viaggio, si mise a borbottare fra sé: " I parenti di questo qui non erano
nemmeno paragonabili ai miei. Ed ecco, lui cavalca e a me tocca venirgli
dietro, stracco e appoggiandomi al somaro ".
Stava rimuginando queste
riflessioni quando Francesco scivolò d'improvviso dal giumento e gli disse:
" Fratello, non è giusto né conveniente che io cavalchi e tu vada a piedi
poiché nel mondo eri più nobile e potente di me ". Stupefatto e pieno di
vergogna, quel frate cominciò a piangere e buttandosi ai piedi del Santo gli
confessò il pensiero avuto e riconobbe la sua colpa.
Egli ammirò la
santità di Francesco, che aveva immediatamente penetrato il suo pensiero. E
quando i fratelli pregarono, in Assisi, papa Gregorio e i cardinali di
canonizzare Francesco, Leonardo attestò questo fatto davanti al Papa e ai
cardinali.
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ESCE DI CELLA PER BENEDIRE UN
FRATELLO
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1578
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31. Un frate uomo spirituale e amico di Dio, abitava a
Rieti nel luogo dei frati. Un giorno si alzò e, sospinto dal desiderio di
vedere Francesco e di ricevere la sua benedizione, venne con viva devozione al
romitorio di Greccio, dove allora il Santo soggiornava. Francesco aveva già
preso il suo pasto e stava ritirato in una cella, dove pregava e riposava.
Siccome era quaresima, non ne usciva che all'ora della refezione, per poi
tornare subito al suo isolamento.
Il nuovo arrivato rimase molto
avvilito nel non trovarlo, attribuendo la disdetta ai suoi peccati, soprattutto
perché gli era giocoforza rientrare al suo convento entro la giornata. I
compagni del Santo cercarono di consolarlo, ed egli stava ripartendo. Si era
allontanato per lo spazio di un tiro di sasso, quando Francesco, per volontà
del Signore, uscì dalla cella, chiamò uno dei compagni ( quello che era solito
accompagnarlo fino alla fontana) e gli disse: " Avverti quel frate di
voltarsi verso di me ". Quello girò la faccia verso il Santo, il quale
tracciò un segno di croce e lo benedisse.
Ricolmo di intima gioia e
allegria, quel frate lodò Dio che aveva esaudito il suo desiderio. La sua
consolazione fu tanto più grande, in quanto comprese che era stato benedetto
per volontà del Signore, senza sua richiesta e senza intervento di nessuno.
Anche i compagni di Francesco e
gli altri frati dell'eremo ne furono stupiti, e ritennero quello un grande
miracolo, giacché nessuno aveva avvisato il Santo dell'arrivo di quel frate.
D'altronde né i compagni né alcun altro frate osavano andare da lui se non
erano chiamati. Non soltanto a Greccio, ma dovunque Francesco soggiornasse in
preghiera, voleva stare totalmente isolato, e vietava che qualsiasi andasse a
visitarlo, se non chiamato.
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PRANZO NATALIZIO A
GRECCIO
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1579
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32. In altro tempo, venne un ministro dei frati da Francesco,
che soggiornava a Greccio, per celebrare il Natale del Signore insieme con lui.
I frati dell'eremo, in occasione della festa e per riguardo all'ospite,
prepararono la mensa con cura, coprendo le tavole con belle tovaglie bianche,
che avevano acquistato, e guarnendola di bicchieri di vetro.
Quando Francesco scese dalla
celletta per desinare, vedendo la mensa alzata da terra e allestita con tale
ricercatezza, uscì senza farsi notare, prese il cappello e il bastone di un
mendicante venuto là quel giorno e, dopo aver chiamato sottovoce uno dei
compagni, andò fuori dalla porta del romitorio.
I frati non si accorsero di
nulla. Si misero a tavola tranquillamente, poiché era volontà del Santo che, se
non veniva subito all'ora della refezione, i frati cominciassero a mangiare
senza di lui. Intanto il suo compagno chiuse la porta e rimase dentro, accanto
all'uscio. Francesco bussò, e quello subito gli aprì. Entrò con il cappello sul
dorso e il bastone in mano, come un pellegrino. Affacciatosi all'entrata della
stanza dove i frati desinavano, egli disse al modo dei mendicanti: " Per
amore del Signore Dio, fate l'elemosina a questo povero pellegrino malato!
".
Il ministro e gli altri frati lo
riconobbero immediatamente. E il ministro gli rispose: " Fratello, siamo
poveri anche noi, ed essendo numerosi, le elemosine che stiamo consumando ci
sono necessarie. Ma per amore del Signore che hai invocato, entra, e divideremo
con te le elemosine che Dio ci ha mandato ". Francesco si fece avanti e si
accostò alla tavola. Il ministro gli diede la scodella, da cui stava prendendo
cibo, con del pane. Il Santo prese l'una e l'altro, sedette a terra vicino al
fuoco, di fronte ai fratelli che stavano a mensa in alto .
Disse allora sospirando: "
Quando vidi questa tavola preparata con tanto lusso e ricercatezza, ho pensato
che non era la mensa dei poveri frati, i quali vanno ogni giorno a questuare di
porta in porta. A gente come noi si conviene seguire in ogni cosa l'esempio di
umiltà e povertà del Figlio di Dio più che agli altri religiosi: poiché a
questo siamo stati chiamati e a questo ci siamo impegnati davanti a Dio e
davanti agli uomini. Adesso, mi sembra, io sto a mensa come si addice a un
frate ".
Quelli ne arrossirono,
comprendendo che Francesco diceva la verità. Alcuni presero a lacrimare forte,
nel vedere Francesco seduto per terra e ripensando a come li aveva corretti con
tanta santità e ragione.
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VISITA DEL
CARDINALE UGOLINO ALLA PORZIUNCOLA
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1580
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33. Diceva Francesco che i frati dovevano avere mense così
umili e modeste, affinché i secolari ne restassero edificati. E se vi era
invitato qualche povero, sedesse insieme con i frati, e non lui per terra e
loro in alto.
Papa Gregorio, quando era
vescovo di Ostia, venuto al luogo della Porziuncola, entrò nell'abita~ione dei
frati. Andò a vedere il dormitorio, con molti cavalieri, monaci e altri
ecclesiastici del suo seguito. Nell'osservare che i frati si coricavano per
terra, su poca paglia, senza cuscini, con delle misere coperte quasi tutte
sfilacciate e a brandelli, si mise a piangere davanti a tutti e diceva: "
Ecco dove riposano i frati. Sventurati noi, che ci permettiamo tante
superfluità. Che sarà di noi? ". Sia lui che gli accompagnatori ne
rimasero molto edificati. E non vide in quel luogo nessuna mensa, poiché i
frati mangiavano seduti per terra.
Sebbene il luogo della
Porziuncola fin dai primordi, quando cioè venne fondato, fosse il più
frequentato dai frati di tutto l'Ordine ( invero, tutti quelli che si facevano
frati, prendevano l'abito a Santa Maria degli Angeli), tuttavia i frati di
questa comunità mangiavano sempre per terra, pochi o molti che fossero. E
finché visse Francesco, conformandosi all'esempio e al volere di lui,
prendevano i loro pasti accomodandosi a terra.
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VIZI E VIRTU' A
GRECCIO
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1581
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34. Francesco amava l'eremo di Greccio, dove i frati
erano virtuosi e poveri, e aveva una predilezione anche per gli abitanti di
quella terra per la loro povertà e semplicità. Perciò si recava spesso a
riposare e soggiornare là, attirato inoltre da una celletta estremamente povera
e isolata, dove il padre santo amava raccogliersi.
Stimolati dall'esempio e dalla
predicazione sua e dei suoi frati e ispirati dalla grazia del Signore, molti
abitanti del paese entrarono nell'Ordine. Anche numerose donne vivevano in
verginità, restando a casa propria e indossando un abito religioso. Pur
dimorando in famiglia, esse conducevano vita comunitaria, coltivando la virtù e
affliggendo il corpo con digiuni e orazioni. Alla gente e ai frati esse
apparivano, benché giovani e semplici, non come persone dimoranti nel mondo e a
contatto con i familiari, bensì come viventi in comunità di religiose sante e
dedite al servizio del Signore da lunghi anni. A proposito degli uomini e delle
donne di Greccio Francesco soleva dire tutto felice ai frati: " Non esiste
una grande città dove si siano convertite al Signore tante persone quante ne ha
Greccio, un paese così piccolo ".
E sovente, quando alla sera i
frati di quell'eremo cantavano le !odi del Signore,--ciò che a quei tempi i frati
solevano fare m molti luoghi,--gli abitanti del paese, piccoli e grandi,
uscivano dalle case, si riunivano sulla strada davanti al villaggio, e ad alta
voce rispondevano, a mo' di ritornello, al canto dei religiosi: " Lodato
sia il Signore Dio! ". Perfino i bimbi, che non sapevano ancora ben
parlare, al vedere i frati lodavano il Signore come potevano.
In quegli anni, la popolazione
di Greccio era esposta a un grave flagello, che durò parecchi anni. La zona
infatti era infestata da grossi lupi, che divoravano le persone, e ogni anno
campi e vigneti erano devastati dalla grandine. Durante una predica Francesco
ebbe a dire: " Vi annunzio, a onore e lode di Dio, che se ognuno di voi si
emenderà dai propri peccati e si convertirà di tutto cuore a Lui con il fermo
proposito di perseverare, ho fiducia nel Signore Gesù Cristo che subito, per la
sua misericordia, spazzerà via questi flagelli dei lupi e della grandine, che
da tanto tempo vi tribolano, e vi farà crescere e moltiplicare nelle cose
spirituali e temporali. Ma preannunzio ancora che, se (Dio non lo voglia!)
tornerete al peccato, questo flagello e maledizione ripiomberà su di voi,
unitamente a molte altre sventure più gravi ".
E accadde, per disposizione
divina e grazie ai meriti del padre santo, che da quell'ora cessarono le
calamità. Di più, ciò che è grande miracolo, quando la grandine veniva a
devastare le campagne vicine, non colpiva i contigui poderi degli abitanti di
Greccio.
Per sedici o venti anni essi
videro moltiplicarsi e accrescersi i loro beni spirituali e temporali. Ma dopo,
il benessere generò l'orgoglio. Presero a odiarsi, a fare uso delle spade fino
ad ammazzarsi fra loro, uccidevano di nascosto gli animali, di notte si davano
a rapine e furti, e commettevano molte altre malvagità.
Il Signore, vedendo che le loro
opere erano perverse e che non osservavano gli ordini dati per mezzo di
Francesco suo servo, si indignò contro di essi, allontanò la sua mano
misericordiosa, e così ritornò il flagello della grandine e dei lupi, come
aveva predetto il Santo, e molte altre tribolazioni più dure delle antecedenti
li colpirono. Infatti, tutto il paese fu divorato dall'incendio, e gli abitanti
perdettero ogni loro avere, salvando soltanto la vita.
I frati e quanti avevano udito
il discorso di Francesco, che aveva predetto prosperità e disgrazie, ammirarono
la santità di lui, constatando come ogni cosa si era verificata a puntino.
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PREDICE AI
PERUGINI LA GUERRA CIVILE
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1583
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35. In altra occasione, Francesco predicava nella piazza
di Perugia a una grande folla ivi adunata. Ma ecco dei cavalieri perugini
irrompere armati in piazza in groppa ai loro cavalli, così da sconvolgere la
predicazione. E nonostante le proteste degli uomini e delle donne che
ascoltavano attenti il discorso, quegli arroganti non la smettevano.
Francesco allora, rivolgendosi
ai disturbatori con animo vibrante, disse: " Udite e cercate di capire
quello che il Signore vi preannunzia per bocca di me, suo servo. E non state a
dire: Quello là è uno di Assisi! ". Il Santo disse questo perché tra
assisani e perugini c'era un odio grande. E seguitò: " Il Signore vi ha
resi grandi e potenti sopra tutti i vostri vicini. E per questo motivo dovete
essere più riconoscenti al vostro Creatore, e mantenervi umili non solo davanti
a Dio onnipotente, ma anche nei rapporti con i vostri vicini. Purtroppo, il
vostro cuore si è gonfiato di arroganza e, invasati dall'orgoglio e dalla
potenza, voi devastate le terre dei vostri vicini e molti ne ammazzate. Ora io
vi dico che, se non vi convertite subito a Dio e non riparate ai danni
compiuti, il Signore, che nessuna ingiustizia lascia impunita, a maggiore
vendetta e castigo e disonore vostro, vi farà insorgere gli uni contro gli
altri. Scoppiata la discordia e la guerra civile, patirete tali tribolazioni
quante i vostri vicini non potrebbero infliggervi ".
Invero, Francesco nelle sue
predicazioni non taceva i vizi del popolo che offendevano pubblicamente Dio e
il prossimo. Ii Signore gli aveva dato tanta grazia che tutti quelli che lo
vedevano o udivano, piccoli o grandi che fossero, nutrivano per lui uno
straordinario timore e rispetto a causa dei grandi carismi ch'egli aveva
ricevuto da Dio. Per cui, anche quando venivano rimproverati da lui, pur
vergognandosene, ne restavano edificati. E qualcuno si convertiva al Signore
perché il Santo, preoccupato per la sua situazione, pregava intensamente.
Pochi giorni dopo, Dio permise
che tra nobili e popolo esplodesse un conflitto. Il popolo cacciò dalla città i
cavalieri, e costoro con l'aiuto della Chiesa, devastarono molti campi,
vigneti, frutteti del popolo, facendo loro tutti i malanni possibili. A sua
volta il popolo guastò le campagne, vigneti e frutteti appartenenti ai nobili.
Così i perugini patirono una punizione più grave di quelle da loro inflitte ai
vicini. E così si realizzò alla lettera la predizione fatta da Francesco.
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EFFICACIA DELLA
SUA PREGHIERA
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1584
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36. Mentre Francesco attraversava una provincia, gli venne
incontro l'abate di un monastero, che lo venerava con profondo affetto. L'abate
scese da cavallo e si trattenne per qualche ora in conversazione con Francesco
parlando sulla salvezza dell'anima sua. Al momento del commiato, I'abate gli
chiese con viva devozione che pregasse per lui. Gli rispose Francesco: "
Lo farò volentieri ".
Quando l'abate fu un poco
lontano, il Santo disse al suo compagno: " Fratello, fermiamoci un
momento, perché voglio pregare per l'abate, come ho promesso ". E si
raccolse in orazione.
Era infatti abitudine di
Francesco, se qualcuno per devozione lo avesse richiesto di pregare Dio per la
salvezza della sua anima, di fare orazione più presto che poteva, per timore di
scordarsene.
L'abate intanto seguitava il suo
cammino. Non si era allontanato molto da Francesco, quando il Signore lo visitò
nel cuore. Un soave calore gli soffuse il volto e per un istante si sentì
elevato in estasi. Tornato in sé, subito si rese conto che Francesco aveva
pregato per lui, cominciò a lodare Dio, e fu ricolmo di letizia nel corpo e
nello spirito.
Da quel giorno provò per il Santo
una devozione più grande, poiché aveva sperimentato in se stesso l'alta santità
di Francesco. E finché visse considerò quello un grande miracolo, e più volte
raccontava l'accaduto ai fratelli e agli altri.
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MALATTIE DEL
SANTO. AMORE A CRISTO SOFFERENTE
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1585
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37. Francesco soffrì per lungo tempo e fino alla morte
malattie di fegato, di milza e di stomaco. Inoltre, quando si recò oltremare,
per predicare al soldano di Babilonia e d'Egitto, contrasse una gravissima
infermità agli occhi, a causa della intensa fatica durata nel viaggio,
soprattutto per la violenta calura affrontata andando e ritornando. Non volle
però farsi curare da nessuna di queste malattie, per quanto ne fosse pregato
dai suoi fratelli e da molti che ne sentivano pietà e dispiacere: e ciò per
l'ardente amore che fino dalla conversione portava a Cristo.
Per la gran tenerezza e
compassione che ogni giorno provava nel contemplare l'umiltà del Figlio di Dio
e nel seguirne gli esempi, quello che riusciva amaro per la sua carne, lo
accoglieva e sentiva come una dolcezza. E talmente si doleva ogni giorno delle
sofferenze e amarezze che Cristo soffri per noi, e tanto se ne affliggeva
nell'anima e nel corpo che non si curava dei propri malanni.
Una volta, pochi anni dopo la
conversione, mentre andava solitario lungo una via non molto distante dalla
chiesa della Porziuncola, piangeva e gemeva ad alta voce. Gli si fece incontro
un uomo spirituale, che noi abbiamo conosciuto e che ci narrò questo fatto.
Costui aveva testimoniato molta bontà e consolazione a Francesco, sia quando
non aveva alcun fratello, che in seguito. Sentendolo piangere, ne fu commosso e
gli chiese: " Cos'hai fratello? ". Pensava infatti che dolorasse per
qualche malattia. E Francesco: " Dovrei andare cosi per tutto il mondo,
piangendo e gemendo la passione del mio Signore, senza rispetto umano ".
QuelI'uomo allora cominciò a piangere forte e lacrimare con lui.
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IL LIBRO DELLA
CROCE
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1586
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38. Durante la sua malattia di occhi, era così tormentato
dalle sofferenze, che un giorno un ministro gli suggerì: " Fratello,
perché non ti fai leggere dal tuo compagno qualche brano dei Profeti o altri
passi della Scrittura? Il tuo spirito ne esulterebbe e ne ricaverebbe immensa
consolazione ". Sapeva che Francesco provava molta felicità nel Signore
quando gli si leggevano le divine Scritture.
Ma il Santo rispose: "
Fratello, io trovo ogni giorno una grande dolcezza e consolazione rimembrando e
meditando gli esempi di umiltà del Figlio di Dio, se anche vivessi sino alla
fine del mondo, non mi sarebbe necessario ascoltare o meditare altri brani
delle Scritture ".
Richiamava alla memoria e
ridiceva ai fratelli quel versetto di David: L'anima mia ricusa di essere
consolata. Dovendo essere, come affermava di frequente, modello ed esempio
a tutti i fratelli, non voleva far uso di medicine nelle sue malattie, e anzi
rifiutava perfino i cibi necessari. Per restare fedele a questo programma, era
duro con il proprio corpo, sia quando sembrava star bene, mentre era sempre
debole e malaticcio, sia durante le sue infermità.
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" VENITE A
VEDERE UN GHIOTTONE!"
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1587
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39. Mentre stava riprendendosi da una gravissima
malattia, pensandoci su, ebbe la sensazione di aver fruito di un trattamento
ricercato durante la degenza. In realtà aveva mangiato ben poco, poiché a causa
delle numerose, varie e lunghe infermità, quasi non riusciva ad alimentarsi.
Un giorno dunque si levò non
ancora libero dalla febbre quartana, e fece radunare il popolo d'Assisi nella
piazza per tenere una predica. Terminata che l'ebbe, ordinò ai presenti di non
allontanarsi fintanto che lui non tornasse da loro. Entrato nella chiesa di San
Rufino, scese nella cripta insieme con Pietro di Cattanio, che fu il primo
ministro generale eletto da lui, e con alcuni altri frati; e comandò a frate Pietro
che obbedisse senza contraddire a quanto voleva fosse fatto, o detto di sé. Gli
rispose frate Pietro: "Fratello io non posso né debbo volere, in quanto
concerne me e te, se non quello che ti piace ".
Allora Francesco si tolse la
tonaca e ordinò a frate Pietro di trascinarlo così nudo davanti al popolo, con
la corda che aveva al collo. Ad un altro frate comandò di prendere una scodella
piena di cenere, di salire sul podio dal quale aveva predicato, e di là
gettarla e spargerla sulla sua testa. Questo frate però, affranto dalla
compassione e dalla pietà, non gli obbedì. Pietro trascinava il Santo conforme
al comando ricevuto, ma piangendo ad alta voce assieme agli altri frati.
Quando fu arrivato così nudo
davanti al popolo nella piazza dove ebbe predicato, disse: " Voi credete
che io sia un sant'uomo, così come credono altri i quali, dietro il mio
esempio, lasciano il mondo ed entrano nell'Ordine. Ebbene, confesso a Dio e a
voi che durante questa mia infermità, mi sono cibato di carne e di brodo di
carne ".
Quasi tutti scoppiarono a
piangere per pietà e compassione verso di lui, soprattutto perché faceva gran
freddo ed era d'inverno, e Francesco non era ancora guarito dalla quartana. E
battendosi il petto si accusavano, dicendo: " Questo santo, esponendo il
suo corpo al vilipendio, si accusa di essersi curato in una necessità così
giusta ed evidente: e noi sappiamo bene la vita ch'egli conduce, poiché, per le
eccessive astinenze e austerità cui si abbandona dal giorno della conversione,
lo vediamo vivere in un corpo quasi morto. Che faremo noi infelici, che lungo
tutta la nostra esistenza siamo vissuti e vogliamo vivere assecondando le
voglie e i desideri della carne? ".
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CONTRO L'
IPOCRISIA
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1588
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40. Qualcosa di simile avvenne in altro tempo, allorché
fece la quaresima di san Martino in un romitaggio. Siccome l'olio riusciva
nocivo a Francesco nelle sue malattie, i fratelli condivano con lardo i cibi
che gli preparavano. Finita la quaresima, esordì con queste parole una predica
alla folla riunita non lontana da quell'eremo: " Voi siete venuti da me
con gran devozione e mi credete un santo uomo. Ma io confesso a Dio e a voi
che, durante questa quaresima, ho mangiato cibi conditi con lardo ".
Succedeva di frequente che, se i
frati o amici dei frati, mentre Francesco mangiava con loro, gli offrissero
qualche portata speciale per riguardo al suo stato di salute, egli si
affrettava a dichiarare, in casa o nell'uscire, davanti ai frati e alla gente
che non conosceva quel particolare: " Ho mangiato questi cibi ". Non
voleva restasse nascosto agli uomini, ciò che era noto agli occhi di Dio.
In qualunque luogo si trovasse,
in compagnia di religiosi o secolari, se gli avveniva di avere lo spirito
turbato da vanagloria, superbia o altro vizio, all'istante se ne confessava
dinanzi a loro, crudamente, senza cercare attenuanti. A questo proposito, un
giorno confidò ai suoi compagni: " Io voglio vivere nell'intimità con Dio
negli eremi e negli altri luoghi dove soggiorno, come se fossi sotto lo sguardo
degli uomini. Se la gente mi ritiene un santo e non conducessi la vita che a un
santo si addice, sarei un ipocrita ".
Una volta, d'inverno, per la sua
malattia di milza e per il freddo che pativa allo stomaco, uno dei compagni,
che era il suo "guardiano", acquistò una pelle di volpe e gli chiese
il permesso di cucirgliela all'interno della tonaca, sopra lo stomaco e la
milza, per ripararli dal gran freddo. Francesco in ogni tempo della vita da
quando cominciò a servire Cristo fino al giorno della morte, non volle avere né
indossare che soltanto una tonaca, rappezzata quando lo desiderava. Egli dunque
rispose:: " Se vuoi che io porti sotto la tonaca quella pelle, fai cucire
di fuori un pezzo di quella stessa pelle, affinché la gente veda bene che
dentro ho una pelliccia ".
Così fu fatto. Ma non la portò a
lungo, sebbene gli fosse necessaria per la salute.
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UN GUIZZO DI
VANITA'
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1589
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41. Camminava un'altra volta per Assisi accompagnato da
molta gente. Una vecchietta poverella gli chiese la elemosina per amore di Dio,
e lui le donò all'istante il mantello che portava sulle spalle. Subito confessò
ai presenti di aver provato un sentimento di vanagloria.
Di numerosi altri esempi simili
a questi, noi che siamo vissuti con lui e che li abbiamo visti e uditi, non
possiamo far parola, perché sarebbe troppo lungo narrarli per scritto.
L'aspirazione più alta e dominante di Francesco fu quella di non essere mai
ipocrita davanti a Dio.
Benché al suo fisico malato si
rendesse necessario un cibo più ricercato, considerando ch'era tenuto a
mostrare sempre il buon esempio ai fratelli e alla gente, per togliere ogni
ragione di mormorare e ogni cattiva impressione, preferiva sopportare
l'indigenza pazientemente e con buona voglia, anziché provvedere alla salute.
Fece così fino alla morte, anche
se, trattandosi meglio avrebbe ugualmente lodato Dio e dato buon esempio.
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IL CARDINAL
UGOLINO GLI ORDINA DI CURARSI
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1590
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42. Quando il vescovo di Ostia, che fu poi pontefice, si
accorse che Francesco era stato e seguitava a essere esageratamente duro con il
suo corpo, e soprattutto che cominciava a perdere la vista e non si arrendeva a
farsi curare gli rivolse quest'ammonizione, ispirata da molta pietà e premura:
" Fratello non fai bene a rifiutare che ti si curino gli occhi, perché la tua
salute e la tua vita è assai utile per te e per gli altri. Se hai tanta
compassione per i tuoi frati infermi e sempre ti sei preoccupato di loro, non
dovresti essere crudele verso te stesso, in questa tua grave ed evidente
necessità. Ti ordino pertanto di lasciarti aiutare e curare ".
Due anni prima di morire,
quand'era ormai gravemente infermo e soprattutto sofferente d'occhi, ebbe
dimora presso San Damiano in una celletta fatta di stuoie. Il ministro
generale, vedendolo così sofferente per il male d'occhi, gli comandò di
lasciarsi aiutare e curare. Aggiunse anzi che voleva essere presente di persona
quando il medico avrebbe cominciato il trattamento, per essere più sicuro della
cosa e anche per confortarlo, poiché era pieno di dolori. Ma faceva allora gran
freddo, e la stagione non era propizia per avviare la cura.
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NASCE IL CANTICO
DELLE CREATURE
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1591
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43. Francesco soggiornò a San Damiano per cinquanta
giorni e più. Non essendo in grado di sopportare di giorno la luce naturale, né
durante la notte il chiarore del fuoco, stava sempre nell'oscurità in casa e
nella cella. Non solo, ma soffriva notte e giorno così atroce dolore agli
occhi, che quasi non poteva riposare e dormire, e ciò accresceva e peggiorava
queste e le altre sue infermità.
Come non bastasse, se talora
voleva riposare e dormire, la casa e la celletta dove giaceva (era fatta di
stuoie, in un angolo della casa) erano talmente infestate dai topi, che
saltellavano e correvano intorno e sopra di lui, che gli riusciva impossibile
prender sonno; le bestie lo disturbavano anche durante l'orazione. E non solo
di notte, ma lo tormentavano anche di giorno; perfino quando mangiava, gli
salivano sulla tavola. Sia lui che i compagni pensavano che questa fosse una
tentazione del diavolo: e lo era di fatto.
Una notte, riflettendo Francesco
alle tante tribolazioni cui era esposto, fu mosso a pietà verso se stesso e
disse in cuor suo: " Signore, vieni in soccorso alle mie infermità,
affinché io possa sopportarle con pazienza! ". E subito gli fu detto in
spirito: " Fratello, dimmi: se uno, in compenso delle tue malattie e
sofferenze, ti donasse un grande prezioso tesoro, come se tutta la terra fosse
oro puro e tutte le pietre fossero pietre preziose e l'acqua fosse tutta
profumo: non considereresti tu come un niente, a paragone di tale tesoro, la
terra e le pietre e le acque? Non ne saresti molto felice? ".
Rispose Francesco: "
Signore, questo sarebbe un tesoro veramente grande e incomparabile, prezioso e
amabile e desiderabile ". La voce concluse: " Allora, fratello, sii
felice ed esultante nelle tue infermità e tribolazioni; d'ora in poi vivi nella
serenità, come se tu fossi già nel mio Regno ".
Alzandosi al mattino, disse ai
suoi compagni: " Se l'imperatore donasse un intero reame a un suo
servitore costui non ne godrebbe vivamente? Ma se gli regalasse addirittura
tutto l'impero, non ne godrebbe più ancora? ". E soggiunse: " Sì, io
devo molto godere adesso in mezzo ai miei mali e dolori, e trovare conforto nel
Signore, e render grazie sempre a Dio Padre, all'unico suo Figlio, il Signore
nostro Gesù Cristo e allo Spirito Santo, per la grazia e benedizione così
grande che mi è stata elargita: egli infatti si è degnato nella sua
misericordia di donare a me, suo piccolo servo indegno ancora vivente quaggiù,
la certezza di possedere il suo Regno.
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1592
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Voglio quindi, a
lode di Lui e a mia consolazione e per edificazione del prossimo, comporre una
nuova Lauda del Signore per le sue creature. Ogni giorno usiamo delle creature
e senza di loro non possiamo vivere, e in esse il genere umano molto offende il
Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo grande beneficio, e non
ne diamo lode, come dovremmo, al nostro Creatore e datore di ogni bene ".
E postosi a sedere, si concentrò
a riflettere, e poi disse:
" Altissimo,
onnipotente, bon Segnore... ".
Francesco compose
anche la melodia, che insegnò ai suoi compagni .
Il suo spirito era immerso in
così gran dolcezza e consolazione, che voleva mandare a chiamare frate Pacifico
--che nel secolo veniva detto "il re dei versi" ed era gentilissimo
maestro di canto--, e assegnargli alcuni frati buoni e spirituali, affinché
andassero per il mondo a predicare e lodare Dio.
Voleva che dapprima uno di essi,
capace di predicare, rivolgesse al popolo un sermone, finito il quale, tutti
insieme cantassero le Laudi del Signore, come giullari di Dio. Quando fossero
terminate le Laudi, il predicatore doveva dire al popolo: " Noi
siamo i giullari del Signore, e la ricompensa che desideriamo da voi è questa:
che viviate nella vera penitenza ".
E aggiunse: " Cosa sono i
servi di Dio, se non i suoi giullari che devono commuovere il cuore degli
uomini ed elevarlo alla gioia spirituale? ". Diceva questo riferendosi
specialmente ai frati minori, che sono stati inviati al popolo per salvarlo.
Le Laudi del Signore da lui composte e che cominciano: "
Altissimo, onnipotente, bon Segnore ", le intitolò: Cantico di fratello
Sole, che è la più bella delle creature e più si può assomigliare a Dio.
Per cui diceva: " Al mattino, quando sorge il sole, ogni uomo dovrebbe
lodare Dio, che ha creato quell'astro, per mezzo del quale i nostri occhi sono
illuminati durante il giorno. Ed a sera, quando scende la notte, ogni uomo
dovrebbe lodare Dio per quell'altra creatura: fratello Fuoco, per mezzo del
quale i nostri occhi sono illuminati durante la notte ".
Disse ancora: " Siamo tutti
come dei ciechi, e il Signore c'illumina gli occhi per mezzo di queste due
creature. Per esse e per le altre creature, di cui ogni giorno ci serviamo,
dobbiamo sempre lodare il Creatore glorioso ".
Egli fu sempre felice di
comportarsi così, fosse sano o malato, e volentieri esortava gli altri a lodare
insieme il Signore. Nei momenti che più era torturato dal male, intonava le
Laudi del Signore, e poi le faceva cantare dai suoi compagni, per
dimenticare l'acerbità delle sue sofferenze pensando alle Laudi del Signore.
E fece così fino al giorno della sua morte.
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LA STROFA DEL
PERDONO
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1593
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44. In quello stesso periodo, mentre giaceva malato,
avendo già composte e fatte cantare le Laudi, accadde che il vescovo di Assisi
allora in carica, scomunicò il podestà della città. Costui, infuriato, a titolo
di rappresaglia, fece annunziare duramente questo bando: che nessuno vendesse
al vescovo o comprasse da lui alcunché o facesse dei contratti con lui. A tal
punto erano arrivati a odiarsi reciprocamente .
Francesco, malato com'era, fu
preso da pietà per loro, soprattutto perché nessun ecclesiastico o secolare si
interessava di ristabilire tra i due la pace e la concordia. E disse ai suoi
compagni: " Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il vescovo e il
podestà si odino talmente l'un l'altro, e nessuno si prenda pena di rimetterli
in pace e concordia ". Compose allora questa strofa, da aggiungere alle Laudi:
Laudato si, mi Segnore,
per quilli ke perdonano per lo
tuo amore
e sustengu enfirmitate et
tribulacione.
Beati quilgli kel sosteranno in
pace
ka da te, Altissimo, sirano
coronati.
Poi chiamò uno dei compagni e
gli disse: " Vai, e di' al podestà da parte mia, che venga al vescovado
lui insieme con i magnati della città e ad altri che potrà condurre con sé ". Quel
frate si avviò, e il Santo disse agli altri due compagni: " Andate, e
cantate il Cantico di frate Sole alla presenza del vescovo e del podestà
e degli altri che sono là presenti. Ho fiducia nel Signore che renderà umili i
loro cuori, e faranno pace e torneranno all'amicizia e all'affetto di prima
".
Quando tutti furono riuniti
nello spiazzo interno del chiostro dell'episcopio, quei due frati si alzarono e
uno disse: " Francesco ha composto durante la sua infermità le Laudi
del Signore per le sue creature, a lode di Dio e a edificazione del
prossimo. Vi prego che stiate a udirle con devozione ". Così cominciarono
a cantarle. Il podestà si levò subito in piedi, e a mani giunte, come si fa
durante la lettura del Vangelo, pieno di viva devozione, anzi tutto in lacrime,
stette ad ascoltare attentamente. Egli aveva infatti molta fede e venerazione
per Francesco.
Finito il Cantico, il
podestà disse davanti a tutti i convenuti: " Vi dico in verità, che non
solo a messer vescovo, che devo considerare mio signore, ma sarei disposto a
perdonare anche a chi mi avesse assassinato il fratello o il figlio ".
Indi si gettò ai piedi del vescovo, dicendogli: " Per amore del Signore
nostro Gesù Cristo e del suo servo Francesco, eccomi pronto a soddisfarvi in
tutto, come a voi piacerà ".
Il vescovo lo prese fra le
braccia, si alzò e gli rispose: " Per la carica che ricopro dovrei essere
umile. Purtroppo ho un temperamento portato all'ira. Ti prego di perdonarmi
". E così i due si abbracciarono e baciarono con molta cordialità e
affetto.
I frati ne restarono molto
colpiti, constatando la santità di Francesco, poiché si era realizzato alla
lettera quanto egli aveva predetto della pace e concordia di quelli. Tutti
coloro che erano stati presenti alla scena e avevano sentito quelle parole,
ritennero la cosa un grande miracolo, attribuendo ai meriti di Francesco che il
Signore avesse così subitamente toccato il cuore dei due avversari. I quali,
senza più ricordare gli insulti reciproci, tornarono a sincera concordia dopo
uno scandalo così grave.
E noi, che siamo vissuti con
Francesco, testimoniamo che ogni qual volta egli predicesse: " Questa cosa
è così, sarà così ", immancabilmente si realizzava alla lettera. E ne
abbiamo visto con i nostri occhi tanti esempi, che sarebbe lungo scrivere e
narrare.
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UN CANTICO PER LE
CLARISSE
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1594
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45. Sempre in quei giorni e nello stesso luogo, dopo che
Francesco ebbe composto le Laudi del Signore per le sue creature, dettò altresì
alcune sante parole con melodia, a maggior consolazione delle povere signore
del monastero di San Damiano, soprattutto perché le sapeva molto contristate
per la sua infermità. E poiché, a causa della malattia, non le poteva visitare
e consolare personalmente, volle che i suoi compagni portassero e facessero
sentire alle recluse quel canto.
In esso, Francesco si proponeva
di manifestare alle sorelle, allora e per sempre, il suo ideale: che cioè
fossero un solo cuore nella carità e convivenza fraterna, poiché quando i frati
erano ancora pochi, esse si erano convertite a Cristo, dietro l'esempio e i
consigli di lui, Francesco. La loro conversione e santa vita è gloria ed
edificazione non solo dell'Ordine dei frati, di cui sono pianticella, ma anche
di tutta la Chiesa di Dio.
Perciò, sapendo Francesco che le
sorelle, fino dai primordi, avevano condotto e conducevano una vita dura e
povera, sia per volontà propria sia per necessità, il suo animo si volgeva con
sentimenti di pietà e amore verso di loro. Perciò in quel canto le pregava
perché, dal momento che il Signore le aveva riunite da molte parti nella santa
carità, nella santa povertà e nella santa obbedienza, continuassero a vivere e
morire in queste virtù.
E raccomandava specialmente che,
usando le elemosine che il Signore inviava loro, provvedessero con saggia
discrezione, con gioia e gratitudine alle necessità dei loro corpi, e che le
sorelle sane portassero pazienza nei travagli che duravano per curare le
ammalate, e queste fossero pazienti nelle infermità e privazioni che pativano.
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SUA RIPUGNANZA A
FARSI CURARE
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46. All'avvicinarsi della stagione favorevole per curare
il male d'occhi, Francesco lasciò quel luogo, benché la sua infermità fosse
peggiorata. Teneva la testa avvolta in un grande cappuccio confezionato dai
frati, e siccome non poteva sopportare la luce del giorno a causa degli acerbi
dolori che gli provocava, portava sugli occhi una fascia di lana e di lino
cucita col cappuccio. I compagni, accomodatolo sopra una cavalcatura, lo
condussero all'eremitaggio di Fonte Colombo presso Rieti, per consultare un
medico di questa città, esperto nel curare le oftalmie.
Venne il medico all'eremitaggio
e disse a Francesco che bisognava cauterizzarlo dalla mascella al sopracciglio
dell'occhio più malato. Ma il Santo non voleva s'incominciasse il trattamento
prima che arrivasse frate Elia.
Lo stette ad aspettare, ma
quello non poteva venire, per i molti impegni che lo trattenevano. Così
Francesco restava incerto se cominciare o no. Finalmente, pressato dalla
necessità, soprattutto per l'ingiunzione del vescovo di Ostia e del ministro
generale, si indusse a obbedire. Egli provava un forte disagio a preoccuparsi
di se stesso, per questo desiderava che tale incombenza cadesse sul suo
ministro.
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" IL SIGNORE
VI RICOMPENSERA' "
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47. Una notte che non riusciva a dormire per i dolori,
preso da compassione e pietà, disse ai compagni: << Carissimi fratelli e
figli miei, non abbiate fastidio e pena nell'assistermi in questa malattia. Il
Signore vi renderà in questo mondo e nell'altro il frutto delle fatiche che
avete durato per me, suo servo. Egli vi rimeriterà anche di quello che vi tocca
tralasciare per accudire a me. Anzi, per questo servizio che mi rendete,
riceverete una ricompensa maggiore di quella data a chi si impegna per il bene
di tutto l'Ordine.
Ditemi:--Noi facciamo delle
spese per te, ma al tuo posto sarà Dio il nostro debitore!-- ".
Così parlava il padre santo,
allo scopo di incoraggiare e stimolare la fiacchezza e debolezza di spirito dei
compagni, affinché, provati dalla stanchezza, non avessero a dire: " Ecco,
non riusciamo più a pregare e nemmeno a sopportare questa fatica! ". E
presi da scoramento e noia, non perdessero il merito di quella fatica.
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CAUTERIZZAZIONE
INDOLORE
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48. Un giorno arrivò il medico, portando il ferro con cui
eseguiva le cauterizzazioni per il male d'occhi. Per arroventarlo fece
accendere il fuoco e ve lo mise dentro.
Intanto Francesco, allo scopo di
irrobustire il suo spirito contro la paura, parlò al fuoco: " Fratello mio
Fuoco nobile e utile fra le creature dell'Altissimo, sii cortese con me in
quest'ora. Io ti ho sempre amato, e ancor più ti amerò, per amore di quel
Signore che ti ha creato. E prego il nostro Creatore che temperi il tuo ardore,
in modo che io possa sopportarlo ". Finita l'orazione, tracciò sul fuoco
il segno della croce. Noi che eravamo con lui fuggimmo, tutti, sopraffatti
dalla emozione e dalla pietà; restò con lui soltanto il medico.
Dopo eseguito l'intervento,
tornammo da lui, che ci disse: " Paurosi e uomini di poca fede, perché
siete scappati? In verità vi dico che non ho provato nessun dolore nemmeno il
calore del ferro infuocato. Anzi, se non sono cotto bene, mi si cuoccia
meglio".
L'oculista restò trasecolato, e
tenne la cosa per grande miracolo, poiché Francesco, durante l'operazione, non
si era neanche mosso. E commentò: " Fratelli, vi dico che non solo costui,
che è così debole e malato, ma temerei che una bruciatura simile non riuscirebbe
a sopportarla neppure un uomo vigoroso e sano, come già ho sperimentato in
alcuni casi ".
La cauterizzazione in effetti
era stata lunga, cominciando da presso l'orecchio fino al sopracciglio, per
arrestare il copioso umore che giorno e notte da molti anni scendeva agli
occhi. Perciò fu necessario, a parere di quel medico incidere tutte le vene,
dall'orecchio al sopracciglio. Altri sanitari erano invece dell'idea che tale
intervento fosse controindicato; e fu vero, poiché l'operazione non giovò a
nulla. Un altro medico gli perforò entrambi gli orecchi, ma ugualmente senza
risultato.
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STRAORDINARIO
RISPETTO PER IL FUOCO
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49. Non deve stupire che il fuoco e le altre creature
talvolta lo onorassero. Come abbiamo visto noi, vissuti con lui, Francesco aveva
un grande affettuoso amore e rispetto per esse, e gli procuravano tanta gioia.
Dimostrava a tutte le creature così spontanea pietà e comprensione che quando
taluno le trattava senza riguardi, egli ne soffriva. Parlava con esse con così
grande letizia, intima ed esteriore come ad esseri dotati di sentimento,
intelligenza e parola verso Dio, che molto spesso, in quei momenti, egli era
rapito nella contemplazione di Dio.
Una volta che stava seduto
presso il fuoco, questo si attaccò ai suoi panni di lino lungo la gamba, senza
che Francesco se ne avvedesse. Cominciò a sentirne il calore, ma il compagno,
notando che i panni bruciavano, corse per spegnere il fuoco. Gli disse il
Santo: " Carissimo fratello, non far male a fratello Fuoco! >>, e non
gli permetteva in alcun modo di spegnerlo. Allora quello si precipitò dal frate
"guardiano" di Francesco e lo condusse da lui. E così, contro la
volontà del Santo, il fuoco fu estinto.
Non voleva mai spegnere la
candela, la lampada o il fuoco, come si suol fare quando occorre: tanta era la
pietà e affettuosità che portava a questa creatura. Nemmeno voleva che un frate
gettasse via il fuoco o i tizzi fumiganti, come si fa d'abitudine; ma
raccomandava che si ponesse delicatamente per terra, in reverenza di Colui che
lo ha creato.
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LA CELLA IN FIAMME
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1599
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50. Mentre faceva la quaresima sul monte della Verna, un
giorno, all'ora della refezione, uno dei suoi compagni accese il fuoco nella
cella in cui Francesco veniva per mangiare. Acceso che fu andò nella celletta
dove il Santo usava pregare e riposarsi per leggergli il brano di Vangelo
assegnato alla Messa di quel giorno. Infatti, Francesco, prima del pasto,
voleva sempre ascoltare il Vangelo del giorno, quando non aveva potuto
partecipare alla Messa.
Quando arrivò per prendere cibo
nella cella dov'era stato acceso il fuoco, già le fiamme erano salite al tetto
e lo stavano bruciando. Il compagno cercava di spegnere l'incendio, ma da solo
non riusciva; Francesco non voleva aiutarlo, anzi prese una pelle con cui si
copriva di notte, e si addentrò nella selva.
Intanto i frati del luogo,
sebbene dimoranti lontano da quella celletta costruita fuori mano, accorgendosi
che stava bruciando, accorsero ed estinsero l'incendio. Francesco tornò più
tardi per mangiare. Dopo il pasto disse al compagno: " Non voglio più
stendere su di me questa pelle, poiché, per colpa della mia avarizia, non ho
concesso a fratello Fuoco di divorarla ".
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ALTRI SEGNI D'
AMORE PER LE CREATURE
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1600
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51. Quando si lavava le mani, sceglieva un posto dove
l'acqua non venisse pestata con i piedi.
E se gli toccava camminare sulle
pietre, si moveva con delicatezza e riguardo, per amore di Colui che è chiamato
"Pietra". Allorché recitava il versetto del salmo: Sulla pietra mi
hai innalzato, lo trasformava per devozione e reverenza così: " Sotto
i piedi della pietra mi hai innalzato ".
Al frate che andava a tagliare
la legna per il fuoco, raccomandava di non troncare interamente l'albero, ma di
lasciarne una parte. Diede quest'ordine anche a un fratello del luogo dove egli
soggiornava.
Diceva al frate incaricato
dell'orto, di non coltivare erbaggi commestibili in tutto il terreno, ma di
lasciare uno spiazzo libero di produrre erbe verdeggianti, che alla stagione
propizia producessero i fratelli fiori. Consigliava alI'ortolano di adattare a
giardino una parte dell'orto, dove seminare e trapiantare ogni sorta di erbe
odorose e di piante che producono bei fiori, affinché nel tempo della fioritura
invitino tutti quelli che le guardano a lodare Dio, poiché ogni creatura
sussurra e dice: " Dio mi ha fatta per te, o uomo ".
Noi che siamo vissuti con lui,
lo abbiamo visto sempre dilettarsi intimamente ed esteriormente di quasi ogni
creatura: le toccava, le guardava con gioia, così che il suo spirito pareva
muoversi in cielo, non sulla terra.
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1601
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Questo è evidente
e vero, che cioè Francesco ricevette molte consolazioni dalle creature di Dio.
Infatti, poco prima della morte, egli compose le Laudi del Signore per le sue
creature, allo scopo d'incitare il cuore degli ascoltatori alla lode di Dio, e
perché il Creatore sia esaltato nelle sue creature.
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GENEROSITA' Dl
FRANCESCO
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1602
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52. In quello stesso torno di tempo, una donna poverella
di Machilone venne a Rieti per farsi curare gli occhi. E un giorno che il
medico si recò da Francesco, ebbe a riferirgli: " Fratello, è venuta da me
una donna malata agli occhi; ma è talmente povera, che mi tocca curarla per
amor di Dio, e pagarle io le spese ".
Al sentire questo, Francesco fu preso da
compassione per quella infelice e, chiamato a sé uno dei compagni, precisamente
il suo "guardiano", gli disse: " Frate guardiano, dobbiamo
restituire la roba d'altri ". Quello osservò: " E quale sarebbe,
fratello? ". Replicò il Santo: " Questo mantello che abbiamo preso in
prestito da quella donna poverella e malata d'occhi: dobbiamo renderglielo
". Concluse il guardiano: " Fratello, fai pure quello che ti par
meglio ".
Allora Francesco, tutto felice,
fa venire un uomo spirituale, con cui era in intimità, e gli dice: "
Prendi questo mantello e dodici pani, va' e dirai a quella donna povera e
inferma, che l'oculista ti indicherà: "Il povero, al quale tu hai prestato
questo mantello, ti ringrazia di cuore del prestito fatto. E adesso, riprendi
quello che ti appartiene" ".
L'amico andò e disse alla donna le parole
suggeritegli da Francesco. Quella però, non riuscendo a raccapezzarsi, presa da
sospetto e disagio, rispose: " Lasciami in pace. Non so cosa stai dicendo
". Ma quello le mise in mano il mantello con i dodici pani. La donna,
constatando che diceva sul serio, prese il dono tra preoccupata e felice. E,
temendo non gli venisse tolto, si alzò nascostamente di notte e tornò tutta
contenta a casa sua. Francesco aveva incaricato il suo guardiano di pagare le
spese della povera malata ogni giorno, finché fosse rimasta a Rieti.
Noi che siamo vissuti con lui,
possiamo testimoniare che Francesco, sano o infermo che fosse, traboccava di
amore e tenerezza non solo verso i suoi frati, ma verso tutti i poveri, tanto
in buona salute che ammalati. Si privava del necessario, che i fratelli gli
procuravano con sollecitudine e affetto, --non senza mostrarsi carezzevole con
noi, affinché non ne rimanessimo male,--per offrirlo con molta gioia agli
altri, sottraendo al proprio corpo anche ciò che gli era indispensabile.
Per ovviare a questo, il
ministro generale e il suo guardiano gli avevano comandato di non cedere la
tonaca ad alcun frate senza il loro permesso. In effetti, sospinti da devozione
verso Francesco, i frati talvolta gliela chiedevano, e lui la regalava
immediatamente. Talora lui stesso, vedendo qualche frate malaticcio o
malvestito, gli dava la propria tonaca, magari dividendola, e parte donando,
parte tenendo per sé. Infatti non indossava e non voleva avere a disposizione
che una tonaca sola.
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DONA LA TONACA A
DUE FRATI FRANCESI
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1603
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53. Una volta che percorreva una regione predicando,
accadde che due frati francesi gli si fecero incontro, traendone una profonda
consolazione. Al momento del commiato, gli chiesero, spinti da devozione, la
sua tonaca per amore di Dio. E Francesco, appena ebbe udito invocare l'amore di
Dio, si tolse il saio, e rimase nudo per qualche ora.
Era infatti suo costume, quando
gli si diceva: " Per amore di Dio, dammi la tonaca o la corda " o
altro ch'egli portava, di donarlo immediatamente per riverenza a quel Signore
che è chiamato: "carità". Ma gli dispiaceva tanto, e ne faceva
rimprovero ai frati allorché udiva nominare l'amor di Dio per ogni sciocchezza.
Diceva: " Così sublime è l'amor di Dio, che solo raramente e in caso di
gran necessità deve esser nominato, e sempre con molta venerazione ".
Quella volta, uno dei frati
presenti, si spogliò della propria tonaca e la diede al Santo.
Molto spesso si trovava a
sopportare disagio e imbarazzo, quando regalava la sua tonaca per intero o in
parte. Non era infatti facile trovare, da un momento all'altro, un'altra tonaca
o farsela confezionare, soprattutto perché voleva avere e indossare sempre una
misera tonaca, fatta di pezze cucite insieme, e talvolta rappezzata dentro e
fuori. Solo raramente o mai si adattava a ricevere e portare un saio di panno
nuovo. Preferiva procurarsi da qualche fratello una tonaca già logora per
l'uso; e alle volte ricevere parte della tonaca da uno, parte da un altro.
All'interno del saio, a cagione delle sue molte infermità e perché soffriva
tanto il freddo, cuciva talora una pezza di panno nuovo.
Egli osservò questa pratica di
povertà nelle vesti fino all'anno in cui migrò al Signore. Pochi giorni prima
della morte, com'era sofferente di idropisia e ridotto a pelle e ossa, oltre
che tormentato da altre infermità, i frati gli confezionarono più tonache, per
potergliele mutare notte e giorno secondo ne avesse bisogno.
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ALTRI ESEMPI DI
GENEROSITA'
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1604
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54. Un'altra volta un mendicante miseramente vestito
giunse ad un eremo di frati, e chiese loro per amor di Dio qualche pezza.
Francesco disse a un fratello di cercare nella casa qualche panno o stoffa da
regalare a quel povero. Quello perlustrò la dimora e tornò dicendo di non aver
trovato nulla.
Affinché il mendico non dovesse
ripartire a mani vuote, Francesco si recò in disparte, cercando di non farsi
notare nel timore che il guardiano glielo proibisse, prese un coltello, si mise
seduto e cominciò a tagliare una pezza che stava cucita all'interno della
tonaca, con l'intenzione di darla segretamente al povero. Ma il guardiano, che
aveva intuito in un baleno cosa stava per fare il Santo, venne da lui e gli
vietò di staccare quel panno, soprattutto perché il tempo era assai rigido e
Francesco era malato e molto sensibile al freddo. Rispose il Santo: " Se
vuoi che non gliela dia, è indispensabile che tu faccia regalare una pezza al
fratello povero ". Così i frati, incitati da Francesco, donarono a colui
un po' di stoffa tolta alle loro vesti.
Talora i frati gl'imprestavano
un mantello, quando andava per il mondo a predicare, a piedi o in groppa a un
asino. Bisogna sapere che Francesco, dal momento che cominciò a non star bene,
non riusciva più a fare la strada a piedi, e perciò gli era necessario servirsi
di un asino. Non volle il cavallo, tranne in casi di stretta e grave necessità;
e vi si arrese solo poco innanzi la sua morte, allorché il suo stato di salute
ormai precipitava.
Non voleva accettare il
mantello, se non a condizione di poterlo regalare a qualche povero che
incontrava o che veniva da lui, e lo Spirito gli faceva capire che del mantello
aveva vero bisogno.
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IL MANTELLO Dl
EGIDIO
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1605
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55 Nei primordi dell'Ordine, quando Francesco abitava
presso Rivotorto con i due soli fratelli che aveva allora, un uomo, che sarebbe
stato il terzo compagno, abbandonò il mondo per abbracciare la nuova vita.
Restò alcuni giorni in quel luogo, seguitando a indossare i suoi vestiti
consueti .
Si presentò un povero a chiedere
l'elemosina a Francesco. Questi si rivolse a colui che stava per diventare il
terzo fratello: " Dona il tuo mantello al fratello povero! ". E lui
all'istante se lo tolse di dosso e glielo diede. Sentì allora che il Signore
gli comunicava in cuore d'improvviso come una nuova grazia, poiché aveva donato
con gioia il mantello al povero.
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DONA IL NUOVO
TESTAMENTO
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1606
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56. Un'altra volta, mentre dimorava presso la chiesa
della Porziuncola, una donna anziana e poverella che aveva due figli
nell'Ordine, venne a quel luogo a chiedere l'elemosina a Francesco: la
poveretta in quell'anno non aveva di che vivere. Il Santo si rivolse a Pietro
di Cattanio, allora ministro generale: " Possiamo avere qualcosa da dare
alla nostra madre? ".
Francesco affermava che la madre
di un frate era madre sua e di tutti gli altri frati.
Gli rispose Pietro: " In
casa non abbiamo niente da poterle dare, oltre tutto vorrebbe una elemosina
considerevole da cui trarre il necessario per vivere. In chiesa abbiamo
soltanto un Nuovo Testamento, che ci serve per le letture a mattutino ".
Di fatto, a quel tempo i frati
non avevano breviari, e neppure molti salteri.
Francesco riprese: " Da' a
nostra madre il Nuovo Testamento, che lo venda per far fronte alle sue
necessità. Credo fermamente che piacerà più al Signore e alla beata Vergine
Madre sua se doniamo questo libro, anziché farci delle letture ". E così
glielo regalò.
A proposito di Francesco può
essere detto e scritto quel che viene detto e letto di Giobbe: La bontà è
uscita dalI'utero di mia madre, ed è cresciuta con me. Per noi, che siamo
vissuti con lui, sarebbe troppo lungo scrivere e narrare non solo quanto
abbiamo appreso da altri sulla sua carità e comprensione verso i bisognosi, ma
anche quello che abbiamo visto con i nostri occhi.
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GUARIGIONE DEI BUOI
DI SANT' ELIA
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1607
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57. Durante un suo soggiorno nell'eremitaggio di Fonte
Colombo, scoppiò una epidemia dei bovini, detta dal popolo
"basabove", e da cui le bestie solitamente non scampano. Il contagio
si abbatté sui bovini del paese di Sant'Elia, situato nei paraggi di
quell'eremo, così che gli animali cominciarono ad ammalarsi e morire.
Una notte fu detto in visione a
un uomo spirituale di quel villaggio: " Va' al romitorio dove dimora il
beato Francesco, fatti dare l'acqua dove si è lavato mani e piedi, e aspergila
sopra tutti i bovini, e saranno liberati all'istante ". Allo spuntar del
giorno quell'uomo si levò e venuto all'eremo disse la cosa ai compagni di
Francesco. Costoro, raccolsero in un recipiente l'acqua con cui si era lavato
le mani all'ora del pranzo; e di nuovo, a sera, lo pregarono di lasciarsi
lavare i piedi, senza nulla rivelargli della loro intenzione. Il recipiente con
l'acqua fu consegnato all'uomo, che lo portò con sé e ne asperse, come si fa
con l'acqua benedetta, gli animali che giacevano moribondi e gli altri tutti.
Immediatamente, per grazia del Signore e per i meriti di Francesco, tutti
furono liberati dalla malattia.
A quel tempo, Francesco aveva le
cicatrici alle mani, ai piedi e al petto.
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IL CANONICO
GEDEONE
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1608
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58. Allorché Francesco, sofferente per il male d'occhi si
trattenne per alcuni giorni nel palazzo del vescovo di Rieti, un ecclesiastico
di quella diocesi, di nome Gedeone (58), uomo molto mondano, giaceva infermo
per una grave e molto dolorosa affezione ai reni. Non riusciva a muoversi e
girarsi nel letto, se non aiutato, né poteva alzarsi e camminare, se non
sorretto da più persone. Quando lo portavano così, andava curvo, e quasi
contratto per il dolore dei reni, e non era in grado di stare dritto.
Un giorno, fattosi portare da
Francesco, si accasciò ai suoi piedi e lo pregava con molte lacrime che gli
facesse il segno della croce. Gli disse Francesco: " Come posso tracciare
questo segno su te, che in passato sei vissuto sempre secondo le brame della carne,
senza pensare ai giudizi di Dio né temerli? ". Ma vedendolo così
tormentato dalla grave malattia e da atroci dolori, il Santo fu preso da
compassione e gli disse: " Io ti segno nel nome del Signore. Però, se a
Lui piacerà guarirti, bada di non tornare al vomito. Ti dico in verità che, se
tornerai al vomito, ti capiteranno mali peggiori dei primi. Inoltre incorrerai
in una durissima condanna a causa dei tuoi peccati, ingratitudini e disprezzi
della bontà del Signore ".
Fatto che ebbe Francesco il segno
della croce su colui, subito Gedeone si raddrizzò, libero dal suo male. E nel
drizzarsi, le sue ossa scricchiolarono come quando uno spacca della legna secca
con le mani.
Ma dopo pochi anni,
Gedeone ritornò alla sua mala vita, senza badare alle parole rivoltegli dal
Signore per bocca del suo servo Francesco. Così gli accadde che un giorno,
mentre era a cena in casa di un altro canonico suo collega, e la notte dormiva
colà, il tetto dell'abitazione crollò d'improvviso su tutti gli inquilini: gli
altri scamparono da morte, solo quello sventurato fu colpito in pieno e morì.
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I CAVALIERI
INVITATI A MENDICARE
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1609
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59. Dopo un soggiorno a Siena e a Celle di Cortona, venne
Francesco presso la chiesa della Porziuncola, e di qui si recò poi nel luogo di
Bagnara, sopra la città di Nocera, per dimorarvi. Colà era stata appena
costruita una casa per i frati, e il Santo vi abitò molti giorni. Il suo stato
si aggravò sensibilmente, avendo cominciato ad enfiarsi per l'idropisia i suoi
piedi e anche le gambe.
Quando gli assisani ne furono
informati, mandarono in gran fretta a Bagnara dei cavalieri, con l'incarico di
ricondurre il Santo ad Assisi, nel timore che venisse a morire lontano ed altri
s'impossessassero del suo santo corpo.
Mentre dunque riconducevano il malato,
la comitiva fece una sosta per il desinare in un borgo del contado di Assisi.
Francesco con i compagni si fermò nella casa d'un uomo del paese, che lo
ricevette con molta gioia e affetto. Intanto, i cavalieri giravano per il
borgo, per comprarsi delle provviste, ma non trovarono nulla. Tornati da
Francesco, gli dissero in tono di scherzo: " Fratello, è necessario che ci
diate delle vostre elemosine, poiché non ci riesce di trovare nulla da
acquistare ".
Francesco replicò loro con
grande slancio spirituale: " Non avete trovato niente proprio perché
confidate nelle vostre mosche, cioè nel denaro, e non in Dio. Ma tornate per le
case dove siete passati per fare le compere, e senza vergognarvi domandate
l'elemosina per amor di Dio. Il Signore ispirerà quelle persone, e riceverete
in abbondanza ".
Quelli andarono e chiesero
l'elemosina, come aveva raccomandato il padre santo. Uomini e donne diedero
loro generosamente e con la gioia più viva ciò che avevano. I cavalieri
tornarono tutti contenti da Francesco, e gli raccontarono l'accaduto. Essi lo
tennero per gran miracolo, giacché si era realizzato alla lettera quanto aveva
loro predetto il Santo.
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ELOGIO DELLA
MENDICITA'
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1610
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60. Secondo Francesco, chiedere l'elemosina per amor del
Signore Dio era il gesto più nobile, elevato e dignitoso, davanti a Dio e anche
davanti al mondo. E infatti, tutto ciò che il Padre celeste ha creato per
l'utilità degli uomini, continua a donarcelo gratuitamente anche dopo il
peccato, ai degni come agli indegni, per l'amore ch'Egli porta al suo Figlio
diletto.
Perciò Francesco ripeteva che il
servo di Dio deve chiedere l'elemosina per amor del Signore Dio più francamente
e gioiosamente che non farebbe un uomo il quale, volendo comprare qualcosa,
sospinto da cortesia e generosità, andasse dicendo: " Per una cosa che
vale un denaro, io verserò cento marchi d'argento! ". Anzi, mille volte di
più. Poiché il servo di Dio offre al benefattore, in cambio dell'elemosina,
I'amore di Dio, a confronto del quale tutte le cose del mondo e anche quelle
del cielo sono un nulla.
Prima che i frati fossero
diventati numerosi, e anche dopo che furono moltiplicati, quando Francesco
andava per il mondo a predicare, in molte città e paesi dove si recava non
c'erano allora luoghi dei frati; succedeva quindi che qualche personaggio
nobile e ricco lo pregava gentilmente di venire a mangiare e alloggiare In casa
sua.
Il Santo sapeva bene che il suo
ospite aveva approntato in quantità tutto ciò che era necessario al suo corpo,
per amore del Signore Dio. Tuttavia, sia per dare buon esempio ai fratelli, sia
per riguardo alla nobiltà e dignità della signora Povertà, all'ora del pasto
andava a mendicare. E talvolta spiegava a colui che lo aveva invitato: "
Io non voglio abdicare alla mia dignità regale, né alla eredità e vocazione e
professione mia e dei frati minori: cioè di recarmi all'elemosina. Non ne
ricavassi che tre frustoli di pane, poco importa, poiché voglio esercitare la
mia professione ".
E così, contro il volere
dell'ospite, egli usciva alla cerca. E l'invitante gli andava appresso e
riceveva le elemosine che Francesco raccoglieva, conservandole poi come
reliquie, per devozione verso il Santo.
Colui che sta scrivendo, ha
visto molte volte fatti simili, e ne rende testimonianza.
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ALLA MENSA DEL
CARDINALE UGOLINO
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1611
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61. In altra occasione, Francesco, andato a far visita al
vescovo di Ostia, più tardi eletto papa, all'ora del desinare scivolò fuori
casa a questuare, ma di nascosto per riguardo al vescovo. Costui, quando
Francesco rientrò, stava assiso a mensa e aveva incominciato a mangiare, poiché
aveva invitato anche alcuni cavalieri, suoi consanguinei.
Il Santo depose le elemosine
sulla tavola del vescovo, poi venne a sederglisi vicino. Il prelato infatti,
quando Francesco era suo ospite, voleva che all'ora dei pasti prendesse posto
al suo fianco. Quella volta rimase un po' male, per il fatto che il Santo era
andato alla cerca; però, per riguardo ai commensali, non gli disse nulla.
Dopo che Francesco ebbe mangiato
qualcosa, prese le elemosine e ne distribuì un poco a ciascuno dei cavalieri e
dei cappellani del vescovo, come dono da parte del Signore Dio. Tutti lo
ricevettero con molta devozione. Alcuni lo consumarono, altri lo riposero con
un senso di venerazione. Anzi, si levarono il cappello in segno di rispetto a
Francesco, nel momento che lo ricevevano. Ugolino fu ricolmo di gioia nel
vedere tanta devozione, soprattutto perché quei frustoli non erano pane di
frumento.
Dopo il pranzo, il prelato si
alzò ed entrò nella sua camera conducendo con sé Francesco. E levando le
braccia, strinse a sé il Santo in uno slancio di gioia esultante, dicendogli
però: " Ma perché, fratello mio semplicione, mi hai fatto 1'affronto di
uscire per la questua mentre stai in casa mia, che è casa dei tuoi frati?
". Rispose Francesco: " Al contrario, signore: io vi ho reso un
grande onore. Invero, quando un suddito esercita la sua professione e compie
l'obbedienza dovuta al suo signore, egli onora il signore e insieme il
rappresentante di lui ".
E aggiunse: " Io devo
essere modello ed esempio dei vostri poveri, perché so che nella vita e
nell'Ordine dei frati, ci sono e saranno dei frati minori di nome e di fatto, i
quali per amor del Signore Dio e per ispirazione dello Spirito Santo, che
insegna e insegnerà loro ogni cosa, sapranno umiliarsi a ogni genere dl umiltà,
sottomissione e servizio del propri fratelli. Ma ci sono e saranno di quelli
che, trattenuti da vergogna e mala abitudine, hanno e avranno a noia di
umiliarsi e abbassarsi a mendicare e adattarsi ad altre umili occupazioni. E
mio dovere istruire con il comportamento i frati che sono e saranno
nell'Ordine, affinché siano senza scusa davanti a Dio, sia in questo che
nell'altro mondo.
E quando sono ospite in casa
vostra, che siete nostro signore e papa, o nella dimora di magnati e ricchi,
che per amor di Dio mi offrono con molta devozione e anzi mi impongono la loro
ospitalità, io non voglio arrossire di andare alla questua, ma ritenere ciò un
titolo di gran nobiltà, una dignità regale, un onore che mi fa il sommo Re.
Egli, Signore di tutti, ha voluto per slancio di amore diventare il servo di
tutti; ricco e glorioso nella sua maestà divina, è venuto nella nostra umanità
povero e disprezzato.
Per questo voglio che i frati
presenti e futuri sappiano come godo la più gran consolazione di corpo e di
spirito allorché siedo alla povera mensa dei frati e mi vedo dinanzi le
poverelle elemosine accattate di porta in porta per amor del Signore Dio, che
quando sto alla mensa vostra e di altri personaggi grandi, carica di ogni
genere di cibi, sebbene mi vengano o~erti con sincera devozione. Il pane
dell'elemosina è pane santo, santificato dalla lode e dall'amore di Dio. Quando
infatti il fratello va alla questua deve dire: " Sia lodato e benedetto il
Signore Dio! ", e poi soggiungere: " Fateci l'elemosina per amore del
Signore Dio "".
E il vescovo di Ostia,
profondamente edificato da questa elevazione del padre santo, gli rispose:
" Figlio, fai quello che ti sembra meglio, poiché il Signore è con te e tu
con Lui ".
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FRATE MOSCA, IL PARASSITA
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1612
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62. Fu volontà di Francesco, da lui espressa più volte,
che un frate non dovesse stare lungo tempo senza andare alI'elemosina, per non
lasciarsi penetrare dalla vergogna. Più un frate era stato di condizione
elevata nel secolo, più Francesco era edificato e felice nel vederlo uscire per
mendicare e accudire a compiti umili, per il buon esempio che dava. Così si
soleva fare nel tempo antico.
Appunto nei primordi
dell'Ordine, quando i frati dimoravano presso Rivotorto, c'era uno di loro che
poco pregava, non lavorava e si rifiutava di andare alla cerca perché si
vergognava: mangiava forte, però.
Considerando una simile
condotta, Francesco capì con la luce dello Spirito Santo che quello era un uomo
carnale. E gli rivolse queste parole: " Va' per la tua strada, fratello
Mosca! Tu vuoi mangiare il lavoro dei tuoi fratelli, ma sei ozioso nel servizio
di Dio. Sei come il fuco, che non lavora né raccoglie, e divora il frutto della
fatica delle api operose ".
Quel tale se ne andò per la sua
strada, senza nemmeno chiedere scusa, da quell'uomo carnale che era.
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BACIA LA SPALLA
DEL QUESTUANTE
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1613
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63. In altro tempo, un frate molto spirituale se ne
tornava un giorno da Assisi alla Porziuncola con l'elemosina. Francesco soggiornava
in quel luogo. Camminando quello sulla strada vicina alla chiesa, cominciò a
lodare Dio ad alta voce, pieno di gioia.
Udendolo, Francesco gli uscì
incontro sulla strada, e con grande letizia gli baciò la spalla da cui pendeva
la bisaccia con le elemosine. E toltagliela di dosso, se la mise sulla spalla e
la portò nella dimora dei frati, dicendo loro: " Così voglio che il mio
frate vada alla questua e ne ritorni: felice ed esultante! ".
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GIOIA DEL SANTO
VICINO ALLA MORTE
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1614
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64. Nei giorni in cui Francesco, appena tornato dal luogo
di Bagnara, giaceva gravemente infermo nel palazzo vescovile di Assisi, gli
abitanti della città, temendo che, se il Santo venisse a morire di notte, i
frati ne asportassero segretamente la salma per deporla in un'altra città,
deliberarono che delle scolte vigilassero attentamente ogni notte fuori e tutto
intorno le mura del palazzo.
Francesco, nelle gravi
condizioni in cui si trovava, per dare conforto al suo spirito onde non venisse
meno a causa delle aspre e diverse infermità si faceva cantare spesso durante
il giorno dai compagni le Laudi del Signore, che lui stesso aveva
composto, parecchio tempo prima, durante la sua malattia. Le faceva cantare
anche di notte, per dare un po' di sollievo alle scolte che vigilavano su di
lui fuori del palazzo.
Frate Elia, vedendo che
Francesco, in mezzo a così atroci sofferenze, attingeva dal canto coraggio e
gaudio nel Signore, un giorno osservò: " Carissimo fratello, io sono assai
edificato e consolato per la gioia che provi e manifesti ai tuoi compagni in
questa dura sofferenza e malattia. Gli abitanti di questa città ti venerano
come santo in vita e in morte, certamente. Però, siccome sono convinti che a
causa di questa grande e incurabile infermità tra poco hai da morire, sentendo
risuonare queste Laudi potrebbero pensare o dire fra sé:--Com'è possibile che
uno, vicino a morire, esprima così viva letizia? Farebbe meglio a pensare alla
morte!--".
Francesco gli rispose: "
Ricordi la visione che avesti presso Foligno? Mi dicevi allora che uno ti aveva
rivelato che mi restavano da vivere soltanto due anni. Ebbene, anche prima che
tu avessi quella visione, per grazia dello Spirito Santo che suggerisce al
cuore dei suoi fedeli ogni cosa buona e la pone sulla loro bocca, di frequente io
pensavo alla mia fine, giorno e notte. Ma dall'ora che ti fu comunicata quella
rivelazione, ogni giorno mi sono preoccupato di prepararmi alla morte ".
Poi in un impeto di fervore
continuò: " Fratello, lascia che io goda nel Signore e nelle sue Laudi in
mezzo ai miei dolori, poiché, con la grazia dello Spirito Santo, sono Cosi
strettamente unito al mio Signore che, per sua misericordia posso ben esultare
nell'Altissimo! ".
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CORAGGIO Dl FRONTE
ALLA REALTA'
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65. Sempre in quei giorni, un medico di Arezzo,
Buongiovanni, conoscente e amico di Francesco, venne a fargli visita nel
palazzo. Il Santo lo interrogò sulla propria malattia: " Che te ne pare,
fratello Giovanni, di questa mia idropisia? ".
Invero, Francesco non voleva
chiamare col loro nome quanti avessero nome " Buono", per riverenza
al Signore che ha detto: Nessuno è buono, fuorché Dio solo. Allo stesso
modo, non voleva dare a nessuno il titolo di " padre " o di "
maestro", né scriverlo nelle lettere, per rispetto al Signore che disse: Non
chiamate nessuno " padre " sulla terra, né fatevi chiamare "
maestri ", ecc.
Il medico rispose: "
Fratello, con l'aiuto di Dio starai meglio ". Non aveva il coraggio di
dirgli che tra poco sarebbe morto. Ma Francesco insistette: " Dimmi la
verità, che cosa prevedi? Non avere paura, poiché, con la grazia di Dio, non
sono un codardo che teme la morte. Per misericordia e bontà del Signore, sono
così intimamente unito a Lui, che sono ugualmente felice sia della morte che
della vita ".
Allora il medico gli disse
schiettamente: " Padre, secondo la nostra scienza, la tua infermità è
incurabile, e tu morrai tra la fine di settembre e i primi di ottobre ".
Francesco, che giaceva a letto
ammalato, preso da ardente devozione e reverenza verso il Signore, stese le braccia
con le mani aperte ed esclamò con viva gioia intima ed esteriore: " Ben
venga la mia sorella Morte! ".
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QUALE FU L' INTENZIONE DI FRANCESCO
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1616
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66. Frate Rizzerio, originario della Marca d'Ancona,
nobile di famiglia ma più nobile per santità, amato con grande affetto da
Francesco, si recò un giorno a visitare il Santo nel palazzo vescovile di
Assisi.
La conversazione ebbe per
argomento la situazione delI'Ordine e l'osservanza della Regola. A un certo
punto, Rizzerio fece questa domanda: " Dimmi, Padre, quale ideale avesti
nei primordi, al momento che cominciasti ad avere dei fratelli, e a quale
ideale ti ispiri oggi e pensi di restar fedele fino al giorno della morte? Così
potrò essere sicuro della tua prima e ultima intenzione e volontà: noi frati
chierici, che abbiamo tanti libri, li possiamo conservare, riconoscendo che
appartengono alla comunità? ".
Disse a lui Francesco: "
Fratello, questa fu ed è la mia prima e ultima volontà e intenzione, se i frati
mi avessero ascoltato: che nessuno debba avere se non la tonaca concessaci
dalla Regola, con il cingolo e le brache ".
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LA DENOMINAZIONE:
FRATI MINORI
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1617
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67. A questo proposito egli ebbe a dire una volta: "
L'Ordine e la vita dei frati minori si assomiglia a un piccolo gregge, che il
Figlio di Dio, in questa ultima ora, ha chiesto al suo Padre celeste,
dicendo:--Padre, vorrei che tu suscitassi e donassi a me in questa ultima ora
un nuovo umile popolo, diverso per la sua umiltà e povertà da tutti gli altri
che lo hanno preceduto, e fosse felice di non possedere che me solo. E il Padre
rispose al suo Figlio diletto:--Figlio ciò che hai chiesto, è fatto--".
Aggiungeva quindi Francesco che
il Signore ha voluto che i frati si chiamassero " Minori ", perché
appunto questo è il popolo chiesto dal Figlio di Dio al Padre suo, e di esso si
dice nel Vangelo: Non vogliate temere, o piccolo gregge, poiché è piaciuto
al Padre vostro di concedere a voi il Regno; e ancora: Quello che avete
fatto a uno dei miei fratelli più piccoli (minori), lo avete fatto a me.
Sebbene qui il Signore parli di
tutti quelli che sono poveri in spirito, tuttavia egli intendeva riferirsi in
modo particolare all'Ordine dei frati minori, che sarebbe fiorito nella sua
Chiesa.
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1618
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Fu rivelato a
Francesco che il suo movimento doveva chiamarsi dei frati minori, e così fece
scrivere nella prima Regola, che portò a Innocenzo III, e il Papa gliela
approvò e concesse; e in seguito il Papa annunciò questa sua decisione a tutti
nel Concilio.
Il Signore rivelò a Francesco
anche il saluto che i frati dovevano dare, come ricorda nel suo Testamento:
" Il Signore mi rivelo che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia pace !
" .
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1619
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Nei primordi
dell'Ordine, mentre Francesco era in cammino con uno dei primi dodici frati,
questi salutava uomini e donne che incontrava lungo la strada o vedeva nei
campi con le parole: " Il Signore vi dia pace! ". La gente, che
finallora non aveva mai udito un religioso salutare con quella formula, si
mostrava stupita. C'erano anzi di quelli che ribattevano indispettiti: "
Cosa vorrebbe dire questo nuovo genere di saluto? ". Il frate ci rimase
male e disse a Francesco: " Fratello, permettimi di usare un altro
saluto". Ma il Santo osservò:
<< Lasciali dire, perché non
intendono le cose di Dio. Tu non provare vergogna per le loro reazioni, poiché
io ti dico, fratello, che perfino i nobili e i principi di questo mondo avranno
reverenza per te e gli altri frati in grazia di questo saluto ".
Disse ancora: " Non è
meraviglioso, che Dio abbia voluto avere un piccolo popolo, fra tutti gli altri
venuti prima, che sia felice di possedere Lui solo, altissimo e
glorioso?".
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RESISTENZA DI
CERTI FRATELLI
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1620
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68. Se qualche fratello chiedesse perché mai Francesco,
durante la sua vita non fece osservare rigorosamente la povertà come esposta a
frate Rizzerio, noi, che siamo vissuti con lui, rispondiamo con le parole udite
dalla sua bocca. Infatti, quanto ebbe ad esprimere a Rizzerio egli lo ripeteva
anche agli altri fratelli, unitamente a parecchie prescrizioni, che fece scrivere
altresì nella Regola. Erano direttive ch'egli otteneva dal Signore con
insistente preghiera e meditazione per il bene dell'Ordine, affermando che si
trattava di cose strettamente conformi alla volontà del Signore.
Ma quello che egli esponeva ai
fratelli, sembrava a costoro pesante e insopportabile, non prevedendo essi
allora ciò che sarebbe accaduto nell'Ordine dopo la scomparsa del Santo.
Siccome Francesco temeva moltissimo lo scandalo in sé e nei fratelli, non
voleva polemizzare, e lasciava correre, sia pure contro voglia, scusandosene
davanti al Signore. Ma affinché la parola che Dio gli aveva messo nella bocca
per il bene dell'Ordine non ritornasse a Lui senza frutto, Francesco voleva
farla fruttare almeno in se stesso, per ottenere la ricompensa divina. E così
facendo, il suo spirito ritrovava serenità e consolazione.
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I LIBRI DEL FRATE
MINISTRO
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1621
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69. Quando fu rientrato dai paesi d'oltremare, un
ministro prese a discutere con lui sul capitolo della povertà, volendo
conoscere il suo pensiero e la sua volontà sull'argomento. Nella Regola di
allora stava scritto un capitolo circa le proibizioni del santo Vangelo, ad
esempio quella che dice: Non porterete nulla nel vostro cammino ecc.
Gli rispose Francesco: " Il
mio pensiero è che i frati non dovrebbero avere che la tonaca e la corda e le
brache, come prescrive la Regola, e le calzature per quelli che sono stretti da
necessità ".
Replicò il ministro: " Cosa
farò io, che ho tanti libri, del valore di oltre cinquanta lire? ". Disse
questo perché li voleva conservare con tranquilla coscienza, anche perché fino
a quel giorno aveva patito rimorso nel tenere tanti libri con sé, sapendo che
Francesco interpretava così strettamente il capitolo sulla povertà.
E Francesco: " Fratello,
non posso e non devo andare contro la mia coscienza e contro l'osservanza del
santo Vangelo da noi professata ".
A queste parole il ministro si
avvilì. Il Santo, vedendolo abbattuto, gli disse con ardore di spirito,
intendendo nella persona di lui rivolgersi a tutti i frati: " Voi, frati
minori, ci tenete che la gente vi consideri e chiami osservatori del Vangelo,
ma in realtà volete conservare la vostre ricchezze! ".
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1622
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I ministri, pur
sapendo che secondo la Regola erano obbligati a osservare il Vangelo, fecero
togliere da essa quel capitolo dove si legge: Non porterete nulla nel vostro
cammino; illudendosi di non esser tenuti a osservare la perfezione
evangelica.
Francesco conoscendo questa
soppressione in virtù dello Spirito Santo disse in presenza di alcuni frati:
" Credono i frati ministri d'ingannare Dio e me. Ebbene, affinché tutti i
frati sappiano e conoscano di essere obbligati a osservare la perfezione del
santo Vangelo, voglio che al principio e alla fine della Regola sia scritto che
i frati sono tenuti a osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù
Cristo. E affinché siano inescusabili dinanzi a Dio, voglio con l'aiuto del
Signore osservare sempre e realizzare nel mio comportamento l'ideale che Dio mi
ha rivelato per la salvezza dell'anima mia e per il bene dei fratelli ".
E davvero egli osservò il
Vangelo alla lettera, dal tempo che cominciò ad avere dei fratelli fino al
giorno della sua morte.
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IL SALTERIO DEL
NOVIZIO
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1623
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70. Un'altra volta, c'era un frate novizio che sapeva
leggere, non bene, il salterio. Siccome gli piaceva questa lettura, chiese al
ministro generale il permesso di avere un salterio, e gli fu concesso. Però non
lo voleva tenere senza uno speciale consenso di Francesco, poiché aveva sentito
che il Santo non voleva che i suoi frati fossero bramosi di scienza e di libri,
ma insegnava loro che si appassionassero a conquistare e possedere la pura e
santa semplicità, lo spirito di orazione e la signora Povertà: virtù che
avevano formato i santi primi frati. Secondo lui, la via più sicura per la
salvezza dell'anima era questa.
Non ch'egli disprezzasse e
guardasse di mal occhio la scienza sacra; al contrario, egli venerava con
sincero affetto gli uomini dotti che erano nell'Ordine e tutte le persone
colte; tant'è vero che scrisse nel suo Testamento: " Tutti i teologi e
coloro che ci comunicano le parole divine, noi dobbiamo onorarli e venerarli
come quelli che ci comunicano spirito e vita ".
Ma prevedendo il futuro,
conosceva in virtù dello Spirito Santo e ripetutamente lo annunziò ai fratelli,
che " molti, sotto pretesto di insegnare agli altri, avrebbero abbandonato
la loro vocazione, cioè la pura e santa semplicità, la santa orazione e la
nostra signora Povertà.
E accadrà loro che proprio
mentre supponevano di imbeversi di maggior devozione e accendersi d'amore di
Dio con la conoscenza della Scrittura, appunto da qui sarebbero restati
interiormente freddi e quasi vuoti, perché hanno perduta l'occasione di vivere
il loro ideale. E temo che non venga loro tolto anche quello che sembravano
avere, avendo tradito la loro vocazione ".
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E' LA PREGHIERA
CHE SALVA
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1624
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71. Diceva ancora: " Ci sono molti frati che giorno
e notte mettono tutta la loro passione e preoccupazione nell'acquistare la
scienza, trascurando la loro santa vocazione e la devota orazione. E
annunziando il Vangelo a qualche persona e al popolo, nel vedere o nel sentire
che alcuni ne sono rimasti edificati o convertiti a penitenza, diventano tronfi
e montano in superbia per risultati ottenuti da fatica altrui . Invero, coloro che essi si
illudono d'avere edificato o convertito a penitenza con i loro discorsi, è il
Signore che li edifica e converte grazie alle orazioni dei frati santi, anche
se questi ultimi lo ignorano: è la volontà di Dio, questa, che non se ne accorgano,
per non insuperbire.
Questi frati sono i miei
cavalieri della tavola rotonda, che si nascondono in luoghi appartati e
disabitati, per impegnarsi con più fervore nella preghiera e nella meditazione,
piangendo i peccati propri e altrui. La loro santità è nota a Dio, mentre
talvolta rimane sconosciuta agli altri frati e alla gente. E quando le loro
anime saranno presentate al Signore dagli angeli, allora Dio mostrerà loro il
frutto e il premio delle loro fatiche, cioè le molte anime salvatesi grazie alle
loro preghiere. E dirà:--Figli, ecco, queste anime sono salve in virtù delle
vostre orazioni. Poiché siete stati fedeli nel poco, vi darò potere su molto
".
Così Francesco commentava quella
parola della Scrittura: La sterile ha partorito molti figli, e quella che ne
aveva molti si è avvizzita. " La sterile è il religioso fervente, che
edifica sé e gli altri con le sue sante orazioni e virtù ". Ripeteva
spesso queste parole ai frati, nelle sue istruzioni, soprattutto nel Capitolo
che si teneva presso la chiesa di Santa Maria della Porziuncola alla presenza
dei ministri e degli altri frati.
Egli ammaestrava tutti i frati
ministri e predicatori a bene usare i carismi ricevuti. Diceva che non dovevano
a causa del superiorato o dell'impegno di predicazione tralasciare a nessun
costo la santa devota orazione, I'andare per elemosina e il lavorare con le
loro mani come gli altri frati al fine di dare il buon esempio e a profitto
delle anime proprie e altrui. Aggiungeva: " I frati sudditi sono molto
edificati al vedere i loro ministri e i predicatori darsi con gioia alla
preghiera, mostrarsi modesti e umili ".
Da fedele seguace di Cristo,
finché fu in salute, Francesco realizzò sempre in se stesso quanto insegnava ai
suoi fratelli.
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LA SCIENZA GONFIA,
LA CARITA' EDIFICA
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1626
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72. Un giorno che Francesco arrivò all'eremo dove dimorava
quel novizio di cui parlammo sopra, questi gli disse: " Padre, sarebbe per
me una gran consolazione avere un salterio. Ma sebbene il ministro generale me
lo abbia concesso, io vorrei tenerlo con il tuo consenso ".
Francesco gli diede questa
risposta: " Carlo imperatore, Orlando e Oliviero, tutti i paladini e i
prodi guerrieri che furono gagliardi nei combattimenti, incalzando gl'infedeli
con molto sudore e fatica fino alla morte, riportarono su di essi una gloriosa
memorabile vittoria, e all'ultimo questi santi martiri caddero in battaglia per
la fede di Cristo. Ma ci sono ora molti che, con la sola narrazione delle loro
gesta, vogliono ricevere onore e gloria dagli uomini ".
Nelle sue Ammonizioni egli
spiegò il significato di queste parole, scrivendo: " I santi hanno
compiuto le gesta, e noi, raccontando e predicandole, pretendiamo di riceverne
onore e gloria ". Come a dire: La scienza gonfia, la carità edifica.
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L' INSIDIA DELLA SCIENZA
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1627
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73. Mentre Francesco stava seduto davanti al fuoco per
riscaldarsi, quel novizio tornò alla carica con la questione del salterio.
Francesco gli rispose: " Quando avrai ottenuto il salterio, bramerai e
vorrai il breviario; avuto il breviario, ti pianterai in cattedra come un
prelato e ordinerai al tuo fratello:--Ehi, portami qua il breviario!--".
E dicendo queste parole, il
Santo, acceso in spirito, raccolse della cenere e se la sparse sul capo,
dicendo a se stesso: " Io, il breviario! io, il breviario! ". E
intanto che ripeteva questa esclamazione, veniva come frizionandosi la testa.
Il novizio ne rimase allibito e pieno di vergogna.
Francesco gli confidò: "
Fratello, anch'io fui tentato di avere libri. Per conoscere la volontà del
Signore su questo punto, presi il libro in cui sono scritti i Vangeli del
Signore e lo pregai che mi mostrasse il suo volere alla prima apertura del
volume. Finito che ebbi di pregare, al primo aprire del libro mi venne allo
sguardo quel detto di Cristo: A voi è concesso di conoscere il mistero del
regno di Dio, ma agli altri viene proposto in parabole ".
E soggiunse: " Molti sono
quelli che volentieri si elevano alla scienza; ma beato sarà chi si fa sterile
per amore del Signore Dio ".
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TANTO UNO SA,
QUANTO FA
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1628
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74 Passati dei mesi, Francesco soggiornava presso la
chiesa della Porziuncola, e stava vicino alla cella che sorge dopo la casa,
lungo la via, quando quel frate tornò a parlargli del salterio. Gli disse
Francesco: " Va' e fai come ti dirà il tuo ministro ". A queste
parole, quello cominciò a ritornare per dove era venuto.
Ma il Santo, rimasto sulla
strada, cominciò a riflettere su quanto aveva detto, e d'improvviso gridò
dietro a colui: " Aspettami, fratello, aspettami! ". Andò fino a lui
e gli disse: " Torna indietro con me, fratello, e mostrami il posto dove
ti ho detto di fare, riguardo al salterio, quanto ti dirà il ministro ".
Arrivati a quel posto, Francesco
si inchinò davanti al frate e mettendosi in ginocchio disse: " Mia colpa,
fratello, mia colpa! Chiunque vuol essere un minore non deve avere che la
tonaca, la corda e le brache, come dice la Regola, e in più le calzature, per
chi sia stretto da evidente necessità o malattia ".
A tutti i frati che venivano a
consultarlo sull'argomento, dava la stessa risposta. E diceva: " Tanto un
uomo sa quanto fa; e tanto un religioso è buon predicatore, quanto lui stesso
agisce ". Come dire: L'albero buono si conosce al frutto che produce.
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ABUSI E SVIAMENTI
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1629
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75. Nel tempo in cui Francesco dimorava nel palazzo del
vescovo di Assisi, un giorno uno dei suoi compagni gli disse: " Padre,
perdonami. Quello che sto per dirti è già stato notato da molti ". E
continuò: " Tu sai come una volta in tutto il nostro Ordine, per grazia di
Dio, fioriva la purezza della perfezione. Tutti i frati osservavano con fervore
e impegno la santa povertà in ogni cosa: negli edifici piccoli e miseri, negli
utensili pochi e rozzi, nei libri scarsi e poveri, nei vestiti da pezzenti. In
questo, come in tutto il loro comportamento esteriore, erano concordi nello
stesso volere, solleciti nell'osservare tutto ciò che riguarda la nostra
professione e vocazione e buon esempio; unanimi erano nell'amare Dio e il
prossimo.
Ma da poco tempo in qua, questa
purezza e perfezione ha cominciato ad alterarsi, checché i frati dicano per
scusarsi, sostenendo che non si può più osservare questo ideale per la
moltitudine dei frati. Molti inoltre credono che il popolo sia meglio edificato
da questo nuovo modo di vivere che da quello primitivo, e hanno la sensazione
che sia più conveniente vivere e comportarsi così. Hanno quindi scarsa stima
della semplicità e povertà, che sono state ispirazione e base del nostro
movimento. Considerando queste deviazioni, siamo persuasi che dispiacciano
anche a te; ma restiamo fortemente stupiti nel vedere che tu le sopporti e non
le correggi, se ti dispiacciono ".
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PERCHÉ FRANCESCO
NON INTERVIENE
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1630
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76. Gli rispose Francesco: " Il Signore ti perdoni,
fratello, questo tuo volermi essere oppositore e avversario, e di coinvolgermi
in questioni che non mi riguardano più". Proseguì: " Fin tanto che
ebbi la responsabilità dei frati e i frati rimasero fedeli alla loro vocazione
e professione, per quanto io abbia sempre avuto scarsa salute sin dalla mia
conversione a Cristo, riuscivo senza fatica a soddisfarli con l'esempio e le
esortazioni.
Ma quando mi accorsi che il
Signore moltiplicava ogni giorno il numero dei frati, e che essi per tiepidezza
e languore di spirito cominciavano a deviare dalla strada dritta e sicura che
finallora avevano seguito, e a incamminarsi per la via comoda, come hai detto
tu, non badando al loro ideale, all'impegno preso, al buon esempio; quando
dunque mi resi conto che non lasciavano il cammino sbagliato malgrado le mie
esortazioni ed esempi, rimisi l'Ordine nelle mani del Signore e dei frati
ministri.
Rinunziai al mio incarico e
diedi le dimissioni, adducendo davanti al Capitolo generale il motivo della mia
malattia che mi impediva di seguire la fraternità in maniera adeguata. Tuttavia
anche ora, se i frati avessero camminato e camminassero secondo la mia volontà,
non vorrei, per loro conforto, che avessero altro ministro che me, sino alla
mia morte. Infatti, quando il suddito è fedele e fervoroso nel conoscere ed
eseguire la volontà del suo prelato, questi è in grado di soddisfare
all'incarico con poca fatica. Di più, proverei molta gioia nel vedere i
fratelli così ferventi, e sarei tanto consolato nel mirare il mio e loro frutto
spirituale che, sia pur giacendo a letto infermo, non mi sarebbe arduo guidarli
".
E soggiunse: " Il mio
incarico di governo dei frati è di natura spirituale, perché devo avere dominio
sui vizi e correggerli. Ma se non riesco a farlo con le esortazioni e
l'esempio, non posso certo trasformarmi in carnefice per battere e scudisciare
i colpevoli, come fanno i governanti di questo mondo. Quelli che sgarrano ho
fiducia nel Signore che saranno puniti dai nemici invisibili, che sono i suoi
" castaldi " incaricati di castigare in questo secolo e nel futuro i
trasgressori dei comandi di Dio. Essi saranno puniti dagli uomini di questo
mondo, a loro vituperio e vergogna, così che tornino a vivere l'ideale che
hanno abbracciato.
Comunque, fino al giorno della
mia morte, con l'esempio, non smetterò d'insegnare ai fratelli che camminino
per la via indicatami dal Signore e che ho mostrato loro, I'ideale a cui li ho
formati, in modo che siano inescusabili dinanzi al Signore, e che non mi tocchi
rendere conto al Signore di loro e di me ".
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OPPOSIZIONE DI CERTUNI AL SANTO
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1631
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77. Francesco fece scrivere nel suo Testamento che tutte
le abitazioni dei fratelli devono essere fatte di fango e di legno, in segno di
povertà e umiltà e che le chiese che si fabbricano per loro siano piccole.
Volle anzi che, su questo particolare delle case costruite in legno e fango,
come su altri aspetti, la riforma venisse dal luogo della Porziuncola, che è il
primo convento in cui i frati si riunirono e dove il Signore cominciò a
moltiplicarli. Voleva che questo luogo fosse per sempre un esempio memorabile,
per i fratelli che sono e che entreranno nell'Ordine.
Certuni però protestarono,
dicendogli che secondo loro non era conveniente costruire con fango e legno,
perché in certe contrade e regioni il legname costa più che le pietre.
Francesco non voleva contendere con costoro, anche perché gravemente malato e
ormai vicino alla morte, in effetti sopravvisse ancora ben poco. Però nel suo
Testamento scrisse: " Si guardino assolutamente i frati dal ricevere
chiese, abitazioni e ogni altra cosa che sia costruita per loro, se non sono
conformi alla santa povertà che abbiamo promesso nella Regola; e sempre vi
dimorino come pellegrini e forestieri ".
Noi, che eravamo con lui quando
compose la Regola e quasi tutti gli altri suoi scritti, testimoniamo che egli
fece inserire nella Regola e negli altri scritti delle prescrizioni alle quali
alcuni frati, soprattutto i superiori, fecero opposizione. Ma proprio le cose
che provocarono contrasti tra i frati e Francesco mentr'egli era in vita,
adesso che è morto sarebbero molto utili a tutta la fraternità. Siccome il
Santo temeva moltissimo lo scandalo, accondiscendeva suo malgrado al volere dei
fratelli.
Tuttavia lo udimmo sovente
esclamare: " Guai a quei frati che si oppongono a quello che io so essere
volontà di Dio per il maggior bene dell'Ordine, sebbene io mi pieghi di
malincuore alle loro volontà ".
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1632
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Spesso ripeteva ai
suoi compagni: " In questo sta il mio dolore, la mia afflizione: le
indicazioni che con intensa preghiera e riflessione ottengo dalla misericordia
di Dio per la utilità presente e futura della fraternità, e che Dio mi assicura
essere conformi al suo volere,--ecco che alcuni frati le vanificano, fondandosi
sull'arroganza e sui lumi della loro scienza, dicendo:--queste direttive vanno
mantenute e osservate, e queste altre no--".
Ma il Santo, come già si è
detto, tanto temeva lo scandalo, da permettere che molte cose si facessero, e
si adattava alla volontà dei fratelli, per quanto ciò ripugnasse alle sue
convinzioni.
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CONTRO L' OZIOSO
CIARLARE
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1633
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78. Quando Francesco soggiornava alla Porziuncola, soleva
ogni giorno dedicarsi dopo il pasto a qualche lavoro manuale assieme ai
fratelli, per schivare il pericolo dell'oziosità. Egli considerava come nefasto
per sé e per i suoi fratelli sciupare, con discorsi frivoli e inconcludenti, il
bene spirituale ottenuto per grazia del Signore durante la preghiera. Allo
scopo di evitare il danno delle conversazioni futili e vuote, stabilì queste
regole, ordinando ai frati di attenervisi:
" Se un frate, mentre è in
viaggio o mentre è al lavoro, si lascia andare a parole oziose o inutili, sarà
tenuto a recitare un Padre nostro con le Laudi di Dio al
principio e alla fine di questa orazione. Se il colpevole se ne accusa
spontaneamente, dirà per l'anima propria il Padre nostro e le Laudi;
se invece ne viene rimproverato da un fratello, dirà il Padre nostro nel
modo indicato, per l'anima del fratello che lo ha corretto .
Se per caso reagisce al
rimprovero rifiutandosi di dire il Padre nostro, reciterà due volte tale
orazione per l'anima del fratello da cui ebbe la riprensione, a patto che
consti dalla testimonianza di quello e magari di un altro fratello che egli ha
proferito parole oziose o inutili. Aggiunga, in principio e in fine della
preghiera, le Laudi di Dio a voce alta e chiara, in maniera che tutti i
fratelli presenti possano udire e intendere, e stiano ad ascoltarlo in
silenzio. Se poi un fratello, andando contro la prescrizione, non fosse stato
zitto, dirà a sua volta il Padre nostro con le Laudi di Dio, per
l'anima del fratello che stava pregando.
Infine, ogni frate che, entrando
in una cella o nell'abitazione o in altro locale, incontra uno o più frati,
deve sempre lodare e benedire il Signore fervorosamente ".
Queste " Laudi "
il padre santo era solito recitarle sempre e aveva volontà ardente e desiderio
che anche gli altri fratelli amassero dirle con zelo e devozione.
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FRANCESCO VUOLE
RECARSI IN FRANCIA
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1634
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79. Al tempo in cui fu celebrato alla Porziuncola il
Capitolo generale, nel quale si prese la decisione di inviare per la prima
volta i frati nei paesi d'oltremare, sciolta che fu l'assemblea, Francesco
restò in quel luogo con alcuni frati, e disse loro: " Carissimi fratelli,
io devo essere modello ed esempio per tutta la fraternità. Se dunque ho inviato
i miei frati in terre lontane ad affrontare fatiche e umiliazioni, fame e altre
avversità di ogni sorta, sento doveroso e conveniente di partire a mia volta
verso qualche regione lontana, affinché i miei frati sopportino con maggior pazienza
la penuria e le tribolazioni, sapendo che anch'io patisco le stesse asprezze
".
Disse perciò: " Andate e
pregate il Signore che mi ispiri di scegliere il paese dove io possa meglio
lavorare a lode sua e a profitto e salvezza delle anime, e per l'esempio
dell'Ordine ".
Era infatti abitudine del Santo,
non solo quando era in procinto di recarsi a predicare in terre lontane, ma
anche quando voleva percorrere una regione vicina, di pregare il Signore e
invitare i fratelli a pregare affinché Dio dirigesse il suo cuore a portarsi
là, dove fosse meglio secondo la volontà divina.
Andarono i frati a pregare, e
quando ebbero finita l'orazione fecero ritorno a lui, che disse: " Nel
nome del Signore nostro Gesù Cristo e della gloriosa vergine Madre e di tutti i
santi, io scelgo la terra di Francia, dove vive un popolo cattolico,
soprattutto perché, fra tutte le nazioni della santa Chiesa, testimonia una
venerazione grande per il corpo di Cristo, cosa che mi sta vivamente a cuore.
Per questo motivo vivrò più volentieri insieme a questo popolo ".
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VENERAZIONE PER L'
EUCARISTIA
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1635
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80. Francesco sentiva tanta riverenza e devozione per il
corpo di Cristo, che avrebbe voluto scrivere nella Regola che i frati ne
avessero ardente cura e sollecitudine nelle regioni in cui dimoravano, ed
esortassero con insistenza chierici e sacerdoti a collocare l'Eucaristia in
luogo conveniente e onorevole. Se gli ecclesiastici trascuravano questo dovere,
voleva che se lo accollassero i frati. Anzi, una volta ebbe l'intenzione di mandare,
in tutte le regioni, alcuni frati forniti di pissidi, affine di riporvi con
onore il corpo di Cristo, dovunque lo avessero trovato custodito in modo
sconveniente.
Sempre ispirato dalla reverenza
al santissimo corpo e sangue di Cristo, avrebbe voluto inserire nella Regola
l'esortazione: " Dovunque i frati trovassero degli scritti con le parole e
i nomi del Signore non dignitosamente conservati o giacenti dispersi in luoghi
impropri, li raccogliessero e mettessero da parte, per onorare il Signore nelle
parole da Lui pronunciate. Molte cose infatti sono santificate per mezzo della
parola di Dio, e in virtù delle parole di Cristo viene attuato il sacramento
dell'altare ".
Queste direttive non furono però
accolte nella Regola, perché i ministri non giudicarono opportuno di farne un
obbligo ai frati. Tuttavia il Santo volle lasciare, nel Testamento e in altri
suoi scritti, I'espressione della sua volontà su questo punto.
Volle inoltre che altri frati
percorressero tutte le regioni della cristianità, muniti di belli e buoni ferri
per far ostie.
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1636
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Com'ebbe scelto il
gruppo che intendeva portare con sé Francesco disse a quei fratelli: " Nel
nome del Signore, andate due a due per le strade, con dignità, mantenendo il
silenzio dal mattino fino a dopo l'ora di terza, pregando nei vostri cuori il
Signore. Nessun discorso frivolo e vacuo tra di voi, giacché, sebbene siate in
cammino, il vostro comportamento dev'essere raccolto come foste in un eremo o
in cella. Dovunque siamo o ci muoviamo, portiamo con noi la nostra cella:
fratello corpo; I'anima è l'eremita che vi abita dentro a pregare Dio e
meditare. E se l'anima non vive serena e solitaria nella sua cella, ben poco
giova al religioso una cella eretta da mano d'uomo ".
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AREZZO
DISINFESTATA DAI DEMONI
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1637
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81. Quando arrivarono vicini ad Arezzo, la città era
interamente in preda allo sconvolgimento e alla guerra civile, giorno e notte,
a causa di due fazioni che si odiavano da lungo tempo.
Vedendo questo, Francesco, e
udendo lo scatenarsi di strepiti e urla giorno e notte, mentre alloggiava in un
ospedale del borgo fuori città, scorse un nembo di demoni che si divertivano in
quello sconquasso e incitavano tutti gli abitanti a distruggere la loro città
con gli incendi e altre furie .
Ne fu mosso a compassione. E si
rivolse a frate Silvestro, che era sacerdote, uomo di grande fede, di stupenda
semplicità e purità, ch'egli venerava come santo. Gli disse: " Va' dinanzi
alla porta della città e a voce alta comanda ai demoni di sloggiare tutti
". Silvestro si alzò e andò davanti alla porta della città, dove ordinò a
gran voce: " Lodato e benedetto sia il Signore Gesù Cristo! Da parte di
Dio onnipotente e in virtù della santa obbedienza di Francesco, io comando a
tutti i demoni di uscire da questa città! ". E per la misericordia divina
e la preghiera di Francesco, gli abitanti di Arezzo tornarono poco dopo, senza
bisogno di alcuna predicazione, a pace e concordia.
Non avendo potuto predicare loro
in quella occasione Francesco, un'altra volta, nel primo di una serie di
discorsi disse: " Parlo a voi come a gente che fu incatenata dai demoni.
Vi eravate legati e venduti da voi stessi, come animali al mercato, a causa
della vostra iniquità. Vi siete buttati in braccio ai demoni, esponendovi al
potere di esseri che distrussero e distruggono se stessi e voi, e vogliono
mandare in rovina l'intera città. Ma voi siete miserabili e incoscienti,
mostrandovi ingrati ai benefici di Dio, il quale--sebbene alcuni di voi non lo
sappiano,--liberò una volta questa città per i meriti di un santo religioso,
chiamato Silvestro ".
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UGOLINO BLOCCA IL
VIAGGIO IN FRANCIA
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1638
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82. Giunto a Firenze, Francesco vi trovò Ugolino, vescovo
di Ostia, che poi diventò papa. Egli era stato inviato da Onorio III come
legato nel ducato di Spoleto in Toscana, Lombardia, Marca Trevigiana, fino a
Venezia. Il rappresentante papale fu molto felice dell'arrivo di Francesco.
Quando però ebbe udito da lui
che intendeva andare in Francia, gli proibì quel viaggio: " Fratello, non
voglio che tu vada oltralpe, poiché nella curia romana vi sono numerosi prelati
e altri personaggi che nuocerebbero volentieri al bene del tuo Ordine. Io e
altri cardinali che amiamo il tuo movimento, lo proteggiamo di gran cuore e lo
aiutiamo, purché tu non ti allontani da queste regioni ".
Disse Francesco: " Messere,
è triste per me rimanere in queste province, dopo che ho inviato i miei
fratelli in regioni lontane e straniere ". Il vescovo replicò con voce di
rimprovero: " E perché hai mandato i tuoi fratelli così lontano a morire
di fame e di altre tribolazioni? ".
Gli rispose il Santo con grande
slancio di spirito e con tono profetico: " Non pensate, messere, che il
Signore abbia inviato i frati soltanto per il bene di queste regioni. Vi dico
in verità che Dio ha scelto e inviato i frati per il vantaggio spirituale e la
salvezza delle anime degli uomini del mondo intero; essi saranno ricevuti non
solo nelle terre dei cristiani, ma anche in quelle degli infedeli. Purché
osservino quello che hanno promesso al Signore, Dio darà loro il necessario
nelle terre degli infedeli come in quelle cristiane ".
Ugolino fu molto ammirato da
queste parole, affermando che diceva il vero. Però non lo lasciò proseguire
verso la Francia. Il Santo vi mandò frate Pacifico con altri frati, mentre lui
tornò nella valle di Spoleto.
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SERENITA' DEL VERO
FRATE MINORE
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1639
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83. Un'altra volta, avvicinandosi il Capitolo che si
sarebbe svolto presso la chiesa della Porziuncola, Francesco confidò al suo
compagno: " Non mi considero un frate minore, se non ho le disposizioni
d'animo che sto per dirti ". E seguitò: " Ecco i frati in gran
devozione e venerazione venire a me, invitandomi alla riunione capitolare.
Commosso dalle loro affettuose insistenze, mi avvio assieme ad essi. Convocata
l'assemblea, mi pregano di annunziare loro la parola di Dio. Mi alzo e predico
secondo l'ispirazione dello Spirito Santo.
Finisco il sermone. Supponiamo
che allora, dopo averci pensato, concludano dicendomi: " Non vogliamo che
tu regni sopra di noi, perché non sai parlare, sei troppo semplice, ci
vergognamo di avere a capo una persona così incolta e incapace. D'ora in
avanti, non avere la pretesa di chiamarti nostro prelato! ". E così
dicendo, mi cacciano, vilipendendomi.
Ebbene, non potrei considerarmi
vero frate minore, se non resto ugualmente sereno quando mi vilipendono e
ignominiosamente mi cacciano via, rifiutandosi di avermi a prelato, come quando
mi onorano e venerano, purché in entrambi i casi il loro vantaggio sia lo
stesso. Se mi allieto per il loro profitto e devozione allorché mi esaltano e
onorano (mentre la mia anima corre pericolo di vana gloria), ancor più mi si
addice gioire ed esultare del profitto spirituale e della salvezza della mia
anima, allorché mi vituperano cacciandomi via in maniera umiliante: qui infatti
c'è sicuro guadagno per l'anima ".
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SORELLA CICALA
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1640
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84. Era d'estate, e Francesco dimorava alla Porziuncola,
nell'ultima cella vicino alla siepe dell'orto, dietro la casa (dove abitava
frate Ranieri, I'ortolano, dopo la morte del Santo).
Un giorno che usciva dalla
celletta vide, e poteva toccarla con la mano, sul ramo di un fico sorgente lì
presso, una cicala. Le stese la mano, invitandola: " Sorella mia cicala,
vieni con me! ". Quella venne all'istante sulle sue dita, e il Santo prese
ad accarezzarla con un dito dell'altra mano, dicendole: " Canta, sorella
mia cicala! ". Subito lei obbedì, e prese a frinire. Francesco ne fu molto
felice e lodava Dio. La tenne così sulla mano molto a lungo, poi la ripose sul
ramo del fico da cui l'aveva tolta.
Per otto giorni continui ogni
volta che usciva dalla celletta, la trovava allo stesso posto e tutti i giorni,
prendendola in mano, appena le diceva, toccandola, di cantare, la cicala
friniva. Passati otto giorni, Francesco si rivolse ai compagni: " Permettiamo
adesso a sorella cicala di andare dove vuole. Ci ha donato abbastanza
consolazione, e la nostra carne potrebbe trarne vanagloria ". Come la ebbe
congedata, quella si allontanò e non tornò più a quel posto. I compagni
rimasero meravigliati del fatto che la cicala gli obbedisse così e fosse tanto
affettuosa.
In effetti, Francesco trovava
tanta gioia nelle creature per amore del Creatore, che Dio, al fine di
confortare fisicamente e spiritualmente il suo servo, gli rendeva mansuete le
creature che si mostrano ritrose con gli uomini.
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MODELLO ED ESEMPIO
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1641
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85. In altro tempo, Francesco soggiornava nell'eremo di
sant'Eleuterio, presso il paese di Contigliano, nella contrada di Rieti.
Siccome non portava che la sola tonaca, un giorno, per ripararsi dal freddo
pungente, foderò con delle pezze all'interno il suo saio e quello del compagno,
così che il suo corpo ne ebbe un po' di conforto.
Poco dopo, un giorno che tornava
dall'orazione, tutto gioioso disse al compagno: " Io devo essere modello
ed esempio a tutti i fratelli. Benché sia necessario al mio corpo avere una
tonaca foderata, sono però obbligato a considerare i miei fratelli che
patiscono lo stesso bisogno e non hanno né riescono a procurarsi questa
comodità. Perciò è indispensabile che mi metta nella loro condizione e
condivida le loro stesse privazioni, affinché, vedendomi così, sopportino i
loro disagi con maggiore pazienza ".
Noi, che siamo vissuti con lui,
non potremmo dire a quanto numerose e urgenti necessità del suo corpo egli negò
soddisfazioni nel vitto e nel vestito, per dare il buon esempio ai fratelli e
aiutarli a sopportare più pazientemente le loro privazioni.
La sua preoccupazione dominante
fu, in ogni tempo, soprattutto quando i frati presero a moltiplicarsi ed egli
lasciò il governo della fraternità, quella di ammaestrare più con i fatti che a
parole i frati su ciò che dovevano fare e ciò che dovevano evitare.
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" Tl HO
SCELTO PERCHÉ ERI
SPROVVEDUTO "
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1642
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86. Ci fu un momento in cui Francesco, osservando o
sentendo dire che i frati davano malesempio nell'Ordine e che stavano scadendo
dall'altezza del loro ideale di perfezione, angosciosamente ferito nel
profondo del cuore, disse durante la preghiera: " Signore, riaffido a
te la famiglia che mi hai dato "
E gli fu detto dal Signore:
" Dimmi, perché ti affliggi così, quando un frate abbandona l'Ordine e
vedi che altri non camminano per la strada che ti ho indicato? Dimmi ancora:
chi ha piantato questa comunità fraterna? Chi converte l'uomo e lo sospinge a
entrarvi per fare penitenza? Chi dona la grazia di perseverare? Non sono io
forse? ".
E la voce incalzava: " Io
non ti ho scelto per dirigere questa mia famiglia perché eri letterato ed
eloquente, al contrario perché eri sprovveduto, in maniera che sappiate, tu e
gli altri, che sono io a vigilare sul mio gregge. Ti ho innalzato in mezzo ai
fratelli a guisa d'insegna, allo scopo che vedano e compiano a loro volta le
opere che io realizzo in te. Coloro che camminano la mia strada, possiedono me
e mi possederanno sempre più. Quelli che si rifiutano di camminare la mia
strada, si vedranno togliere anche i doni che sembrano avere. Pertanto ti dico
di non avvilirti, ma di fare bene quello che fai e badare a compiere il tuo
dovere, sapendo che ho piantato l'Ordine dei frati in uno slancio di amore che
mai verrà meno.
Sappi che amo talmente questa
famiglia che, se qualche frate ritorna a malfare e muore fuori della
fraternità, in suo luogo ne invierò un altro a prendere la corona perduta da
quello; e se non fosse nato, lo farò nascere. Affinché tu sia convinto quanto
profondamente io amo questa fraternità, anche se in tutto l'Ordine non
restassero che tre frati, non li abbandonerò in eterno ".
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ESEMPIO E STIMOLO
PER I FRATELLI
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1643
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87. Francesco fu molto confortato da queste parole, poiché
molto era desolato al sentire di qualche mal comportamento dei fratelli.
Sebbene non potesse non provare un senso di amarezza nel conoscere qualche
miseria, tuttavia, dopo che ebbe ricevuto dal Signore questa consolazione, la
richiamava alla memoria e ne parlava con i suoi compagni .
Ripeteva spesso ai frati, sia
nei Capitoli che nei trattenimenti intimi: " Io ho giurato e risoluto di
osservare la Regola, e allo stesso impegno si sono obbligati tutti i frati. E
dunque, da quando lasciai il governo della fraternità a causa delle mie
malattie, per il maggior bene dell'anima mia e dei fratelli, verso di loro non
ho che l'obbligo del buon esempio .
Infatti, ho imparato dal Signore
e so con certezza che, anche se la malattia non giustificasse il mio ritiro, il
più grande aiuto ch'io possa dare alla fraternità è di pregare ogni giorno il
Signore per essa, affinché la governi, conservi, protegga e difenda. Mi sono
impegnato davanti a Dio e ai fratelli di render conto a lui, se uno dei
fratelli si perde a causa del mio malesempio ".
Se talvolta un frate lo esortava
a occuparsi della guida dell'Ordine, Francesco faceva questa considerazione:
" I frati hanno la loro Regola, e hanno giurato di osservarla. Affinché
non si appiglino a scuse, quando al Signore piacque di costituirmi loro
prelato, I'ho giurata anch'io, e intendo osservarla fino alla mia morte. Dal
momento che i frati sanno benissimo cosa è loro dovere fare e cosa evitare, a
me non resta che ammaestrarli con il comportamento. Per questo sono stato dato
loro mentre vivrò e dopo che sarò morto ".
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INCONTRO CON UNO
PIU' POVERO
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1644
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88. Mentre Francesco girava predicando una regione, gli
accadde di incontrare un povero. Notandone la estrema indigenza, disse al suo
compagno: " La povertà di quest'uomo è umiliante per noi; è un rimprovero
per la nostra povertà ".
Il compagno rifletté: " In
che maniera, fratello? ". E Francesco: " Quando trovo uno più povero
di me, mi sento arrossire. Io ho scelto la santa povertà come mia signora, come
la mia felicità spirituale e corporale. E gira in tutto il mondo questa fama,
che io cioè ho fatto professione di povertà davanti a Dio e agli uomini. Quindi
non posso che sentirmi pieno di vergogna allorché trovo qualcuno più povero di
me ".
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IL FRATELLO CHE
DISPREZZO' UN POVERO
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1645
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89. Essendo andato Francesco in un eremo presso Rocca di
Brizio, allo scopo di predicare agli abitanti della zona, un giorno che doveva
tenere il sermone, ecco venire a lui un poverello in cattiva salute. Al
vederlo, indugiò nel considerare l'indigenza e la infermità di lui e, mosso a
compassione, prese a parlare accoratamente al suo compagno di quella nudità e
malattia.
Gli rispose il compagno: "
Fratello, è vero che costui è assai povero, ma in tutta la contrada non c'è
forse un uomo più ricco di lui nel desiderio ". Francesco lo rimproverò di
aver parlato male, e il compagno confessò la sua colpa. E il Santo: " Vuoi
fare la penitenza che ti dirò? ". Rispose: " Volentieri ".
Disse Francesco: " Va',
spogliati della tonaca e presentati nudo dinanzi a quel mendico, gettati ai
suoi piedi e digli che hai peccato contro di lui, disprezzandolo. Gli dirai che
preghi per te affinché il Signore ti perdoni ".
Andò il compagno ed eseguì
quanto gli era stato ordinato. Ciò fatto, si rimise la veste e tornò dal Santo.
Gli disse Francesco: " Vuoi che ti dica come hai peccato contro di lui o
meglio contro Cristo? Ecco: quando vedi un povero, devi considerare colui in
nome del quale viene, Cristo cioè, fattosi uomo per prendere la nostra povertà
e infermità. Nella povertà e nella malattia di questo mendicante dobbiamo
scorgere con amore la povertà e infermità del Signore nostro Gesù Cristo, le
quali egli portò nel suo corpo per la salvezza del genere umano ".
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I LADRONI
CONVERTITI
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1646
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90. In un eremitaggio situato sopra Borgo San Sepolcro,
venivano di tanto in tanto certi ladroni a domandare del pane. Costoro stavano
appiattati nelle folte selve di quella contrada e talora ne uscivano, e si
appostavano lungo le strade per derubare i passanti.
Per questo motivo, alcuni frati
dell'eremo dicevano: " Non è bene dare l'elemosina a costoro, che sono dei
ladroni e fanno tanto male alla gente ". Altri, considerando che i
briganti venivano a elemosinare umilmente, sospinti da grave necessità, davano
loro qualche volta del pane, sempre esortandoli a cambiar vita e fare
penitenza.
Ed ecco giungere in quel
romitorio Francesco. I frati gli esposero 11 loro dilemma: dovevano oppure no
donare il pane a quei malviventi? Rispose il Santo: " Se farete quello che
vi suggerisco, ho fiducia nel Signore che riuscirete a conquistare quelle
anime". E seguitò: " Andate, acquistate del buon pane e del buon
vino, portate le provviste ai briganti nella selva dove stanno rintanati, e
gridate: --Fratelli ladroni, venite da noi! Siamo i frati, e vi portiamo del
buon pane e del buon vino--. Quelli accorreranno all'istante. Voi allora
stendete una tovaglia per terra, disponete sopra i pani e il vino, e serviteli
con rispetto e buon umore. Finito che abbiano di mangiare, proporrete loro le
parole del Signore. Chiuderete l'esortazione chiedendo loro per amore di Dio,
un primo piacere, e cioè che vi promettano di non percuotere o comunque
maltrattare le persone. Giacché, se esigete da loro tutto in una volta, non vi
starebbero a sentire. Ma così, toccati dal rispetto e affetto che dimostrate,
ve lo prometteranno senz'altro.
E il giorno successivo tornate
da loro e, in premio della buona promessa fattavi, aggiungete al pane e al vino
delle uova e del cacio; portate ogni cosa ai briganti e serviteli. Dopo il
pasto direte:--Perché starvene qui tutto il giorno, a morire di fame e a patire
stenti, a ordire tanti danni nelI'intenzione e nel fatto, a causa dei quali
rischiate la perdizione dell'anima, se non vi ravvedete? Meglio è servire il Signore,
e Lui in questa vita vi provvederà del necessario e alla fine salverà le vostre
anime--. E il Signore, nella sua misericordia, ispirerà i ladroni a mutar vita,
commossi dal vostro rispetto ed affetto".
Si mossero i frati e fecero ogni
cosa come aveva suggerito Francesco. I ladroni, per la misericordia e grazia
che Dio fece scendere su di loro, ascoltarono ed eseguirono punto per punto le
richieste espresse loro dai frati. Molto più per l'affabilità e l'amicizia
dimostrata loro dai frati, cominciarono a portare sulle loro spalle la legna al
romitorio. Finalmente, per la bontà di Dio e la cortesia e amicizia dei frati,
alcuni di quei briganti entrarono nell'Ordine, altri si convertirono a
penitenza, promettendo nelle mani dei frati che d'allora in poi non avrebbero
più perpetrato quei mali e sarebbero vissuti con il lavoro delle loro mani.
I frati e altre persone venute a
conoscenza dell'accaduto, furono pieni di meraviglia, pensando alla santità di
Francesco, che aveva predetto la conversione di uomini così perfidi e iniqui, e
vedendoli convertiti al Signore così rapidamente.
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IL FINTO SANTO
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1647
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91. C'era un frate di vita esemplare e santa, intento
all'orazione giorno e notte. Osservava un silenzio ininterrotto, al punto che
talora, confessandosi a un frate sacerdote, non si esprimeva con parole ma con
dei gesti. Appariva talmente devoto e fervente nell'amore di Dio che a volte,
sedendo in mezzo ai confratelli, pur standosene muto manifestava una tale gioia
interiore ed esteriore nell'ascoltare la conversazione edificante, che tutti i
frati e gli altri che lo vedevano, si sentivano attirati a devozione, e lo
consideravano come un santo.
Da molti anni ormai perseverava
in questo genere di vita, quando Francesco venne al luogo dov'egli dimorava. Udendo
dai fratelli come si comportava, disse: "Sappiate in verità che si tratta
di tentazione e inganno diabolico, dal momento che rifiuta di confessarsi
".
Nel frattempo, ecco capitare
colà il ministro generale per un incontro con Francesco. Anche lui magnificava
quel religioso alla presenza del Santo, che però ribatté: " Credimi,
fratello, che quello è guidato e ingannato dallo spirito maligno ". Il
ministro generale rispose: " Mi sembra cosa straordinaria e quasi
incredibile che un uomo, il quale mostra tanti segni e prove di santità, possa
essere quello che tu dici ". Francesco ripigliò: " Mettilo alla
prova, chiedendogli di confessarsi due o almeno una volta la settimana. Se non
ti dà retta, constaterai che ti ho detto il vero ".
Un giorno che il ministro
generale ebbe a parlargli, gli ingiunse: " Fratello, ti impongo di
confessarti due o almeno una volta per settimana ". Quello si mise un dito
sulle labbra, scotendo il capo e mostrando con segni che non intendeva
obbedire. Il ministro, per non esasperarlo, non insistette. Ma non passarono
molti giorni che colui uscì di sua volontà dall'Ordine e tornò nel mondo,
rindossando l'abito secolare.
E una volta che due compagni di
Francesco camminando per via si imbatterono in lui che veniva avanti da solo,
come un poverissimo pellegrino, impietositi gli dissero: " O sventurato,
dov'è la tua virtuosa e santa vita? Non volevi farti vedere dai tuoi fratelli
né parlare con loro, tanto amavi la solitudine; ed ora, eccoti vagabondo per il
mondo, come uno che ignora Dio e i suoi servi ".
Quell'uomo cominciò a parlare,
bestemmiando a ogni momento, come fanno i mondani. I frati gli dissero: "
Miserabile, perché bestemmi al modo degli empi? proprio tu, che una volta ti
astenevi non solo dal parlare ozioso, ma perfino dalle conversazioni edificanti
". Quello ribatté: " Non può essere altrimenti ". Così si
separarono. E pochi giorni appresso morì.
I frati e le altre persone a
conoscenza della cosa, ne rimasero stupefatti, considerando la santità di
Francesco che aveva predetto la defezione di quell'infelice ai tempi che tutti
lo stimavano santo.
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PERSECUZIONE
DIABOLICA
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1648
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92. Quando Francesco andò a Roma per incontrare Ugolino
vescovo di Ostia, più tardi eletto papa, si trattenne con lui alcuni giorni.
Accomiatatosi, andò a far visita a Leone cardinale di Santa Croce. Era questo
un uomo molto affabile e gentile ed era felice di vedere Francesco e lo
venerava sentitamente.
In quella circostanza egli pregò
il Santo con viva devozione a restarsene da lui un po' di giorni, anche perché
si era d'inverno e faceva un freddo crudo e quasi ogni giorno si scatenavano
vento e pioggia, come succede in quella stagione. Gli disse: " Fratello,
il maltempo non permette di viaggiare. Vorrei, se ti piace, che tu soggiornassi
in casa mia finché il tempo consentirà di rimetterti in cammino. Io passo gli
alimenti ogni giorno a un gruppo di poveri qui da me; ebbene, tu sarai trattato
come uno di loro ". Disse questo il cardinale, perché sapeva che
Francesco, nella sua umiltà, voleva sempre esser trattato come un poverello,
dovunque lo ospitassero, benché fosse di così alta santità che dal Papa dai
cardinali e da tutti i grandi di questo mondo che lo conoscevano era venerato
come santo. Il dignitario aggiunse: " Ti assegnerò una dimora lontana dal
palazzo, dove potrai pregare e prendere i pasti a tuo piacimento ".
Soggiornava allora con il
cardinale Leone uno dei primi dodici compagni di Francesco: frate Angelo
Tancredi. Questi suggerì a Francesco: " Fratello, qui vicino, nelle mura
della città, sorge una bella torre, molto ampia e spaziosa all'interno, con
nove locali a volta, dove potrai stare appartato come in un eremo ". Il
Santo propose: " Andiamo a vederla ". La vide e gli piacque. Tornato
dal cardinale gli disse: " Signore, forse resterò presso di voi alcuni
giorni ". Il cardinale ne fu tutto contento.
Angelo allora andò a preparare
un alloggio nella torre, in modo che Francesco e il suo compagno potessero
abitarvi giorno e notte, poiché il Santo non intendeva discendere da là in
nessun momento della giornata, finché fosse rimasto ospite del cardinale Leone.
Lo stesso Angelo si offrì a Francesco e al compagno di recare quotidianamente
il cibo, lasciandolo fuori, in modo che né lui né altri entrassero a
disturbare. Francesco salì dunque sulla torre, per abitarvi con il compagno.
Durante la prima notte, mentre
Francesco si disponeva a dormire, irruppero i demoni e lo coprirono di botte.
Egli chiamò subito il compagno, che stava lontano: " Vieni da me! ".
Quello gli fu vicino d'un balzo. Gli disse il Santo: " Fratello, i demoni
mi hanno pestato duramente. Desidero che tu mi rimanga accanto, perché ho paura
di starmene qui solo ". Il compagno gli fu appresso per l'intera notte.
Francesco tremava tutto, come in preda alla febbre. Durarono svegli entrambi
fino al mattino.
Nel frattempo Francesco
conversava con il suo compagno: " Perché i demoni mi hanno battuto? Perché
il Signore ha dato loro il potere di farmi del male? ". Si mise a
riflettere: " I demoni sono i "castaldi" del Signore nostro.
Come il podestà spedisce il suo castaldo a punire il cittadino che ha commesso
un reato, così il Signore corregge e castiga coloro che ama, per mezzo dei suoi
castaldi, i demoni, esecutori della sua giustizia. Molte volte anche il
perfetto religioso pecca per ignoranza. Allora, siccome non è consapevole della
sua colpa, viene punito dal diavolo, affinché messo sull'avviso dal castigo,
controlli interiormente ed esteriormente in cosa è consistito il suo fallo e
cerchi di individuarlo.
A quelli che il Signore ama
teneramente nella vita terrestre non risparmia le punizioni. Quanto a me, per
misericordia e grazia di Dio, non sono conscio di aver commesso peccati che non
abbia scontato confessandomi e facendo penitenza. Di più, la sua misericordia
mi ha largito questo dono: egli durante la preghiera mi dà conoscenza di ogni
cosa in cui gli piaccio o gli dispiaccio. Ma può darsi, secondo me, che il
Signore mi abbia punito stavolta mediante i suoi castaldi per questo motivo: il
cardinale è spontaneamente generoso con me, e d'altra parte il mio corpo ha
necessità di avere questi aiuti e io li ricevo con semplicità. Tuttavia, sia i
miei fratelli che vanno per il mondo affrontando la farne e molti disagi, sia
gli altri che dimorano in misere abitazioni e romitaggi, venendo a sapere che
dimoro presso un cardinale, potrebbero aver motivo di protestare contro di me.
Noi qui a sopportare ogni sorta di privazioni, e lui a godersi le agiatezze!
Ebbene, io sono tenuto sempre a dare il buon esempio ai frati; è per questo che
sono stato dato ad essi. I frati sono più edificati quando io vivo tra loro in
luoghi poverelli, che quando sto altrove; e sopportano con più coraggiosa
pazienza le loro asprezze, quando sentono e sanno che le sopporto io pure
".
Francesco non ebbe invero buona
salute, mai; anche mentre visse nel mondo era di costituzione fragile e
delicata, e fu sempre più malato di giorno in giorno fino alla sua morte.
Eppure, costantemente si preoccupava di dare il buon esempio ai fratelli e di
togliere ogni occasione di mormorare contro di lui: " Eccolo, si concede
tutto quello di cui abbisogna, mentre noi peniamo, privi di tutto! ". E
così, fosse in salute o fosse infermo, fino al giorno del suo trapasso volle
patire tante privazioni che, se ogni frate ne fosse a conoscenza come noi, che
siamo vissuti assieme a 1ui per un certo tempo fino a che morì, non potrebbero
ricordarlo senza piangere, e sopporterebbero con più serena pazienza necessità
e tribolazioni.
Allo spuntar del giorno,
Francesco scese dalla torre e andò dal cardinale a raccontargli quanto gli era
accaduto e i discorsi fatti con il compagno. Aggiunse: " La gente ha gran
fede in me e ml crede un sant'uomo, ma ecco che i demoni mi hanno buttato fuori
dal mio carcere ". Egli voleva stare recluso nella torre come in un
carcere, non parlando che con il suo compagno.
Il cardinale fu felice di
rivederlo; però, siccome lo riguardava e venerava come santo, accettò la sua
decisione di non trattenersi oltre colà. Francesco, accomiatatosi dalI'ospite,
tornò all'eremo di Fonte Colombo presso Rieti.
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QUARESIMA
SULLA VERNA
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1649
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93. Una volta che Francesco salì all'eremo della Verna,
quel luogo così isolato gli piacque talmente, che decise di passare lassù una
quaresima in onore di san Michele. Vi era salito prima della festa
dell'Assunzione della gloriosa vergine Maria, e contando i giorni da questa
festività fino a quella di san Michele, trovò che erano quaranta. Allora disse:
" A onore di Dio e della beata Vergine Maria, sua madre e di san Michele,
principe degli angeli e delle anime, voglio fare una quaresima quassù ".
Entrato nella cella dove
intendeva soggiornare tutto quel periodo, nella prima notte pregò il Signore di
mostrargli qualche segno da cui potesse conoscere se era volontà divina ch'egli
rimanesse sulla Verna. Infatti, Francesco, allorché si fermava in qualche luogo
per un periodo di orazione o andava in giro per il mondo a predicare, sempre si
preoccupava di conoscere il volere di Dio, affine di maggiormente piacergli. A
volte egli temeva che, sotto pretesto di stare isolato per attendere
all'orazione, il suo corpo volesse riposare, rifiutando la fatica di andare a
predicare per il mondo, per la salvezza del quale Cristo discese dal cielo. E
faceva pregare quelli che gli parevano prediletti dal Signore, affinché Dio
mostrasse loro la sua volontà, se cioè Francesco dovesse andare per il mondo a
evangelizzare il popolo o se talora dovesse ritirarsi in qualche luogo
solitario a fare orazione.
Sul far del mattino, mentre era
in preghiera, uccelli di ogni specie volarono sulla cella del Santo; non tutti
insieme però, ma prima veniva uno e cantava, facendo dolcemente il suo verso, e
poi volava via, indi veniva un altro, cantava, ripartiva; e così fecero tutti.
Francesco fu assai meravigliato della cosa, e ne trasse grande consolazione. Ma
poi prese a riflettere cosa volesse significare quell'omaggio, e il Signore gli
rispose in spirito: " Questo è il segno che il Signore ti farà delle
grazie in questa cella e ti darà copiose consolazioni ".
E fu veramente così. Invero, fra
le altre consolazioni intime o palesi comunicategli dal Signore, ebbe
l'apparizione del Serafino da cui trasse viva consolazione spirituale per tutto
il tempo che visse. Quando quello stesso giorno il compagno venne a portargli
da mangiare, il Santo gli narrò tutto l'accaduto.
Quantunque godesse molte gioie
in quella celletta, di notte i demoni gli inflissero parecchie molestie,
com'egli stesso raccontò a quello stesso compagno. Una volta gli confidò:
" Se i fratelli sapessero quante tribolazioni mi infliggono i demoni,
ognuno di loro sarebbe commosso a pietà e compassione grande verso di me
".
Come a più riprese disse ai
compagni, Francesco a motivo di queste persecuzioni non poteva essere a
disposizione dei fratelli e mostrare loro quell'affetto che avrebbero
desiderato.
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Il GUANCIALE DI
PIUME
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1650
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94. In altra occasione, Francesco soggiornava
nell'eremitaggio di Greccio, e passava i giorni e le notti pregando, nella
ultima celletta che sorge dopo la cella maggiore. Una notte, durante il primo
sonno, chiamò il compagno che riposava non lontano, nella cella più grande e
antica. Il compagno si alzò all'istante e andò, entrando nell'atrio della
celletta dove Francesco era coricato, fermandosi però vicino all 'uscio .
Gli disse il Santo: " Fratello,
stanotte non ho potuto dormire né tenermi in piedi a pregare. Mi tremano la
testa e il corpo, come avessi mangiato pane di loglio ". Il compagno si
trattenne a parlare con lui dell'accaduto, confortandolo. Francesco rispose:
" Io credo che c'era il diavolo in questo cuscino che ho sotto il capo
". Quel guanciale di piume glielo aveva comprato messer Giovanni di
Greccio, che il Santo amava di cuore e a cui mostrò profonda amicizia tutto il
tempo che visse.
Da quando aveva abbandonato il
mondo, Francesco non volle più coricarsi su un coltrone né tenere sotto il capo
un cuscino di piume, mai, nemmeno nelle malattie. Ma quella volta i fratelli ve
lo avevano obbligato, riluttante, a causa della gravissima affezione agli
occhi. Prese dunque quel guanciale e lo gettò al suo compagno, che afferratolo
con la destra se lo gettò sulla spalla sinistra, tenendolo con la stessa mano,
e uscì dall'atrio.
Immediatamente perse la parola e
non riusciva a spostarsi da lì, né riusciva a sbarazzarsi del cuscino; ma se ne
stava immobile, con la sensazione di essere fuori di sé, incosciente di quello
che avveniva in lui e negli altri. Restò in quello stato per non breve tempo,
fin quando, per grazia di Dio, Francesco non lo richiamò. Allora tornò in sé,
lasciò cadere dietro quel cuscino e rientrò da Francesco a raccontargli quello
che gli era capitato.
Gli rispose il Santo: " In
serata, mentre recitavo compieta, sentii che il diavolo penetrava nella cella
". E fu certo allora ch'era stato il diavolo a impedirgli di dormire e di
tenersi dritto a pregare. Disse al compagno: " Il diavolo è molto sottile
e astuto. Dal momento che, per la misericordia e grazia di Dio, non può nuocere
alla mia anima, si sfoga contro il mio corpo, rendendomi impossibile il riposo
e lo stare in piedi a pregare, in modo da impedire la devozione e la gioia del
cuore e da farmi mormorare contro la mia infermità ".
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SUO FERVORE NEL
RECITARE L' UFFICIO
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95. Sebbene soffrisse per molti anni di gravi disturbi di
stomaco, milza, fegato e occhi, era così fervoroso e pregava con tanto
raccoglimento, che durante l'orazione non voleva appoggiarsi al muro o alla
parete, ma stava dritto, senza cappuccio sulla testa, e talora in ginocchio, e
passava nella preghiera la maggior parte del giorno e della notte.
Quando andava a piedi per il
mondo, sempre si fermava al momento di recitare le ore liturgiche. Se poi
viaggiava a cavallo ( era abitualmente infermiccio), ne scendeva per dire le
ore. E una volta che tornava da Roma, dopo aver soggiornato alcuni giorni
presso il cardinale Leone, il giorno stesso che uscì dalla città piovve senza
interruzione. Malato com'era, cavalcava; però, quando volle dire le ore scese
da cavallo e stette in piedi al margine della strada, sotto la pioggia che lo
ammollava.
E spiegò: " Se vuol
prendere i suoi alimenti in pace e quiete questo corpo che assieme ai suoi cibi
diventerà pasto dei vermi, con quanta maggior pace e quiete non deve l'anima
prendere il suo nutrimento, che è Dio stesso ".
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FRATELLO CORPO
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96. Diceva: " Il diavolo esulta quando riesce a
spegnere o affievolire, nel cuore del servo di Dio, la tenerezza e la letizia
provenienti da una pura preghiera e da altre opere buone. Chè se il diavolo
riesce a penetrare nel cuore del servo di Dio, e questi non se ne sta all'erta
e quanto prima può non affronta ed elimina l'invasore con il pentimento, la
confessione e la penitenza, in breve tempo l'avversario trasformerà un capello
in una trave ".
E seguitava: " Il servo di
Dio deve soddisfare in modo equilibrato al proprio corpo nel nutrimento, nel
riposo e nelle altre necessità, affinché fratello corpo non trovi da mormorare,
protestando:--Non posso stare dritto, né resistere a lungo nell'orazione, né
compiere altre opere buone, perché non mi procuri ciò che mi abbisogna!--".
Soggiungeva: " Se il servo
di Dio provvede saggiamente al proprio corpo con buon garbo e nella misura del
possibile, e fratello corpo si mostra pigro, negligente e sonnolento
nell'orazione, nelle veglie e nelle altre buone opere dello spirito, allora
deve castigarlo come un giumento riottoso e indolente, che vuole, sì, mangiare,
ma ricusa di lavorare e portare il carico.
Se infine fratello corpo, malato
o sano, a causa della penuria e ristrettezza non può ottenere il necessario,
quando ne fa richiesta per amore di Dio con rispetto e umiltà al fratello suo o
al prelato, sopporti le privazioni per amore del Signore: e il Signore
considererà come martirio queste rinuncie. E poiché il servo di Dio ha fatto
ciò che stava in lui, cioè ha chiesto il necessario, non pecca, anche se il
corpo ne dovesse patire gravi conseguenze ".
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LA GIOIA
SPIRITUALE
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97. Dal momento della conversione al giorno della morte,
Francesco fu molto duro, sempre, con il suo corpo. Ma il suo più alto e
appassionato impegno fu quello di possedere e conservare in se stesso la gioia
spirituale.
Affermava: " Se il servo di
Dio si preoccuperà di avere e conservare abitualmente la gioia interiore ed
esteriore, gioia che sgorga da un cuore puro, in nulla gli possono nuocere i
demoni, che diranno: --Dato che questo servo di Dio si mantiene lieto nella
tribolazione come nella prosperità, non troviamo una breccia per entrare in lui
e fargli danno--".
Una volta il Santo rimproverò
uno dei compagni che aveva un'aria triste e una faccia mesta: ff Perché mostri
così la tristezza e I 'angoscia dei tuoi peccati ? E una questione privata tra
te e Dio. Pregalo che nella sua misericordia ti cloni la gioia della salvezza.
Ma alla presenza mia e degli altri procura di mantenerti lieto. Non conviene
che il servo di Dio si mostri depresso e con la faccia dolente al suo fratello
o ad altra persona".
Diceva altresì: " So che i
demoni mi sono invidiosi per i benefici concessimi dal Signore per sua bontà. E
siccome non possono danneggiare me, si sforzano di insidiarmi e nuocermi
attraverso i miei compagni. Se poi non riescono a colpire né me né i compagni,
allora si ritirano scornati. Quando mi trovo in un momento di tentazione e di
avvilimento, mi basta guardare la gioia del mio compagno per riavermi dalla
crisi di abbattimento e riconquistare la gioia interiore ".
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PREDICE LA SUA
GLORIA
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98. Mentre Francesco giaceva infermo nel palazzo vescovile
d'Assisi, un frate, uomo spirituale e santo, gli disse un giorno in tono
scherzoso: " A che prezzo venderai al Signore i tuoi cenci? Molte stoffe
preziose e drappi di seta avvolgeranno questo tuo corpo, ricoperto adesso di
vili panni ".
Francesco portava allora, a
motivo della sua malattia, un copricapo di pelle ricoperto di sacco, e di sacco
era la sua veste.
Rispose Francesco, o meglio lo
Spirito Santo per bocca di lui, con grande ardore di spirito e gioia: " Tu
dici il vero: sarà proprio così! ".
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BENEDIZIONE ALLA
CITTA' DI ASSISI
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99 Sempre durante la sua dimora in quel palazzo, sentendo
Francesco di peggiorare di giorno in giorno, si fece portare alla Porziuncola
in barella, giacché non avrebbe potuto cavalcare per l'aggravarsi della sua
malattia.
Quando i frati, che lo portavano
giunsero vicino allo ospedale, disse loro di posare la barella per terra, ma
voltandolo, in modo che tenesse il viso rivolto verso la città di Assisi: egli
aveva perduto quasi del tutto la vista, per la gravissima lunga infermità
d'occhi. Si drizzò allora un poco sulla lettiga e benedisse Assisi con queste parole:
" Signore, credo che questa città sia stata anticamente rifugio e dimora
di malvagi iniqui uomini, malfamati in tutte queste regioni. Ma per la tua
copiosa misericordia, nel tempo che piacque a te, vedo che hai mostrato la
sovrabbondanza della tua bontà, così che la città è diventata rifugio e
soggiorno di quelli che ti conoscono e danno gloria al tuo nome e spandono
profumo di vita santa, di retta dottrina e buona fama in tutto il popolo
cristiano.
Io ti prego dunque, o Signore
Gesù Cristo, padre delle misericordie, di non guardare alla nostra
ingratitudine, ma di ricordare solo l'abbondanza della tua bontà che le hai
dimostrato. Sia sempre, questa città, terra e abitazione di quelli che ti
conoscono e glorificano il tuo nome benedetto e glorioso nei secoli dei secoli.
Amen ".
Detta che ebbe questa preghiera,
fu trasportato a Santa Maria della Porziuncola.
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SORELLA MORTE
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100. Dal giorno della conversione fino a quello della
morte, Francesco, fosse in salute o malato, sempre si preoccupò di conoscere ed
eseguire la volontà del Signore.
Un giorno un frate gli disse:
" Padre, la tua vita e condotta è stata ed è una fiaccola e un modello non
solo per i tuoi frati, ma per l'intera Chiesa di Dio: e così sarà anche la tua
morte. Certo, ai tuoi frati e a moltissime altre persone la tua scomparsa
provocherà indicibile dolore e tristezza; ma per te sarà immensa consolazione e
gioia infinita. Infatti, tu passerai da questo lavoro gravoso al più grande
riposo da molte sofferenze e prove al gaudio senza fine, dalla dura povertà
(che hai sempre amato e gioiosamente abbracciato dal momento della conversione
fino a oggi) alle ricchezze più grandi e vere, infinite; dalla morte fisica
passerai alla vita eterna, dove vedrai faccia a faccia per sempre il Signore
Dio tuo, che in questo mondo hai contemplato con tanto fervore, desiderio e
amore ".
Detto ciò, gli parlò
francamente: " Padre, sappi in verità che, se il Signore non manda al tuo
corpo la sua medicina dal cielo, la tua malattia è incurabile e poco ti resta
da vivere, come hanno già pronosticato i medici. Dico questo per confortare il
tuo spirito, affinché tu sia sempre felice interiormente ed esteriormente nel
Signore, e i tuoi frati e gli altri che vengono a visitarti ti trovino lieto
nel Signore. Siccome sanno che presto morrai, vedendoti cos~ sereno o venendolo
a sapere dalla gente dopo il tuo trapasso, ciò costituirà per tutti un ricordo
e un esempio, come lo è stata tutta la tua vita ".
Allora Francesco, sebbene
disfatto dalle malattie, con grande fervore di spirito e raggiante di gioia
profonda, lodò il Signore. Poi rispose al compagno: " Ebbene, se la morte
è imminente, chiamatemi i fratelli Angelo e Leone, affinché mi cantino di
sorella Morte ".
Vennero i due da Francesco e
cantarono, in lacrime, il Cantico di frate Sole e delle altre creature del
Signore, composto dal Santo durante la sua infermità, a lode del Signore e a
consolazione dell'anima sua e degli altri. In questo Cantico, innanzi
all'ultima strofa, egli inserì la lassa di sorella Morte, questa:
Laudato sie, mi Segnore,
per sora nostra morte corporale,
dalla quale null'omo vivente po'
scampare.
Guai a quilli ke morirà ne li
peccati mortali!
Biati quilli ke trovarà ne li
toi
sanctissime volontade
ke lla morte seconda no li farà
male
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ULTIMA VISITA DI
" FRATE " JACOPA
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101. Un giorno Francesco fece chiamare i suoi compagni e
disse: " Voi sapete come donna Jacopa dei Settesogli fu ed è molto fedele
e affezionata a me e alla nostra fraternità. Io credo che, se la informerete
del mio stato di salute, riterrà ciò come una grazia grande e consolazione.
Fatele sapere, in particolare, che vi mandi, per confezionare una tonaca, del
panno grezzo color cenere, del tipo di quello tessuto dai monaci cistercensi
nei paesi d'oltremare. E insieme, invii un po' di quel dolce che era solita
prepararmi quando soggiornavo a Roma ".
Si tratta del dolce che i romani
chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri
ingredienti.
Jacopa era una donna spirituale,
vedova, devota a Dio, una delle più nobili e ricche signore di Roma. Per i
meriti e la predicazione di Francesco ella aveva avuto da Dio tanta grazia da
sembrare quasi una seconda Maddalena, teneramente devota fino alle lacrime.
Scritta che fu la lettera
secondo le indicazioni del padre santo, un frate stava cercando chi la potesse
recapitare, quando d'improvviso si udì bussare alla porta. Il frate che corse
ad aprire si trovò davanti donna Jacopa venuta da Roma in gran fretta per
visitare Francesco. Senza por tempo in mezzo, il frate fu tutto felice al
capezzale di Francesco, annunziandogli come la signora era arrivata in
compagnia del figlio e di numerose altre persone. E domandò: " Padre, che
facciamo? Dobbiamo lasciarla entrare e accostarsi a te? ".
In effetti, per volontà di
Francesco, era stato stabilito, e ciò fin dai primi tempi, che in quel convento
nessuna donna potesse entrare in clausura, per salvaguardare l'onorabilità e il
raccoglimento della casa religiosa.
Rispose Francesco: " Il
divieto non è applicabile a questa signora, che una tale fede e devozione ha
fatto accorrere da così lontano ". Jacopa entrò dunque da Francesco e al
vederlo si mise a piangere. Suscitò stupore che l'ospite avesse recato con sé
il drappo funebre color cenere per confezionare la tonaca, e tutte le altre
cose che le erano state chieste nella lettera. La straordinaria coincidenza
lasciò attoniti i frati, che vi scorsero un segno della santità di Francesco.
Donna Jacopa si rivolse loro e
spiegò: " Fratelli, mentre stavo pregando, mi fu detto in spirito: --Va' e
visita il tuo padre Francesco. Affrettati, non indugiare, poiché se tu tardi
non lo troverai vivo. Gli porterai quel tale panno per la tonaca, e il
necessario per preparargli un dolce. Prendi con te anche gran quantità di cera
per fare dei lumi e altresì dell'incenso --".
Veramente, Francesco non aveva
parlato di incenso nella sua lettera; ma il Signore ispirò alla nobildonna che
ne portasse, come a ricompensa e consolazione della sua anima e affinché meglio
conosciamo la grande santità di lui, ii povero che il Padre celeste volle
circondare di tanto onore nei giorni della sua morte. Colui che ispirò ai re
Magi di avviarsi con donativi a rendere onore al diletto Bambino, figlio suo,
nei giorni della sua nascita nella povertà, volle ispirare a quella
gentildonna, che abitava lontano, di recarsi con doni a venerare il glorioso
corpo santo del suo servo Francesco, il quale con tanto amore e slancio amò e
imitò, in vita e in morte, la povertà del suo Figlio diletto.
Donna Jacopa preparò poi il
dolce che piaceva a Francesco. Ma egli lo assaggiò appena, poiché per la
gravissima malattia le sue forze venivano meno inesorabilmente, e si appressava
alla morte. Fece fare anche numerose candele perché ardessero dopo il trapasso
intorno alla salma venerata. Con il panno che aveva recato, i frati
confezionarono la tonaca con cui il Santo venne sepolto. Francesco ordinò loro
che vi cucissero sopra delle pezze di sacco, in segno ed esempio di umiltà e
povertà. E come piacque a Dio, proprio nella settimana che donna Jacopa era
arrivata, Francesco migrò al Signore.
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GLI IDEALI DI
UMILTÀ' E POVERTA'
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1658
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102. Fin dalla conversione, Francesco, con l'aiuto del
Signore, fondò se stesso e la sua casa, vale a dire l'Ordine, da sapiente architetto,
sopra solida roccia, cioè sopra la massima umiltà e povertà del Figlio di Dio,
e lo chiamò Ordine dei frati minori.
Sopra la massima umiltà. Per
questo, nei primordi, quando i frati presero a moltiplicarsi, volle che
abitassero nei lazzaretti a servizio dei lebbrosi. A quel tempo, quando nobili
e popolani si presentavano come postulanti, fra le altre cose che venivano loro
annunziate, si diceva ch'era necessario servire ai lebbrosi e stabilirsi nei
lazzaretti.
Sopra la massima povertà.
Infatti, nella Regola è fatto obbligo ai frati di vivere nelle loro abitazioni
come stranieri e pellegrini, senza nulla voler possedere sotto il cielo
all'infuori della santa povertà, grazie alla quale il Signore li nutre quaggiù
di alimenti corporali e di virtù, e in futuro otterranno l'eredità celeste.
Costruì dunque se stesso sulle
fondamenta di una perfetta umiltà e povertà. Invero, pur essendo un grande
prelato nella Chiesa di Dio, volle e prescelse di essere l'ultimo, non solo
nella Chiesa ma anche in mezzo ai suoi fratelli.
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IL VESCOVO DI
TERNI
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1659
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103. Una volta mentre predicava al popolo di Terni nella
piazza davanti all'episcopio, il vescovo della città, uomo saggio e spirituale,
assisteva al sermone. Terminato che fu, il vescovo si alzò e, fra altre parole
di Dio, rivolse al popolo questa esortazione: " Da quando cominciò a
piantare e edificare la sua Chiesa, il Signore non ha mai cessato d'inviare
uomini santi, i quali con la parola e l'esempio l'hanno sostenuta. E in questi
ultimi tempi egli ha voluto illuminarla per mezzo di questo uomo poverello,
semplice e illetterato "--e così dicendo mostrava con il dito Francesco a
tutto il popolo--. " Per questo siete tenuti ad amare e onorare il
Signore, e a guardarvi dai peccati: poiché non ha fatto a tutte le nazioni
un dono simile >>.
Concluso che ebbe il discorso,
il vescovo scese dal luogo dove aveva parlato ed entrò con Francesco nella
chiesa cattedrale. Allora il Santo si inchinò davanti al vescovo e si prostrò
ai suoi piedi dicendo: " In verità ti dico, messer vescovo, che finora
nessuno mi ha fatto a questo mondo un onore grande come quello fattomi oggi da
te. Gli altri dicono:--Questo è un santo uomo!--, attribuendo gloria e santità
alla creatura e non al Creatore. Ma tu, da uomo sagace, hai separato la materia
preziosa da quella vile ".
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ANCORA SULL'
UMILTÀ' DI FRANCESCO
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1660
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104. Spesso, quando gli si prodigavano onori e lo si
celebrava come santo ribatteva con la frase: " Non sono ancora sicuro che
non avrò figli e figlie! ". E spiegava: " Infatti, in qualunque ora
il Signore mi volesse togliere il suo tesoro, datomi in prestito, che altro mi
resterebbe se non il corpo e l'anima, che anche gli infedeli possiedono? Di
più, devo esser convinto che se il Signore avesse dato a un ladrone o a un non
credente le grazie concesse a me essi sarebbero più fedeli di me al Signore
".
Disse ancora: " Come nelle
immagini del Signore e della beata Vergine dipinte su tavola si onora e ricorda
Dio e la Madonna, e il legno e la pittura non attribuiscono tale onore a se
stessi; così il servo di Dio è come una pittura, una creatura fatta a immagine
di Dio, nella quale è Dio che viene onorato nei suoi benefici. Il servo di Dio,
dunque, simile a una tavola dipinta, non deve riferire nulla a se stesso
l'onore e la gloria vanno resi a Dio solo, mentre a se stesso egli attribuirà
vergogna e dispiacere, poiché sempre, finché viviamo, la nostra carne è ribelle
alle grazie del Signore ".
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DIMISSIONI Dl
FRANCESCO
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1661
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105. Francesco volle essere umile in mezzo ai suoi fratelli.
Per conservare una più grande umiltà, pochi anni dopo la sua conversione, in un
Capitolo celebrato presso la Porziuncola, egli rassegnò le dimissioni
dall'incarico di prelato, dicendo alla presenza di tutti i frati convenuti:
" Da ora io sono morto per voi. Ma ecco frate Pietro di Cattanio al quale
io e voi tutti obbediremo ".
Allora tutti i frati presero a
piangere forte e a lacrimare. Francesco si inchinò davanti a frate Pietro e gli
promise obbedienza e riverenza.
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OBBEDIENZA DEL
SANTO
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1662
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106. Non solo volle essere soggetto al ministro generale,
ma anche ai ministri provinciali. Infatti, in qualunque provincia soggiornasse
o percorresse predicando, obbediva al ministro dl quella provincia. Più ancora,
a maggior perfezione di umiltà, lungo tempo innanzi alla sua morte, disse una
volta al ministro generale: " Voglio che tu affidi la cura che hai di me
ad uno dei miei compagni. Gli obbedirò come a te stesso: ché per il buon
esempio e la virtù dell'obbedienza io voglio che tu resti sempre con me, in
vita e in morte ".
E da allora fino al suo trapasso
ebbe sempre come suo guardiano uno dei compagni; e gli obbediva in luogo del
ministro generale.
Altra volta ebbe a confessare ai
compagni: " Tra le altre grazie, I'Altissimo mi ha largito questa: obbedirei
al novizio entrato nell'Ordine oggi stesso, se fosse mio guardiano come si
trattasse del primo e più attempato dei fratelli. Invero, il suddito non deve
considerare nel prelato l'uomo bensì Colui per amore del quale si sottomette a
un uomo ".
Disse pure: " Non ci
sarebbe un prelato nel mondo intero, temuto dai sudditi e fratelli suoi quanto
il Signore farebbe che io fossi temuto dai miei frati, qualora lo volessi. Ma
l'Altissimo mi ha donato questa grazia: sapermi adattare a tutti, come fossi il
più piccolo frate nell'Ordine ".
Abbiamo visto con i nostri occhi
ripetute volte, noi che siamo vissuti con Francesco, la verità di questa sua
affermazione. A più riprese, quando taluni frati non lo sovvenivano nelle sue
necessità, o gli veniva rivolta qualche parola che produceva agitazione, subito
il Santo si ritirava a pregare. E tornandone, non voleva ricordare lo sgarbo,
col dire: " Quel frate mi ha trascurato! ", oppure: " Mi ha
detto questa parola".
E quanto più si avvicinava alla
morte, tanto più si preoccupava di vivere e morire in tutta la perfezione
dell'umiltà e della povertà.
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BENEDIZIONE DI
FRATE BERNARDO
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1664
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107. Il giorno in cui donna Jacopa preparò il dolce per
Francesco, questi si sovvenne di frate Bernardo e disse ai compagni: " Questo
dolce piacerebbe a frate Bernardo! ". Si rivolse quindi a un compagno e
gli disse: " Va' a dire a frate Bernardo che venga subito da me ".
Quello partì immediatamente e lo condusse da Francesco. Frate Bernardo sedette
vicino al letto dove giaceva il Santo, e gli disse: " Padre, ti prego di
benedirmi e mostrarmi il tuo affetto. Penso che se mi dài un segno di amore
paterno, Dio stesso e gli altri frati mi vorranno più bene ".
Francesco, che aveva perduto la
vista da molti giorni oramai, non riusciva a vedere il suo amico. Stese la
destra e la posò sul capo di Egidio, che fu il terzo nel gruppo dei primi
frati, e sedeva in quel momento allato a Bernardo. Ma tastando, come fanno i
ciechi, il capo di Egidio, Francesco riconobbe subito per virtù dello Spirito
Santo che si sbagliava, e disse: " Ma questo non è il capo del mio caro
Bernardo! ". Questi gli si fece appresso, e allora Francesco, ponendogli
la mano sulla testa, lo benedisse. Poi
parlò a uno dei compagni: " Scrivi quello che sto per dire. Il primo frate
datomi dal Signore è stato Bernardo, che per primo abbracciò e compì la
perfezione del Vangelo, distribuendo ai poveri ogni suo avere. Per questo, e
per i molti suoi meriti, io sono tenuto ad amarlo più che ogni altro frate
dell'Ordine. Voglio perciò e comando, per quanto sta in mio potere, che
chiunque sia ministro generale, lo ami e onori come farebbe con me, e che i
ministri provinciali e i frati tutti dell'Ordine lo considerino un altro me
stesso ".
Queste parole furono per
Bernardo e per i frati presenti un motivo di grande consolazione.
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PREDIZIONE
RIGUARDANTE BERNARDO
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1665
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108. In altra occasione considerando Francesco l'alta
perfezione di frate Bernardo, fece una profezia alla presenza di alcuni
fratelli: " Vi dico che a Bernardo sono stati inviati demoni dei più
grandi e subdoli, per metterlo alla prova. Molte tribolazioni e tentazioni
dovrà subire. Ma il Signore misericordioso, quando Bernardo sarà prossimo alla
fine, lo libererà da ogni pena e prova interiore ed esteriore e adagerà il suo
spirito e il suo corpo in una pace, serenità e dolcezza tale, che tutti i
fratelli che lo vedranno e udranno ne saranno vivamente sorpresi, ritenendo ciò
un miracolo. E Bernardo in quella quiete, serenità e dolcezza intima ed
esteriore passerà da questo mondo al Padre ".
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1666
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I frati che
ascoltarono da Francesco questa predizione .vv ispiratagli dallo Spirito Santo,
furono poi molto meravigliati nel constatare che si realizzò alla lettera,
punto per punto. In effetti, durante la malattia che h portò alla tomba frate
Bernardo era in tale pace e serenità di spirito, che non voleva stare coricato.
E anche giacendo a letto, preferiva stare seduto, poiché temeva che il minimo
annebbiamento montandogli alla testa, lo portasse a fantasticare e divagare inceppando
così il suo pensiero fisso in Dio. Se talvolta gli capitava questo, subito si
alzava e si scrollava dicendo: " Cos'è stato? perché ho pensato così?
".
Per rianimarsi era solito
aspirare volentieri acqua di rose. Ma approssimandosi alla morte non ne volle
più sapere, per non turbare l'ininterrotta meditazione di Dio, e a chi gliene
offriva, diceva: " Non mi dare impaccio ".
Per morire in maggior libertà,
tranquillità e pace, affidò la cura del suo corpo a un fratello medico che lo
assisteva. Gli disse: " Non voglio occuparmi di mangiare e bere. Pensaci
tu. Se mi dài qualcosa, lo prendo; e se no, no ".
Da quando cadde malato, volle
sempre aver vicino fino all'ora del trapasso un fratello sacerdote. E quando
gli veniva in mente qualcosa che gli turbava la coscienza, tosto lo confessava
riconoscendosi in colpa.
Dopo la morte, diventò bianco, e
il suo corpo rimase flessibile. Sembrava sorridere. Appariva più bello che da
vivo. Quelli che lo guardavano trovavano più piacevole vederlo così, che non
quando era in vita: pareva un santo che sorridesse.
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L' ULTIMO SALUTO
Dl CHIARA
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1667
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109. Nella settimana in cui Francesco passò da questa
vita, Chiara,--prima pianticella dell'Ordine delle sorelle e badessa delle
Sorelle Povere del monastero di San Damiano in Assisi, emula di Francesco nel
conservare intatta la povertà del Figlio di Dio, --era anch'essa gravemente
inferma. E temeva di spegnersi prima del Santo. Affranta, ella piangeva e non
riusciva a darsi pace pensando che non avrebbe più visto Francesco, suo unico
padre dopo Dio, lui che la confortava nello spirito e nel corpo, che l'aveva
fondata per primo nella grazia del Signore. E tramite un frate, Chiara fece
conoscere a Francesco questa sua ansietà.
Il Santo, informato della cosa,
ne fu tutto commosso, perché amava Chiara e le sue sorelle con amore di padre,
per la vita santa che conducevano e soprattutto perché, con l'aiuto del
Signore, era stato lui a convertirla a Dio con i suoi consigli pochi anni dopo
l'arrivo dei primi frati. La conversione di Chiara aveva procurato molta
edificazione non solo alla comunità dei frati ma alla intera Chiesa di Dio.
Francesco, sapendo che non
poteva esaudire in quel momento il desiderio ch'ella aveva espresso di vederlo,
per essere entrambi gravemente malati, le mandò in scritto la sua benedizione
al fine di confortarla; la assolse altresì da tutte le eventuali mancanze alle
direttive e volontà di lui e inadempienze agli ordini e voleri del Figlio di
Dio. Inoltre, onde sollevarla da ogni tristezza e consolarla nel Signore,
Francesco, o meglio lo Spirito di Dio che parlava in lui disse al frate
inviatogli da lei: " Va' e porta questa lettera a donna Chiara. Le dirai
che lasci cadere ogni angoscia e mestizia causata dal fatto che adesso non può
vedermi. Sappia in verità che, prima del suo trapasso, tanto lei che le sue
sorelle mi vedranno ancora e ne trarranno la più grande consolazione ".
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1668
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Poco tempo
appresso Francesco, durante la notte passò da questa vita. Allo spuntar del
mattino venne l'intera popolazione di Assisi, uomini e donne con tutto il clero
tolsero la salma venerata dal luogo della Porziuncola e tra inni e cantici,
ognuno recando in mano una fronda di albero, portarono quel corpo santo, per
disposizione divina fino a San Damiano. Così fu compiuta la predizione fatta
dal Signore per bocca di Francesco, a conforto delle sue figlie e ancelle.
Fu levata via la grata di ferro
dalla finestra attraverso cui le monache ricevono la comunione o, talora,
ascoltano la parola di Dio. I frati alzarono la salma di Francesco dalla
lettiga e la tennero a lungo sulle loro braccia accanto alla finestra, così che
donna Chiara e le sue sorelle ne provarono una consolazione profonda, sebbene
fossero tutte in pianto e afflitte dal cordoglio, poiché Francesco era stato per
loro, dopo Dio, I'unica consolazione a questo mondo.
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LE SORELLE ALLODOLE
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1669
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110. Il sabato sera, dopo i vespri, prima che cadesse la
notte, Francesco migrò al Signore, e uno stormo di allodole prese a volare a
bassa quota sopra il tetto della casa dove giaceva il Santo, e volando giravano
in cerchio cantando.
Noi che siamo vissuti con
Francesco e che abbiamo scritto questi ricordi, attestiamo di averlo sentito
dire a più riprese: " Se avrò occasione di parlare con l'imperatore, lo
supplicherò che per amore di Dio e per istanza mia emani un editto, al fine che
nessuno catturi le sorelle allodole o faccia loro del danno. E inoltre, che
tutti i podestà delle città e i signori dei castelli e dei villaggi siano
tenuti ogni anno, il giorno della Natività del Signore, a incitare la gente che
getti frumento e altre granaglie sulle strade, fuori delle città e dei paesi,
in modo che in un giorno tanto solenne gli uccelli, soprattutto le allodole,
abbiano di che mangiare. Dia ordine inoltre l'imperatore, per riverenza al
Figlio di Dio, posto a giacere quella notte dalla beata Vergine Maria nella
mangiatoia tra il bove e l'asino, che a Natale si dia da mangiare in abbondanza
ai fratelli buoi e asinelli. E ancora, in quella festività, i poveri vengano
ben provvisti di cibo dai benestanti ".
Francesco aveva per il Natale
del Signore più devozione che per qualunque altra festività dell'anno. Invero,
benché il Signore abbia operato la nostra salvezza nelle altre solennità,
diceva il Santo che fu dal giorno della sua nascita che egli si impegnò a
salvarci. E voleva che a Natale ogni cristiano esultasse nel Signore e per
amore di lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso, fosse gioiosamente
generoso non solo con i bisognosi, ma anche con gli animali e gli uccelli.
Diceva ancora dell'allodola:
" La sorella allodola ha il cappuccio come i religiosi. Ed è un umile
uccello che va volentieri per le vie in cerca di qualche chicco. Se anche lo
trova nel letame, lo tira fuori e lo mangia. E volando loda il Signore, proprio
come i buoni religiosi che, avendo in spregio le cose mondane, vivono già in
cielo. La veste dell'allodola, il suo piumaggio cioè, è color terra. Così essa
dà esempio ai religiosi a non cercare abiti eleganti e fini, ma di tinta
smorta, come la terra ".
Mirando questi pregi nelle
sorelle allodole, Francesco le amava molto e le guardava con gioia.
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NON SONO UN LADRO
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1670
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111. Francesco ripeteva spesso ai fratelli: " Non
sono mai stato ladro. Voglio dire che delle elemosine, le quali sono l'eredità dei
poveri, ho preso sempre meno di quanto mi bisognasse, allo scopo di non
intaccare la parte dovuta agli altri poveri. Fare diversamente sarebbe rubare
".
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NESSUNA PROPRIETA', NEMMENO IN COMUNE
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1671
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112. I frati ministri cercavano di convincere Francesco a
permettere che si possedesse qualcosa, almeno comunitariamente, in maniera che
un numero così grande di religiosi avesse una riserva cui attingere. Raccoltosi
in preghiera, il Santo chiamò Cristo e lo consultò su questo punto. E
immediatamente il Signore gli diede la sua risposta: non ci doveva essere
proprietà alcuna né personale né comunitaria. Questa era la sua famiglia,
disse, alla quale lui avrebbe immancabilmente provveduto per quanto numerosa
fosse, e sempre avrebbe avuto cura di essa finché la fraternità avesse nutrito
fiducia in Lui.
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CRISTO APPROVA LA
REGOLA
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1672
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113. Dimorava Francesco sopra un monte assieme a frate
Leone d'Assisi e Bonizo da Bologna per comporre la Regola, giacché era andato
smarrito il testo della prima, dettatogli da Cristo.
Numerosi ministri si recarono da
frate Elia, vicario di Francesco, e gli dissero: " Abbiamo sentito che
questo fratello Francesco sta facendo una nuova Regola, e temiamo non la renda
così dura da riuscire inosservabile. Noi vogliamo che tu vada da lui e gli
riferisca che ci rifiutiamo di assoggettarci a tale Regola. Se la scriva per
sé, e non per noi ". Frate Elia osservò che non aveva coraggio di andarci,
per paura dei rimproveri di Francesco. Ma siccome quelli insistevano, ribatté
che non intendeva recarsi là senza di loro. Così partirono tutti insieme.
Quando frate Elia, accompagnato
dai ministri fu giunto a Fonte Colombo, chiamò il Santo. Francesco uscì e
vedendo i ministri chiese: " Cosa vogliono questi fratelli? ".
Rispose Elia: " Sono dei ministri. Venuti a sapere che stai facendo una
nuova Regola e temendo non sia troppo aspra, dicono e protestano che non
intendono esservi obbligati. Scrivila per te, e non per loro ".
Francesco levò la faccia al
cielo e parlò a Cristo: " Signore, non lo dicevo che non ti avrebbero
creduto? ". E subito si udì nell'aria la voce di Cristo: " Francesco,
nulla di tuo è nella Regola, ma ogni prescrizione che vi si contiene è mia. E
voglio sia osservata alla lettera, alla lettera, alla lettera! senza commenti,
senza commenti, senza commenti". Aggiunse: " So ben io quanto può la
debolezza umana, e quanto può la mia grazia. Quelli dunque che non vogliono
osservare la Regola, escano dall'Ordine! ".
Si volse allora Francesco a quei
frati e disse: " Avete sentito? avete sentito? Volete che ve lo faccia
ripetere? ". E così i ministri se ne tornarono scornati e riconoscendosi
in colpa.
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NON PARLATEMI DI
ALTRE REGOLE!
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1673
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114. Mentre Francesco era al Capitolo generale, detto
delle Stuoie, che si tenne presso la Porziuncola e a cui intervennero
cinquemila fratelli, molti di questi, uomini di cultura, accostarono il
cardinale Ugolino, il futuro Gregorio IX, che a sua volta partecipava
all'assise capitolare. E gli chiesero che persuadesse Francesco a seguire i
consigli dei frati dotti e a lasciarsi qualche volta guidare da loro. Facevano
riferimento alle Regole di san Benedetto, sant'Agostino e san Bernardo, che
prescrivono questa e quest'altra norma al fine di condurre una vita religiosa
ben ordinata.
Udita che ebbe Francesco
l'esortazione del cardinale su tale argomento, lo prese per mano e lo condusse
davanti all'assemblea capitolare, dove disse: " Fratelli, fratelli miei,
Dio mi ha chiamato a camminare la via della semplicità e me l'ha mostrata. Non
voglio quindi che mi nominiate altre Regole, né quella di sant'Agostino, né
quella di san Bernardo o di san Benedetto. Il Signore mi ha rivelato essere suo
volere che io fossi un pazzo nel mondo: questa è la scienza alla quale Dio
vuole che ci dedichiamo! Egli vi confonderà per mezzo della vostra stessa
scienza e sapienza. Io ho fiducia nei castaldi del Signore, di cui si servirà
per punirvi. Allora, volenti o nolenti, farete ritorno con gran vergogna alla
vostra vocazione ".
Stupì il cardinale a queste
parole e non disse nulla, e tutti i frati furono pervasi da timore.
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COME COMPORTARSI
CON IL CLERO
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1674
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115. Dissero una volta alcuni frati a Francesco: "
Padre, non vedi che i vescovi non ci permettono talora di predicare,
obbligandoci a rimaner più giorni sfaccendati in certe città, prima che
possiamo parlare al popolo? Sarebbe più conveniente che tu ci ottenessi un
privilegio dal signor Papa, a vantaggio della salvezza delle anime ".
Francesco rispose con tono
contrariato: " Voi, frati minori, non conoscete la volontà di Dio e non mi
permettete di convertire tutto il mondo nel modo voluto da Dio. Infatti, io
intendo innanzi tutto convertire i prelati con l'umiltà e il rispetto. E quando
essi constateranno la nostra vita santa e la reverenza di cui li circondiamo saranno
loro stessi a pregarvi di predicare e convertire il popolo. E attireranno a voi
la gente meglio dei privilegi da voi agognati, che vi indurrebbero a
insuperbire. Se sarete liberi da ogni tornaconto e persuaderete il popolo a
rispettare i diritti delle chiese, i prelati vi chiederanno di ascoltare le
confessioni dei loro fedeli. Oltre tutto, di questo non vi dovete preoccupare:
quelli che si convertono trovano senza difficoltà dei confessori.
Io voglio per me questo
privilegio dal Signore: non avere nessun privilegio dagli uomini, fuorché
quello di essere rispettoso con tutti e di convertire la gente più con
l'esempio che con le parole, conforme all'ideale della Regola ".
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LAGNANZE DI CRISTO
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116. Disse una volta il Signore Gesù Cristo a frate Leone
compagno di Francesco: " Io ho di che lamentarmi, riguardo ai frati
". Rispose Leone: " A motivo di che, Signore? ". Rispose: "
Su tre punti. Primo, perché non sono riconoscenti per i benefici che, come tu
sai, ogni giorno io largisco loro generosamente, dando ad essi il necessario,
sebbene non seminino e non mietano. Secondo, perché passano tutta la giornata
in ozio a brontolare. Terzo, perché spesso si adirano vicendevolmente e non
tornano a volersi bene, perdonando l'ingiuria ricevuta ".
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L' ULTIMA CENA DI
FRANCESCO
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117. Una notte Francesco fu talmente colpito dal
rincrudire delle sofferenze provocate dalle sue malattie che gli riuscì quasi
impossibile riposare e dormire. Ai mattino, come i dolori si attenuarono un
poco, fece chiamare tutti i frati dimoranti in quel luogo. Seduti che furono
accanto a lui, il Santo li considerò come rappresentanti di tutta la
fraternità.
E cominciando da uno di essi, li
benediceva, posando la destra sul capo di ciascuno, con l'intenzione di
benedire tutti quelli che vivevano allora nell'Ordine e quanti vi sarebbero
venuti sino alla fine del mondo. E lo si vedeva tutto accorato di non poter
mirare i suoi figli e fratelli prima di morire.
Si fece poi recare dei pani e li
benedisse. Siccome a causa della sua infermità non aveva la forza per
spezzarli, li fece dividere in molte parti da un fratello, e ne diede un
frammento a ciascuno, raccomandando che venisse consumato interamente. Come il
Signore il giovedì santo volle cenare con gli apostoli prima della sua passione,
così anche Francesco, parve a quei fratelli, prima di morire volle benedirli e
nelle loro persone benedire tutti gli altri, e mangiare quel pane benedetto
quasi in compagnia di tutti gli assenti.
Noi possiamo ben credere a
questa intenzione, poiché, sebbene quel giorno non fosse un giovedì, il Santo
disse ai frati che invece pensava proprio lo fosse.
Uno di quei frati conservò una
particella di quel pane. E dopo la morte di Francesco alcuni infermi che ne
ebbero mangiato, tosto furono guariti.
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Fine della
Leggenda
perugina
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